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L’insolvenza del (solo) patrimonio destinato

Il patrimonio destinato allo specifico affare nella legge fallimentare S OMMARIO : 1 I patrimoni destinati nella riforma fallimentare 2 L’insolvenza del

2. L’insolvenza del (solo) patrimonio destinato

Poiché il patrimonio destinato assume debiti propri (135), potrebbe sopravvenirne l’insolvenza (136) benché prosperino gli altri affari intrapresi dalla società. E’ per questo che, nel consentire che le società per azioni costituissero patrimoni dedicati ad uno specifico affare (determinandone condizioni, limiti e modalità di rendicontazione, con la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione ad esso e con la previsione d’adeguate forme di pubblicità), l’art. 4, comma 4, lett. b), della l. 3 ottobre 2001, n. 366, esortò il legislatore delegato a stabilirne tanto il regime di responsabilità, quanto quello delle eventuali insolvenze che, in tal modo, furono marcatamente distinte dalle mere inadempienze (137).

Disattendendo quella delega, l’art. 2447 novies c.c. s’è peraltro disinteressato delle insolvenze, occupandosi della sola disciplina del rendiconto finale a conclusione dell’affare (realizzato o divenuto irrealizzabile), prevedendo, al primo capoverso, che quando non fossero state integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare, i creditori del patrimonio destinato avrebbero potuto richiederne la liquidazione agli organi societari (138) (mediante lettera raccomandata da inoltrare alla società entro novanta giorni dal deposito del rendiconto finale presso l’ufficio del registro delle imprese), in tal caso applicandosi, in quanto compatibili, le procedure liquidative ordinarie della società (139).

Pressoché unanime è stato, tuttavia, l’avallo dottrinario all’interpretazione estensiva dell’art. 2447 novies c.c., riferito anche all’insolvenza (quale presupposto oggettivo del fallimento, ed anch’essa) da intendesi quale causa d’impossibilità sopravvenuta di prosecuzione dell’affare e, quindi, di cessazione anticipata del vincolo di segregazione

(135) FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, I, 1, Roma, 1921, 875, dove il patrimonio separato è definito come patrimonio «giuridicamente distinto dal restante patrimonio della persona, capace di propri rapporti e di propri debiti ed insensibile alle fluttuazioni ed alle vicende di cui è colpito il patrimonio che gli sta a lato o nel cui seno egli vive» (anche qui il corsivo è dell’Autore).

(136) Tanto al momento del deposito del rendiconto finale presso l’ufficio del registro delle imprese, quanto nel corso della realizzazione dello specifico affare.

(137) Ciò coerentemente all’idea che l’insolvenza, che involge la totalità del ceto creditorio e quindi del patrimonio del debitore, propriamente non coincida con l’inadempimento, che di contro attiene a singole obbligazioni e quindi alle azioni esecutive individuali degli artt. 2910 ss. c.c. e 474 c.p.c. (su beni singolarmente individuati). Del resto, altro dall’insolvenza è l’inadempimento: «la prima è l’impossibilità di adempiere regolarmente; il secondo è uno dei modi mediante i quali l’insolvenza può manifestarsi all’esterno» (GALGANO, Diritto civile e commerciale, IV, Padova, 1999, 330).

(138) Ora solo gli amministratori, con l’esclusione del consiglio di gestione, ai sensi dell’art. 5.1, lett. gg), d. lgs. 6 febbraio 2004, n. 37.

(139) S’osservi, a questo proposito, come le cause di cessazione del patrimonio destinato coincidano con quelle di scioglimento della società di cui al n. 2 dell’art. 2484 c.c.

impresso sul patrimonio a ciò destinato (140). Sennonché, se nessuna questione poteva evidentemente porsi allorché alla liquidazione volontaria del patrimonio destinato fosse residuato un attivo, poiché lo si sarebbe senz’altro «retrocesso» al patrimonio della società, con conseguente confusione dei beni e rapporti giuridici prima separati in funzione della cessata destinazione di scopo, ben più complesse si rivelarono le sorti del patrimonio destinato incapace di soddisfare le proprie obbligazioni, poiché la carente soggettività giuridica, unitamente alla regola per la quale, nel nostro sistema, chi fallisce è l’imprenditore, non il patrimonio d’impresa (così da non ammettersi, almeno di regola, un «fallimento senza fallito»), ne rese controversa l’assoggettabilità (anche) al fallimento, in luogo della liquidazione dell’art. 2487, 1° comma, lett. c), c.c. (141).

Trascurando che anche la liquidazione (concorsuale) dell’eredità beneficiata avrebbe prefigurato una procedura assimilabile al fallimento d’un patrimonio non personificato, è stata l’assenza di soggettività propria, dunque, l’argomento prevalentemente invalso in dottrina per negare l’autonoma fallibilità del patrimonio destinato allo specifico affare (142), nel presupposto che le procedure concorsuali comunque avrebbero richiesto «la sussistenza di significativi dati soggettivi», così da non potersi estendere al patrimonio separato il fallimento che la giurisprudenza invece estese non solo alle fondazioni (143) ma anche alle associazioni non riconosciute (144), avendo principalmente riguardo ai profili (oggettivi) dell’attività (imprenditoriale) svolta dall’ente altrimenti privo della qualifica soggettiva dell’art. 1 l. fall.

