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Il fondo patrimoniale come patrimonio separato

Il fondo patrimoniale

2. Il fondo patrimoniale come patrimonio separato

compiuto in adempimento di un dovere morale nei confronti dei componenti della famiglia, a meno che non si dimostri in concreto l’esistenza di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del solvens di adempiere unicamente a quel dovere mediante l’atto in questione.

(381) LUPOI, I trust nel diritto civile, in Tratt. di dir. civ. diretto da Sacco, Torino, 2004, 246. (382) Principio desumibile dai precedenti che, in materia di azione revocatoria, ne hanno attribuito la legittimazione passiva ad entrambi i coniugi, non al solo coniuge debitore che avesse destinato il bene in sua proprietà esclusiva a far fronte ai bisogni della famiglia: cfr. Cass., 17 marzo 2004, n. 5402, in Giust. civ. Mass., 2004, 3.

(383) Azione che, esemplificando, i figli potrebbero esercitare nei confronti del genitore che distragga i beni dallo scopo di destinazione, ovvero li confonda con i propri.

(384) Cass., 17 marzo 2004, n. 5402, in Giust. civ. Mass., 2004, 3: «I figli dei coniugi che hanno proceduto alla costituzione di un fondo patrimoniale non sono parte necessaria nel giudizio, promosso dal creditore con azione revocatoria, diretto a far valere l’inefficacia di tale costituzione, giacché il fondo patrimoniale non viene costituito a beneficio dei figli, ma per far fronte ai bisogni della famiglia, com’è confermato dal fatto che esso cessa con l’annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 171 c.c.). E la circostanza che il giudice, all’atto della cessazione del fondo patrimoniale, possa attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo stesso, non può essere valorizzata al punto di attribuire ai figli stessi la legittimazione passiva nei giudizi che investano il fondo patrimoniale, trattandosi di mera eventualità i cui presupposti devono essere verificati soltanto al momento della cessazione del fondo».

Con il divieto di costituzione della dote (385) e l’abolizione del patrimonio familiare, il fondo patrimoniale, introdotto con la Riforma del diritto di famiglia del 1975, attualmente è la sola convenzione matrimoniale che consenta ai coniugi la destinazione di uno o più beni alla soddisfazione dei bisogni familiari (386): è per questo, dunque, che l’istituto è solitamente incluso nel novero dei patrimoni separati (387), in quanto destinato al soddisfacimento di specifici scopi che prevalgono sulla funzione di garanzia per la generalità dei creditori (388).

La responsabilità del fondo patrimoniale è analoga a quella dell’art. 2645 ter (389), ma differisce da quella dei patrimoni destinati allo specifico affare, per i quali opererebbe una separazione patrimoniale perfetta, quando la deliberazione costitutiva non disponesse diversamente (art. 2447 quinquies, comma 3). Lo si deduce dalla lettera dell’art. 170 c.c., dov’è disposto che «l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia», senza preclusione alcuna, tuttavia, circa la pignorabilità dei beni residui, in caso di incapienza del fondo destinato ad sustinenda onera matrimonii: il debito in esubero graverebbe, perciò, sul patrimonio personale del coniuge, sebbene in misura variabile a seconda del regime patrimoniale prescelto.

(385) Nella teoria generale del patrimonio separato, il patrimonio dotale è assurto ad eccezione alla regola della indefettibile indistraibilità dallo scopo di destinazione in corrispondenza della impignorabilità derivante dalla limitazione della garanzia dell’art. 2740, quando i coniugi avessero convenuto, nel costituirlo, la libera disponibilità dei beni dotali: PINO, Il patrimonio separato, Padova, 1950, p. 24, in nota 82.

(386) Un vincolo di destinazione figurava anche nella dote, apportata al marito «per sostenere i pesi del matrimonio» (art. 177 c.c.), e nel patrimonio familiare, costituito dai coniugi per destinarne ogni utilità «a vantaggio della famiglia» (art. 165 c.c.). Sull’ammissibilità d’una trasformazione del patrimonio familiare in fondo patrimoniale, v. Trib. Genova, 3 febbraio 1989, in Dir. famiglia, 1991, 580.

(387) CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, II, Torino, 2001, 85; DE PAOLA, Il diritto

patrimoniale della famiglia coniugale, III, Milano, 1996, 32; AULETTA, Il fondo patrimoniale,

Comm. cod. civ. diretto da Schlesinger, Milano, 1992, sub art. 167, 21; DEL VECCHIO, Contributo

all’analisi del fondo patrimoniale costituito dal terzo, in Riv. not., 1980, 325; JANNUZZI, Manuale

della volontaria giurisdizione, Milano, 1977, 515. Nel senso che il fondo patrimoniale costituisca,

invece, un patrimonio autonomo, LENZI, Struttura e funzione del fondo patrimoniale, in Riv. not., 1991, 54.

