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IL TURISMO PER UNO SVILUPPO LOCALE SOSTENIBILE

2. Che consumatore (turistico) sostenibile sei?

2.3 L ’ analisi dei dat

Dalle risultanze dell’indagine sono emersi innanzitutto alcuni aspetti generali dei consumatori ecologicamente orientati utili a sostenere alcune ipotesi teoriche già riportate nell’ambito del presente lavoro. Innanzi tutto, va evidenziato come la maggior parte dei rispondenti rifiutino una divisione per compartimenti stagni delle problematiche ambientali dimostrando una sensibilità generale ai problemi ambientali posti dalla questione ecologica. Anzi, molto di più, la maggior parte degli intervistati mostra di reputare le diverse componenti dello sviluppo sostenibile (ambientale, sociale, economica), “tutte parimenti importanti” (44%).

Sul significato di “essere un consumatore sostenibile” viene messa in evidenza, accanto all’esigenza di ridurre i consumi192, anche una componente “proattiva”, ovvero che ritiene di gestire attraverso il consumo sia un orizzonte “politico” che punisce le imprese in virtù del loro comportamento irresponsabile e dannoso in ambito sociale e ambientale (boicottaggio), sia dal punto di vista della scelta di prodotti e servizi “ecologici”. Segno che laddove non si ritenga di poter ridurre le esigenze di consumo, ci si impegna almeno a ridurne gli impatti più negativi. In questo senso, si mettono in atto meccanismi punitivi e premianti che si rafforzano a vicenda e contribuiscono alla diffusione di una responsabilità condivisa tra consumatori e impresa193.

190 Secondo i più recenti dati Audiweb, l’accesso alla rete si conferma ampiamente diffuso su tutto il territorio e a tutti i livelli socio-demografici, ma con una concentrazione quasi totale tra i giovani (oltre il 92% degli individui di età compresa tra gli 11 e 34 anni) e tra i profili più qualificati in termini di istruzione e condizione professionale (Audiweb Trends, dicembre 2012, Sintesi dei dati sulla

diffusione dell’online in Italia, http://www.audiweb.it/cms/view.php?id=4&cms_pk=277).

191 Un’indagine condotta da … nel … ha evidenziato chiaramente che i cluster caratterizzati da una forte consapevolezza in merito alle tematiche ambientali sono anche quelli che prestano maggiore attenzione all’acquisto dei prodotti (il cluster è definito infatti “ci guardo bene”). All’interno di tale cluster la composizione socio-anagrafica è fortemente sbilanciata nei confronti di coloro che hanno un’età relativamente giovane (sotto i 55 anni) nonché un titolo di studio elevato: laurea 32,9%; post- laurea 32,8%. (ANCC Coop, 2008, La scelta verde e il Progetto Promise: il consumo sostenibile come

stile di vita. Il punto di vista dei consumatori,

http://www.po.camcom.it/doc/iniziative/2009_csr/progettoPromise.pdf).

192 Alla domanda “Essere un consumatore sostenibile per te significa: ridurre le proprie esigenze di consumo” risponde “molto” il 50% degli intervistati.

Sul che cosa significhi “essere ecologico” di un prodotto, si sono registrate invece maggiori incertezze. A noi preme qui sottolineare come assuma particolare rilevanza il concetto di “filiera corta” e produzione “biologica”194.

In generale, infatti, nelle tematiche ecologiche è risultata una grande attenzione alle conseguenze sulla propria salute195, in linea, se vogliamo con la percezione individuale di crescenti rischi sistemici. Filiera corta e agricoltura biologica allora sembrano diventare sinonimi di maggiore sicurezza, ma anche sinonimi di un diverso approccio ai consumi, allo sfruttamento intensivo della terra in agricoltura. In generale, diventano sinonimo di uno stile di vita più slow196.