(140) MANFEROCE, Soggezione alle procedure concorsuali dei patrimoni dedicati, in

Fallimento, 2003, 1245; BOZZA, Patrimoni destinati, partecipazioni statali, s.a.a., in LO CASCIO (a cura di), La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 143; ROCCO DI TORREPADULA, Patrimoni

destinati e insolvenza, in Giur. comm., 2004, I, 48, nel presupposto del carattere di specialità

dell’insolvenza rispetto all’inadempimento, ove ampi richiami bibliografici (in nota 35).

(141) Sul tema APICE, Riflessi della riforma del diritto societario sul fallimento, in Dir. fall., 2005, 349.

(142) DE ANGELIS, Dal capitale «leggero» al capitale «sottile»: si abbassa il livello di tutela

dei creditori, in Le società, 2002, 1462. Sull’esclusione dell’autonoma fallibilità del patrimonio

destinato, anche CIAMPI, Patrimoni e finanziamenti destinati in rapporto con le regole del concorso

fallimentare, in Le Società, 2004, 1213 ss.

(143) FAUCEGLIA, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Fallimento, 2003, 814, ove l’espresso richiamo al Trib. Milano, 16 luglio 1998, in Fallimento, 1999, 445; in Giur. it., 1999, 1678, sulla soggezione a fallimento della fondazione che avesse professionalmente esercitato un’attività economica organizzata non più strumentale al perseguimento dei propri fini, con estensione delle procedure concorsuali a coloro che ne avessero esternamente manifestato la volontà.

(144) Da ultimo, App. Genova, 16 luglio 2003, in Fallimento, 2004, 580, ove fu peraltro esclusa l’estensibilità ex art. 147 l. fall. del fallimento agli associati, nel presupposto dell’assenza d’una loro responsabilità illimitata per la totalità delle obbligazioni assunte dall’associazione. Contra il Trib. Palermo, 24 febbraio 1997, in Giur. comm., 1999, II, 440, nel presupposto, questa volta, che

Quell’architettura avrebbe discutibilmente sottratto lo specifico affare alla maggior incisività della revocatoria fallimentare (in specie dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili ovvero delle ipoteche giudiziali iscritte sugli immobili del patrimonio separato) (145); assicurato una sostanziale immunità per quei reati (quali la bancarotta) in cui il fallimento assurge a condizione di punibilità (146); implicato una disparità di trattamento tra i creditori dell’impresa esercitata in forma societaria, da un lato, ed i creditori dell’impresa esercitata nel regime di separatezza patrimoniale dell’art. 2447 bis c.c., dall’altro, poiché in caso d’incapienza del patrimonio destinato allo specifico affare i creditori «particolari» avrebbero potuto avvalersi dell’azione esecutiva individuale inibita dall’art. 51 l. fall., ma non anche dalle procedure di liquidazione concorsuale delle società di capitali. Per questo maturò l’idea per cui (almeno) concettualmente nulla avrebbe ostato alla fallibilità del patrimonio destinato allo specifico affare (147), sulla falsariga del fallimento dell’imprenditore defunto (art. 11, l. fall.) che avrebbe parimenti prefigurato «un fallimento senza fallito, avente ad oggetto un patrimonio separato, del quale, in caso di accettazione dell’eredità, sono titolari gli eredi» (148), appalesando l’insolvenza quale evento concernente l’attività d’impresa, non già colui (l’imprenditore) che l’avesse esercitata (149).

l’associazione non riconosciuta esercente l’impresa commerciale invero prefigurasse una società di fatto.

(145) GUGLIELMUCCI, I patrimoni destinati: una zona franca per l’esercizio di attività

d’impresa, in Dir. fall., 2005, 1178.

(146) In generale, sui profili penali dell’insolvenza, v. DILONARDO, Gli illeciti civili e penali

dell’imprenditore, Padova, 2003, 298 ss.

(147) Specie in rapporto alla fallibilità dei patrimoni separati prevista in altri ordinamenti, e segnatamente in quello tedesco che al § 11 della Legge sull’insolvenza (Insolvenzordnung) del 5 ottobre 1994 ammette che la procedura possa aprirsi «sul patrimonio» (anche separato) di ogni persona fisica o giuridica (cfr. GUGLIELMUCCI, I patrimoni destinati: una zona franca per l’esercizio

di attività d’impresa, in Dir. fall., 2005, 1176, in nota 5).

