Profili civilistici dei patrimoni separat
11. La responsabilità limitata e il patrimonio separato
Il pregio dei patrimoni destinati allo specifico affare (art. 2447 bis ss.) è, all’evidenza, nella diversificazione del rischio d’impresa devoluta dal legislatore all’autonomia privata, quindi nella separazione che (di regola) preserva la società dalle azioni esecutive dei creditori del patrimonio destinato, incoraggiando l’intrapresa di nuove attività e favorendo, quindi, la massima circolazione della ricchezza. Non è corretto, tuttavia, identificare il patrimonio separato, quale genere d’appartenenza del patrimonio dell’art. 2447 bis, con la limitazione della responsabilità (354), poiché, diversamente, non si comprenderebbe perché l’atto di destinazione non possa, sic et simpliciter, considerarsi nullo: altro dalla causa devolutiva di quell’atto sarebbe, difatti, considerarne la limitazione di responsabilità la minima unità effettuale, che sempre prefigurerebbe una frode al divieto dell’art. 2740 c.c. (355).
(352) GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, 2, Padova, 2004, 499.
(353) E segnatamente del terzo sovventore dell’affare, specie ex art. 2447 decies c.c.
(354) PINO, Il patrimonio separato, Padova, 1950, 12 ss., che nella commistione di quei concetti giuridici intravide un «evidente errore di metodo, giacché la limitazione della garanzia è predisposta per il perseguimento di una funzione, ma non può essere la funzione del patrimonio separato».
(355) Sull’illiceità della causa desunta dallo scopo in concreto divisato dai contraenti, Cass., 4 aprile 2003, n. 5324, in Giust. civ. Mass., 2003, 4: «La causa del contratto si identifica con la
Pur integrandone la caratteristica fisionomica, la limitazione di responsabilità non può dunque costituire il fine primario (o addirittura esclusivo) divisato dal disponente, trattandosi, piuttosto, d’effetto conseguente alla funzionalizzazione della massa separata, al pari del vincolo di inalienabilità-indistraibilità dallo scopo (cui rimedierebbe, tuttavia, il meccanismo della surrogazione reale). Per questo la destinazione dell’art. 2645 ter non muta la ratio dell’art. 2740 c.c., talché l’interesse meritevole di tutela ivi contemplato non possa esaurirsi nella immunità del disponente alle azioni esecutive dei suoi creditori (356). La riprova è nei precedenti giurisprudenziali sul trust interno con finalità abusive o fraudolente (357), benché, sul piano dei rimedi, debba distinguersi tra separazione patrimoniale in frode alla legge, affetta da nullità, e separazione patrimoniale in frode dei creditori (ovvero dei legittimari) al cui proposito elusivo rimedierebbe (non già la nullità, per contrarietà all’ordine pubblico economico, bensì) la tutela revocatoria (ovvero, in ambito successorio, l’azione di riduzione) (358).
Parte della dottrina non è persuasa della effettiva incidenza del patrimonio separato sulla responsabilità dell’art. 2740 c.c. (359). Per questo, quanto ai dispositivi di tutela dei terzi creditori o aventi causa, alla declaratoria di nullità s’è preferita, benché talvolta difficoltosa da esperirsi, la revocatoria, ordinaria o fallimentare, dell’atto di destinazione.
Quand’anche se ne escludesse la più severa sanzione della nullità, il patrimonio separato in frode dei creditori incorrerebbe nella sanzione dell’art. 388 c.p., con la quale è punito (360) chiunque, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna o dei quali sia in corso l’accertamento dinanzi l’Autorità giudiziaria,
funzione economico sociale che il negozio obiettivamente persegue e che il diritto riconosce come rilevante ai fini della tutela apprestata, rimanendo ontologicamente distinta rispetto allo scopo particolare che ciascuna delle due parti si propone di realizzare; ne consegue che si ha illiceità della causa, sia nell’ipotesi di contrarietà di essa a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume, sia nell’ipotesi di utilizzazione dello strumento negoziale per frodare la legge, qualora entrambe le parti attribuiscano al negozio una funzione obiettiva volta al raggiungimento di una comune finalità contraria alla legge».