La scelta ecologica o responsabile nel consumo rimanda questo atto individuale ad una dimensione collettiva più ampia nella quale l’individuo percepisce di essere coinvolto: una “comunità di sentimento” ma anche “di destino”, che potenzialmente coinvolge l’intero pianeta197, ma che tende a declinarsi prioritariamente sul contesto locale, nel quale i problemi e le soluzioni vengono percepite evidentemente più urgenti.

Si innesca, infatti, una sorta di effetto NIMBY198 al contrario per cui, ad esempio, a forme promozionali legate all’acquisto ecologico che prevedano contributi alla realizzazione di progetti sostenibili in paesi in via di sviluppo, viene preferita la dimensione nazionale, addirittura legata all’ambito residenziale199.

A questo proposito, vale la tesi per cui sono i contesti occidentali le prime “società del rischio” in cui la riflessività appare quindi maggiormente accentuata e nelle quali, quindi, si sviluppano e si moltiplicano forme “prosumeristiche” inedite che, fino a

prodotti di aziende che hanno comportamenti dannosi in ambito sociale e ambientale” raggiunge il 69% dei consensi. Inoltre, tra i fattori che influenzano la scelta di un prodotto in generale “l’impegno sociale dell’azienda/sostegno a prodotti etici e ambientali” ottiene il 50% delle corrispondenze a “molto”. Mentre l’item “comprare prodotti ecologici” raggiunge il 38%, cui si somma però un altro 38% che ha risposto “abbastanza”.

194 All’item “Per te un prodotto è ecologico se: posso comprarlo direttamente dal produttore locale” hanno risposto “molto” il 49% degli intervistati. Mentre all’item “se proviene da agricoltura biologica” hanno risposto molto il 42% degli intervistati, anche se c’è scarsa fiducia nell’etichetta ecologica (all’item “se può vantare un’etichetta ecologica” hanno risposto “molto” solo il 17%). 195 Infatti, tra gli aspetti cui si pone maggiore attenzione pensando ai prodotti/servizi ecologici, il 40% dei

rispondenti ha indicato “l’impatto che possono avere sulla salute”.

196 Alla domanda “Scelgo i cibi biologici perchè:”, ben il 43%, snobbando la salute (“mi fanno bene” 19%), ha risposto: “l’agricoltura biologica si fonda su valori che apprezzo”. Valori esemplificati, ad esempio, nel movimento culturale Slow food.

197 L’affermazione “penso che scegliendo e utilizzando prodotti ecologici si ridurranno i carichi inquinanti complessivi sull’ambiente e quindi ne trarrò vantaggio anch’io” ha ottenuto ben il 63% dei consensi.

198 Acronimo inglese che sta per “Not In My Back Yard”, letteralmente “Non nel mio cortile” ed indica appunto l’atteggiamento di rifiuto incondizionato da parte delle popolazioni locali interessate dalla costruzione di opere spesso di interesse collettivo ma dalle possibili ricadute negative sul territorio interessato. In questo senso si tratta di un atteggiamento simile a quello del free rider, il quale usufruisce o vorrebbe usufruire dei vantaggi di un bene collettivo senza accollarsene gli oneri.

199 All’item Quali di queste forme promozionali apprezzeresti maggiormente se legate agli acquisti ecologici da te fatti?”, il 37% ha risposto “contributo alla realizzazione di progetti sostenibili in paesi in via di sviluppo” mentre il 44% ha scelto “ contributo alla realizzazione di progetti sostenibili in Italia” e ancora il 44% ha scelto “nella citta/paese in cui vivo” (la somma supera il 100% in quanto era possibile selezionare più opzioni). Inoltre, anche il Made in Italy diventa sinonimo, oltre che di qualità dei prodotti (31%) e filiera corta (19%), soprattutto di “sostegno all’economia nazionale” (41%).

qualche anno fa potevano riferirsi maggiormente a contesti lontani e dalle condizioni di vita più difficili come, appunto, i paesi in via di sviluppo.

