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Il trust di common law

8. Il trust «interno»

Nel nostro Paese, il rinnovato interesse per l’istituto più caratteristico della common

law è dovuto a quella giurisprudenza che ha riconosciuto il trust c.d. «interno» o

«domestico» (490), quello, cioè, il cui unico elemento d’estraneità consti della legge straniera da applicarsi, scelta ad libitum dal disponente, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione dell’Aja

oneri pubblicitari, e segnatamente la trascrizione, onde poter opporre l’acquisto (in favore della massa separata) ai terzi creditori o aventi causa.

(485) Per la quale occorre, evidentemente, che il beneficiario sia capace di agire. (486) M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, p. 228 ss. (487) M.BIANCA -D’ERRICO -DE DONATO -PRIORE, L’atto notarile di destinazione, Milano, 2006, p. 40.

(488) PARTISANI, La responsabilità civile nella gestione separata dei patrimoni destinati allo

specifico affare, in Resp. civ. e prev., 2006, 1565.

(489) Per l’Agenzia delle Entrate, il reddito prodotto dal trust è segregato dalle altre fonti reddituali che facciano capo al trustee che nemmeno potrà costituirne il soggetto passivo d’imposta, per la destinazione allo specifico scopo divisato dal settlor.

(490) Da ultimo, Trib. Milano, 23 febbraio 2005, che si legge in www.il-trust-in-italia.it, sull’omologa giudiziale delle condizioni di separazione personale tra le quali fu acclusa la costituzione d’un trust autodichiarato dal marito in favore della figlia minore; Trib. Brescia, 12 ottobre 2004, in Trusts, 2005, 83, in un caso di pignoramento eseguito presso il terzo che all’udienza

(491). Il tema, evidentemente, è connesso all’art. 2645 ter, che pare concepito proprio in funzione della trascrivibilità dell’atto di destinazione atipica, quale sarebbe il trust.

La maggior condiscendenza mostrata dalle corti italiane nei confronti dell’istituto muove essenzialmente dal presupposto che l’art. 2 della Convenzione, che definisce il trust (492), ed il successivo art. 11, che ne descrive esaustivamente gli effetti (493), non abbiano natura di diritto internazionale privato, costituendo, piuttosto, norme di diritto sostanziale uniforme capaci di derogare al diritto dello Stato contraente (non trust), in applicazione dei principi di successione delle leggi nel tempo e, segnatamente, del criterio di specialità (lex

specialis posterior derogat priori generali) (494).

Superate le iniziali diffidenze e censure (495), la giurisprudenza maggioritaria oggi ritiene che il trust interno non confligga né con l’art. 2740 c.c., né col numerus clausus dei

di rito dichiarò di detenere le somme asseritamente dovute dalla debitrice (settlor) in qualità di

trustee, così da escluderne la pignorabilità a latere creditoris.

(491) Segnatamente, posta la legge straniera come unico elemento di estraneità, si tratterebbe di trust interno ogniqualvolta si fosse in presenza di un trust istituito da un cittadino italiano, su beni siti nel territorio italiano a favore di beneficiari italiani, residenti in Italia, con trustees anch’essi di nazionalità italiana e residenti in Italia.

(492) A norma del quale «per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico. Il trust presenta le seguenti caratteristiche: a) i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee; b) i beni del trust sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona per conto del

trustee; c) il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di

amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge. Il fatto che il costituente conservi alcune prerogative o che il trustee stesso possieda alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust».

(493) In cui è stabilito, quanto ai caratteristici effetti segregativi, che «Un trust costituito in conformità alla legge specificata al precedente capitolo dovrà essere riconosciuto come trust. Tale riconoscimento implica quanto meno che i beni del trust siano separati dal patrimonio personale del

trustee, che il trustee abbia le capacità di agire in giudizio ed essere citato in giudizio, o di comparire

in qualità di trustee davanti a un notaio o altra persona che rappresenti un’autorità pubblica. Qualora la legge applicabile al trust lo richieda, o lo preveda, tale riconoscimento implicherà, in particolare: a) che i creditori personali del trustee non possano sequestrare i beni del trust; b) che i beni del trust siano separati dal patrimonio del trustee in caso di insolvenza di quest’ultimo o di sua bancarotta; c) che i beni del trust non facciano parte del regime matrimoniale o della successione dei beni del

trustee; d) che la rivendicazione dei beni del trust sia permessa qualora il trustee, in violazione degli

obblighi derivanti dal trust, abbia confuso i beni del trust con i suoi e gli obblighi di un terzo possessore dei beni del trust rimangono soggetti alla legge fissata dalle regole di conflitto del foro».