(356) PETRELLI, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. dir. civ., II, 2006, 181. (357) Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, in Foro it., 2004, I, 1295.
(358) Questo, almeno, quando si convenga che l’abuso della separazione patrimoniale concreti, escluso nell’art. 2740 un principio d’ordine pubblico (come già dimostrarono la legge che ammise la società unipersonale e la ratifica della Convenzione dell’Aja sul riconoscimento del trust del diritto straniero), un atto in frode dei creditori, non anche in frode alla legge.
(359) FALZEA, Introduzione e considerazioni conclusive, in AA.VV., Destinazione di beni allo
scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Milano, 2003, p. 31: «ragionando diversamente tutti
gli atti di alienazione, e, più in generale tutti gli atti di disposizione, dovrebbero considerarsi come limitativi della responsabilità patrimoniale e ricadere sotto il divieto posto dall’art. 2740 c.c. E se non lo sono gli atti di alienazione a fortiori non possono esserlo gli atti di separazione, che certamente rappresentano un minus rispetto ad essi».
compia atti simulati o fraudolenti, sui beni propri o altrui. La giurisprudenza lo ha stabilito con riguardo al trust (361), ma la regola dovrebbe necessariamente valere anche per le altre fattispecie, e segnatamente per il fondo patrimoniale, spesso impiegato proprio per finalità elusive (362).
E’ bene precisare che l’art. 2740 c.c. implica uno status debitorio di soggezione, ma non attribuirebbe, per ciò solo, una corrispondente pretesa al creditore, qualificabile in termini di diritto soggettivo perfetto (363), affinché il debitore preservi la garanzia generica offerta nel momento in cui sorse l’obbligazione (364): se così non fosse, quella potestà
(361) Cass., 23 novembre 2004, n. 48708, in Riv. pen., 2005, 582, proprio con riguardo al trust in danno dei creditori, rispetto ai quali alla sentenza è equiparato il lodo arbitrale di condanna del promissario acquirente inadempiente.
Sul tema, LUPOI, La reazione dell’ordinamento di fronte a trust elusivi, in Trusts e attività
fiduciarie, 2005, p. 333 ss.
(362) L’asserto è supportato da copiosa casistica giudiziale. Si vedano, con riguardo alle sole pronunce degli ultimi anni, Cass., 7 marzo 2005, n. 4933, in Giust. civ. Mass., 2005, 3; Cass., 23 settembre 2004, n. 19131, ivi, 2004, 9; Cass., 8 settembre 2004, n. 18065, in Giust. civ., 2005, I, 997; Cass., 17 marzo 2004, n. 5402, in Giust. civ. Mass., 2004, 3; Trib. Napoli, 6 dicembre 2001, in
Banca, borsa e tit. cred., 2003, II, 482; Cass., 15 marzo 2001, n. 6665, in Giust. civ., 2003, I, 174;
Cass., 27 marzo 2001, n. 4422, ivi, 2001, I, 2654; Cass., 29 novembre 2000, n. 15297, in Giust. civ.
Mass., 2000, 2461; Cass., 20 giugno 2000, n. 8379, in Giust. civ., 2000, I, 2584; Trib. Taranto, 22
marzo 1999, in Foro it., 2000, I, 1258; Cass., 22 gennaio 1999, n. 591, in Giur. it., 2000, 516; Cass., 18 settembre 1997, n. 9292, in Fall., 1998, 679; Trib. Napoli, 16 gennaio 1997, in Giur. merito, 1998, 449; Trib. Nocera Inferiore, 14 marzo 1996, ivi, 1997, 294; Trib. Milano, 17 novembre 1994, in Gius, 1995, 456; Cass., 18 marzo 1994, n. 2604, in Giust. civ. Mass., 1994, 340.