(388) Principio espressamente ribadito, da ultimo dalla Cass., 20 giugno 2000, n. 8379, in

Giust. civ., 2000, I, 2584.

(389) Ed infatti, i beni conferiti nel patrimonio separato dell’art. 2645 ter ed i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione solo per debiti contratti per tale scopo.

Sebbene si discuta sulla valenza innovativa della fattispecie (390), è indubbio che l’art. 170 c.c. riproduca, quanto meno, il limite alla espropriabilità che, in deroga al generale principio dell’art. 2740 c.c., già trovò compiuta espressione, sebbene limitatamente ai frutti dei beni conferiti, con riguardo agli istituti della dote e del patrimonio familiare, vigenti sino alla Riforma del 1975. Anche in questo caso la limitazione di responsabilità giova ai coniugi, ma parimenti ne beneficiano i creditori della massa separata, talché la clausola di garanzia esclusiva favorisca l’accesso al credito destinato a soddisfare i bisogni della famiglia, sulla falsariga di quel che accade per l’apporto di terzi nei patrimoni destinati allo specifico affare (391).

In materia è peraltro controverso se la precettività delle norme sulla comunione legale riguardi, in quanto richiamate dall’ultimo comma dell’art. 168 c.c., la sola gestione ed amministrazione dei beni destinati a soddisfare i bisogni della famiglia, ciò che escluderebbe quelle norme che, applicate per analogia, determinerebbero una responsabilità sussidiaria del fondo patrimoniale per le obbligazioni personali dei coniugi (392).

Qualche motivo per dubitare della qualificazione della comunione legale in termini di patrimonio di destinazione sussiste, specie ove si considerasse che i beni che la compongono rispondono d’ogni obbligazione che i coniugi avessero congiuntamente assunta (art. 186, lett. d), c.c.), e ciò quand’anche il debito non fosse contratto per soddisfare i bisogni della famiglia (393). Pertanto, se si propende per l’attribuzione d’una autonomia patrimoniale

(390) Per taluni, il patrimonio separato dell’art. 167 altro non costituirebbe se non un «ammodernamento» del precedente patrimonio familiare (CORSI, Il regime patrimoniale della

famiglia, II, Milano, 1984, p. 84). Altri vi intravedono, invece, un istituto affatto diverso, non una

mera versione ammodernata dell’istituto abrogato (CARRESI, voce Fondo patrimoniale, in Enc. giur.

Treccani, Roma, XIV, 1989, p. 1).

(391) Rispetto ai quali, giova ricordarlo, la separazione patrimoniale riduce il costo del capitale di debito, quale grandezza inversamente proporzionale al rating della società azionaria sovvenuta.

(392) OPPO, Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di famiglia, in Riv. dir. civ., 1976, p. 113 ss., che nella comunione legale, giusta la mera sussidiarietà della responsabilità (pro quota) e la sola postergazione del creditore personale, non rinviene un vincolo di destinazione analogo a quello dell’art. 170 c.c.; contra BIANCA, Diritto civile, 2, Milano, 2001, p. 136, dove si legge che «conformemente alle regole della comunione i beni del fondo rispondono solo in via sussidiaria per le obbligazioni personali di uno dei coniugi o derivanti da atti di straordinaria amministrazione senza il necessario consenso dell’altro coniuge. I beni possono cioè essere aggrediti solo in quanto non siano risultati sufficienti i beni personali dell’obbligato e comunque solo nei limiti della sua quota».

(393) Ne prende atto anche SESTA, Lezioni di diritto di famiglia, Padova, 1997, 167: «lo scopo di soddisfare i bisogni della famiglia è in realtà proprio del “regime primario” che, indipendentemente dal regime secondario prescelto, coinvolge tutti i beni e tutte le rendite dei coniugi, compresi anche i beni personali». Sul tema, v. anche BUSNELLI, La comunione legale nel

diritto di famiglia riformato, in Riv. not., 1976, 41, dove la comunione legale è assimilata alla società

perfetta, alla stregua di classificazioni già adottate nella prima metà del secolo scorso (394) anche il fondo patrimoniale potrebbe allora costituire un patrimonio separato chiuso, costituito per soddisfare un più limitato ceto creditorio, non anche per garantire un diritto di prelazione che, in caso di incapienza del patrimonio destinato, consenta il pignoramento dei beni del patrimonio residuo di provenienza. In senso analogo, dovrebbe del pari escludersi una responsabilità sussidiaria del fondo patrimoniale per i debiti personali dei coniugi, diversamente da quanto disposto dall’art. 190 c.c. per l’eventualità in cui i beni della comunione non fossero sufficienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti.

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