(148) GUGLIELMUCCI, Patrimoni destinati e insolvenza, in www.fallimento.ipsoa.it, nella convinzione che il fallimento invero concreti uno strumento di regolazione di rapporti patrimoniali correlati all’insolvenza d’una attività d’impresa. Analogamente ROCCO DI TORREPADULA, Patrimoni

destinati e insolvenza, cit., 51 ss., anch’egli in base all’assenza di un soggetto non solo nel fallimento

dell’imprenditore defunto, ma anche nel fallimento dell’imprenditore incapace e dell’impresa continuata dal curatore a norma dell’art. 90 l. fall. (Nel senso, invece, che «lungi dall’essere una

faillite sans failli il fallimento del defunto è la più energica affermazione del soggetto, che sopravvive

come centro di imputazione alla propria morte», SATTA, I soggetti del fallimento, in Riv. trim. dir. e

proc. civ., 1960, 128. Sul tema anche SAVI, Il fallimento dell’imprenditore defunto, Milano, 1976). (149) In favore dell’apertura della procedura concorsuale limitatamente alla massa patrimoniale separata, anche LAMANDINI, I patrimoni «destinati» nell’esperienza societaria. Prime

note sul d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in Riv. soc., 2003, 502; MEOLI, Patrimoni destinati e

insolvenza, cit., 117; ARLT, I patrimoni destinati ad uno specifico affare: le protected cell companies

italiane, in Contr. e impr., 2004, 249, specie alla nota 98, ove s’è ritenuto che proprio l’art. 4, comma

4°, lett. b) della legge delega avesse imposto al legislatore delegato la predisposizione d’apposita procedura concorsuale per il patrimonio destinato allo specifico affare.

Rimediando a quell’impasse, il legislatore societario opportunamente ha integrato la disciplina delle insolvenze dei patrimoni dell’art. 2447 bis c.c., con la rinuncia alla miglior giustizia distributiva della loro autonoma fallibilità: l’art. 20 del d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310 (recante integrazioni e correzioni alla disciplina del diritto societario) ha infatti modificato l’ultimo periodo del capoverso dell’art. 2447 novies c.c., in cui è ora statuito che nel caso in cui non fossero state integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte nella realizzazione dello specifico affare, s’applicheranno «esclusivamente» le disposizioni sulla liquidazione della società di cui al capo VIII del Titolo V, «in quanto compatibili»; il che col dichiarato intento, che si legge proprio nella Relazione ministeriale (150), di «escludere che il patrimonio separato possa essere dichiarato insolvente e fallire autonomamente rispetto alla società che lo ha creato», soggiungendosi che «la clausola di compatibilità è stata qui inserita al solo fine di adeguare la disciplina della liquidazione civile alle peculiarità della struttura del patrimonio destinato».

Il patrimonio destinato diverrebbe, dunque, una «zona franca» dalle procedure concorsuali: «anche la gestione dell’insolvenza forma oggetto di negoziazione fra imprenditore-società per azioni e creditori contrattuali», ciò che trarrebbe conferma proprio dall’inopponibilità del vincolo di scopo ai creditori involontari (art. 2447 quinquies, comma 3, c.c.) (151). In tal modo il codice civile, ancor prima della legge fallimentare, ha escluso che l’insolvenza del patrimonio destinato si propaghi alla società capiente, che non potrà perciò solo esser dichiarata fallita (152), con l’unica parziale eccezione della responsabilità illimitata (e sussidiaria) dell’art. 2447 quinquies, commi 3 e 4, c.c., ed ha altresì evitato che all’anomalia d’un fallimento senza fallito (153) s’aggiungesse la ancor più singolare fallibilità dell’imprenditore in bonis.

(150) Ed è davvero significativo che la Relazione allo schema del decreto delegato espressamente alluda, con riguardo all’art. 2447 novies c.c., proprio ad «ipotesi di insolvenza del patrimonio separato», in luogo della mera sua inadempienza.

(151) SANTAGATA, Patrimoni destinati ed azioni revocatorie, in Riv. dir. comm., 2005, 306. (152) Diversa conclusione fu in precedenza ipotizzata da LOCORATOLO, «Patrimoni destinati»

e insolvenza, Napoli, 2005, p. 177; ARLT, I patrimoni destinati ad uno specifico affare: le protected cell companies italiane, cit., 350, nel senso che, in assenza d’interventi correttivi legislativi o giurisprudenziali, la crisi economica della cellula si sarebbe dovuta necessariamente estendere al nucleo in bonis, compromettendo la stessa funzionalità dell’istituto salva la possibilità d’adottare misure straordinarie, quale la costituzione (ma nel limite quantitativo dell’art. 2447 bis, 2° comma, c.c.) d’una cellula destinata a ripianare l’esposizione debitoria dell’altro patrimonio destinato (allo specifico affare) insolvente.

(153) Il fallimento post mortem dell’imprenditore comporta, comunque, l’acquisizione del patrimonio da questi relitto all’attivo fallimentare, nonché la separazione del patrimonio stesso da quello degli eredi (quando tale effetto non fosse già stato perseguito tramite l’accettazione con beneficio d’inventario), onde consentire ai creditori dell’imprenditore defunto, ammessi al

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