(363) La tutela dell’interesse creditorio ha indotto a strutturare la responsabilità patrimoniale dell’art. 2740 c.c. quale autonomo rapporto giuridico, così da attribuirle finanche la natura di diritto soggettivo: cfr. LASERRA, La responsabilità patrimoniale, Napoli, 1966, p. 287.
(364) Condivisibile, dunque, l’assunto per cui l’art. 2740 non configurerebbe né un obbligo in senso tecnico del debitore, né un diritto soggettivo perfetto in capo al creditore: in questi termini ROPPO, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Tratt. di dir. priv. diretto da Rescigno, XIX, Torino, 1997, 497. In senso conforme NATOLI e BIGLIAZZI GERI, I mezzi di conservazione della
garanzia patrimoniale, Milano, 1974, 2, dove si esclude che, per quanto rilevante, l’interesse
creditorio alla garanzia generica dell’art. 2740 c.c. «possa assumere una propria posizione autonoma e, quindi, la veste di un’autonoma (rispetto al credito) situazione di vantaggio (a sua volta qualificabile in termini di diritto soggettivo) avente a contenuto una pretesa, cui dovrebbe, poi, corrispondere, nel debitore, uno specifico obbligo a mantenere nel proprio patrimonio beni sufficienti ad assicurare che, in caso di inadempimento, il creditore possa ottenere coattivamente l’equivalente pecuniario della prestazione».
In buona sostanza, se la giurisprudenza ha riconosciuto un diritto all’integrità del proprio patrimonio (si pensi ai precedenti sulla risarcibilità della chance perduta), è dunque difficile ipotizzare un analogo diritto all’integrità dell’altrui patrimonio, e segnatamente all’integrità del patrimonio del proprio debitore, in funzione dell’azione esecutiva che l’avente diritto eserciterebbe in caso di inadempimento: al riguardo potrebbe ravvisarsi, tutt’al più, un interesse legittimo di diritto privato, giammai un diritto soggettivo (GENTILE, Il nuovo codice civile commentato, libro sesto,
Della tutela dei diritti, Napoli, 1958, sub art. 2740, p. 195).
Altro è, invece, la responsabilità del terzo che privi il creditore della garanzia generica fornitagli dal patrimonio del proprio debitore (inadempiente). Si tratterebbe, in questo caso, di responsabilità aquiliana (art. 2043 c.c.), ma non propriamente per induzione all’inadempimento, posto che altro dal debito è la correlativa responsabilità patrimoniale: esemplificativa, in questo
creditoria equivarrebbe ad un diritto reale di garanzia, ed in specie ad una sorta di pegno generale sulla totalità dei beni del debitore; né si comprenderebbe perché l’azione pauliana non richieda soltanto l’eventus damni, necessitando altresì della dolosa preordinazione dell’atto dispositivo (art. 2901 c.c.) (365).
Come non incorre in responsabilità il creditore che pignori beni il cui valore sopravanzi l’importo del credito inadempiuto, parimenti non incorrerebbe in alcuna sanzione il debitore che riducesse, per effetto della costituzione del patrimonio separato, la garanzia generica sulla quale fece affidamento il creditore, cui la legge appresta appostiti dispositivi di tutela. Non induce a diverse conclusioni né l’art. 641 c.p., che punisce chiunque, dissimulando il proprio stato d’insolvenza, contragga una obbligazione col proposito di non adempierla, né quella dell’art. 218 legge fall., col quale è analogamente punito l’abusivo ricorso al credito dell’imprenditore commerciale che dissimuli il proprio dissesto: a ben vedere, il disvalore sociale della condotta incriminata non è nel non aver conservato l’integrità dell’originaria garanzia (generica), bensì nell’aver assunto l’obbligazione nella consapevolezza d’arrecare ad altri un ingiusto pregiudizio (366).
12. Il patrimonio destinato allo specifico affare quale paradigma di patrimonio