Anche il turismo, quindi, non sfugge a questa tensione e viene ripensato come forma di sviluppo alternativo che coniughi crescita economica e rispetto dei territori e delle identità locali, anche occidentali. Una forma riflessiva che necessita e richiede una dimensione maggiormente comunitaria, intesa non tanto in senso “comunitaristico”, bensì come crescita del capitale sociale collettivo, come crescita della fiducia e della collaborazione reciproche, anzi, come “crescita della fiducia in una reciproca collaborazione”200.

Come abbiamo già detto, l’analisi di una di queste forme sperimentali locali, capace di generare cooperazione e sviluppo in un’ottica sostenibile, riguarderà l’indagine, squisitamente qualitativa, del “Turismo di comunità” di Cerreto Alpi. Ma prima di passare a tale contesto, concludiamo le risultanze delle domande specifiche sul turismo sostenibile inserite nell’indagine “Che consumatore sostenibile sei?”.

La prima di questi quesiti voleva indagare, in riferimento alla sostenibilità, l’attenzione posta dagli intervistati ad alcuni fattori critici del fare vacanza, per capire quale poteva essere il grado di attenzione a tali fattori e quali potevano rappresentare un atteggiamento favorevole già in atto nei confronti della sostenibilità nel turismo.

Ne è risultato che, nel scegliere una destinazione di vacanza, pochi (23%) pongono “molta” attenzione al fatto che “la località sia facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici”, che “sia a conduzione familiare” (25%) o che “le strutture ricettive abbiano certificazioni ambientali” (appena 8%). Mentre risultano “molto” apprezzati luoghi in cui “ci si possa muovere facilmente a piedi o in bicicletta” (45%), in cui “la natura sia integra e tutelata” (58%) e “poco frequentati dai turisti” (40%).

Per i consumatori ecologicamente orientati, allora, il turismo sembrerebbe assumere, in altri termini, una dimensione che viene ampiamente connotata da uno “sguardo romantico” e che si identifica in gran parte con l’ecoturismo, cioè con il turismo «rivolto verso aree naturali relativamente indisturbate o incontaminate con lo specifico obiettivo di studiare, ammirare e apprezzare lo scenario, le sue piante e animali selvaggi, così come ogni manifestazione culturale esistente (passata e presente) delle aree di destinazione», un turismo che diventa presto, soprattutto nelle aree occidentali, sinonimo stesso di turismo responsabile, cioè volto ad una tutela e valorizzazione delle aree non urbanizzate, le quali, in quanto attrattive, diventano anche occasione di uno sviluppo locale sostenibile e partecipato dalle popolazioni interessate201.

200 Nell’indagine si voleva approfondire proprio l’aspetto della dimensione comunitaria, quindi, si è pensato di inserire la domanda: “Ritieni che il consumo sostenibile possa avere più possibilità di successo in comunità in cui vi è un rapporto sinergico più frequente e spiccato tra gli individui che la compongono?”. Ebbene, pochissimi hanno risposto “no” (9%), mentre tra chi ha risposto “sì”, praticamente nessuno ha ritenuto che la giovane età dei membri potesse fare la differenza (1%), come neppure la dimensione contenuta della comunità (9%) e neanche hanno ritenuto che le sinergie debbano essere “spontanee e non organizzate” (5%). Bensì, il 53% ha ritenuto fondamentale che “le sinergie siano organizzate e che tutti facciano la loro parte”.

201 Così almeno secondo il sito dell’Associazione Italiana Turismo Responsabile, nel quale è anche riportata la definizione succitata di ecoturismo fornita negli anni ‘80 l’architetto messicano Hector Ceballos-Lascurain (Cfr. Aitr, Ecoturismo,

http://www.aitr.org/index.php?option=com_content&view=article&id=847%3A- lecoturismo&catid=267%3Acome&Itemid=470&lang=it).