(494) Ha aderito a questa impostazione MANES, Trust e art. 2740 c.c.: un problema finalmente

risolto, in Contr. e impr., 2002, 575 ss.: «che il nostro ordinamento giuridico veda formarsi a fronte

del processo di internazionalizzazione dei rapporti economici un diritto privato uniforme, è dato di evidenza palese cui si accompagna la conseguenza tecnico-giuridica della integrazione e riorganizzazione del tradizionale sistema delle fonti così come consegnatoci dalle preleggi» (577).

(495) In questo senso cfr., tra le pronunce più significative, Trib. Oristano, 15 marzo 1956, in

diritti reali e degli atti passibili di trascrizione, ammettendone la piena validità ed efficacia ove l’autonomia privata non persegua finalità abusive o fraudolente (496).

L’inammissibilità del trust interno non potrebbe (più) reggersi sull’art. 2740 c.c., nel quale non s’esplicherebbe un principio d’ordine pubblico economico (art. 16, legge 31 maggio 1995, n. 218; art. 1343 c.c.) (497), poiché, diversamente, l’effetto segregativo (specie quando si trattasse di trust autodichiarato) riceverebbe un trattamento deteriore rispetto a quello riservato agli altri modelli di patrimonio separato del nostro sistema positivo (498), ed in specie rispetto a quello dell’art. 2645 ter. Né è parso risolutivo l’art. 13 della Convenzione, che riconosce la facoltà degli Stati aderenti di disconoscere il trust i cui elementi importanti, ad eccezione della lex fori, del luogo di amministrazione e della residenza o sede del trustee, siano più strettamente collegati ad ordinamenti che non disciplinino il trust (499).

Tra le pronunce più risalenti in materia, invece, v. App. Cagliari, 12 maggio 1898, in Giur.

it., 1898, I, 2, 612; Cass. Roma, 21 febbraio 1899, in Foro it., 1900, I, 593; Cass. Napoli, 29 marzo

1909, in Giur. it., 1909, I, 1, 649: «La costituzione di un trust secondo le leggi inglesi non è un fedecommesso né da vita ad un ente giuridico autonomo, organizzando semplicemente una amministrazione a scopo di conservazione del patrimonio nell’interesse dei successivi chiamati a goderne. Perciò se l’erede fu istituito anche usufruttuario dei beni che sono oggetto del trust, è legalmente proposta contro di lui l’azione di pagamento di un legato periodico assegnato dal defunto sulle rendite del trust».

(496) Da ultimo, v. Trib. Bologna, 1° ottobre 2003,cit. supra: «Il negozio di trust, e più precisamente il c.d. “trust interno” o domestico, persegue un interesse meritevole di tutela, non contrasta con norme imperative o con principi d’ordine pubblico ed ha l’effetto di segregare i beni trasferiti rispetto al restante patrimonio del trustee; esso pertanto è valido ed efficace a meno che non abbia intenti abusivi o fraudolenti».

(497) Contra Trib. Santa Maria Capua Vetere, 14.7.1999, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 251, che rigettò il reclamo avverso la Conservatoria dei registri immobiliari che rifiutò la trascrizione d’un trust interno, motivando che «non sono riconoscibili i trust puramente domestici, privi di elementi di estraneità: costituiti in Italia, da cittadini italiani e che abbiano ivi i loro elementi soggettivi ed oggettivi solo sulla base del presupposto che richiamino, ai fini della regolamentazione, la legge di un ordinamento che riconosca l’istituto; che, a voler diversamente ragionare, la formazione di un trust retto da legge straniera, quando tutti gli elementi della fattispecie si riferiscono all’ordinamento italiano, potrebbe rappresentare un abuso della regola normativa che permette la scelta della legge applicabile, abuso che potrebbe portare alla deroga di disposizioni imperative del diritto italiano, in particolare a quella prevista dall’art. 2740 c.c.».

(498) Tra le quali proprio i patrimoni destinati allo specifico affare dell’art. 2447 bis c.c., cui espressamente allude, in parte motiva, il Trib. Firenze, 30 giugno 2005, in Banca dati giurisprudenziale Juris data, della Giuffrè. In senso conforme il Trib. Bologna, 1° ottobre 2003, cit.; Trib. Lucca, 23 settembre 1997, in Foro it., 1998, I, 2007, con nota di Brunetti, dove si legge che «la separazione o, come si dice più spesso anche nell’atto in esame, la “segregazione” dei beni dal patrimonio del loro titolare è dato caratteristico e qualificante di ogni trust, sicché l’art. 2740 c.c. e le altre norme invocate precluderebbero l’esistenza giuridica per il nostro ordinamento di qualsiasi

trust, mentre c’è la legge di ratifica che sancisce il contrario».

(499) Trib. Brescia, 12 ottobre 2004, cit., nel senso che ai fini dell’art. 13 Conv. de L’Aja non fosse sufficiente la presenza di un trust i cui elementi significativi fossero collegati con lo Stato

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