Mentre, da un’offerta di turismo dichiaratamente sostenibile, essi, chiaramente, si aspettano “molto” «che il programma preveda azioni volte a ridurre i consumi energetici e l’inquinamento» (59%), sottolineando che la dimensione quantitativa e ambientale della sostenibilità rappresenta un po’ sempre il leit motiv imprescindibile. Ma ci si aspetta anche che vengano valorizzate le tipicità locali (“molto”=55%), una «relazione autentica con la popolazione locale» (44%), ma soprattutto che si prevedano «momenti di contatto con la natura» (61%).

Dall’altra parte però, molto onestamente, sono pochi coloro che hanno dichiarato che si aspettano di doversi «adattare a maggiori disagi» o che si aspettano di «dover optare per un periodo fuori stagione»202. Segno che non si è disposti a troppe rinunce o disagi: il turismo è prevalentemente “vacanza” e la sostenibilità non può fare a pugni con il relax e una certa “leggerezza”.

Inoltre, seppur precedentemente era emerso che la preferenza in merito alla scelta della destinazione turistica teneva in grande considerazione la scarsa presenza di altri turisti, in questa domanda dove, lo ricordiamo, si chiedeva cosa ci si aspetta da un’offerta di turismo sostenibile, hanno risposto “molto” all’item «che ci siano pochi altri turisti» appena il 12% degli intervistati.

Come interpretare tale risposta? Abbiamo cercato di approfondirlo nel Questionario 2, chiedendo espressamente cosa indurrebbe a pensare la presenza di molti altri turisti in una vacanza dichiaratamente sostenibile. Ebbene, la “delusione” è risultata tra i sentimenti meno presi in considerazione (13%), né perché avrebbero pensato ad una vacanza in posti remoti e poco frequentati (6%), né perché ritengano che una vacanza sostenibile debba essere per pochi (7%). Semplicemente, il 41% penserebbe «che si tratta di un pacchetto turistico ben confezionato», mentre il 42% ne sarebbe addirittura contento perché lo leggerebbe come il segnale della diffusione di scelte sostenibili. In altre parole, parlando espressamente di offerta sostenibile, sembrerebbe venir meno lo sguardo romantico che sembrava invece dominare nelle preferenze turistiche precedentemente espresse. Infatti, anche la presenza di altri turisti non creerebbe particolari problemi.

In altre parole, forse più che in altri contesti di consumo, la scelta di un’offerta sostenibile nel turismo viene intesa come una modalità premiante (buycottaggio), del tipo: se mi fosse offerta la possibilità sceglierei questa opzione e mi auguro che lo facciano in molti. Si tratterebbe, quindi, in altri termini, di una sorta di reazione all’oggetto della domanda, dove l’accento è stato posto più sulla sostenibilità dell’offerta che sul contesto di vacanza.

Si tratti di un auspicio o meno alla diffusione di forme sostenibili anche in contesti già fortemente connotati dall’attività turistica, rimane l’impressione che non si ricerchi necessariamente un isolamento dal mondo bensì un’offerta capace di conciliare i tradizionali aspetti della vacanza con quelli di una maggiore responsabilità.

Risulta quindi fondamentale il ruolo dell’offerta nell’organizzazione turistica in quanto

202 Si aspettano molto «di doversi adattare a maggiori disagi» (e quindi ritengono che non possa darsi turismo sostenibile con tutti i confort), appena il 7% dei rispondenti (rispondono “abbastanza” il 22%). Mentre quelli secondo cui il turismo sostenibile è quello fuori stagione e quindi si aspettano di dover optare per questi periodi, sono appena l’8% (rispondono “abbastanza” il 20%).

principale soggetto attivo nella promozione di un “prodotto” che possa dirsi responsabile e sostenibile.

Si mostra quindi soprattutto in questo senso l’importanza della pratica del Community-

Based Tourism quale forma forse privilegiata per organizzare e promuovere, in un’ottica

di “Responsabilità Sociale Condivisa”, offerte di turismo responsabile e sostenibile che abbiano anche una valenza educativa nei confronti della domanda.

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