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Natura e ruralità come risorsa turistica “glocale”

IL TURISMO TRA GLOBALE E LOCALE

2. Tornare a casa Le conseguenze della globalizzazione sui contesti locali occidental

2.4 Natura e ruralità come risorsa turistica “glocale”

La globalizzazione, grazie anche e soprattutto all’immaginario performativo dei fussi comunicazionali, trasforma la struttura delle attrazioni turistiche da una modalità centro- periferia – per cui solo alcune località rappresentavano il centro dell’interesse turistico mentre le altre venivano relegate tutt’al più una sorta di periferia confinante con le

160 É questa la tesi sostenuta, ad esempio, da ecologisti critici nei confronti della globalizzazione come Jerry Mander e Edward Goldsmith (1998) riconducibili alle tesi dell’ecologia profonda (vd. anche Cap. II) applicata all’economia e alla cultura dei popoli.

“terre di nessuno” - ad una modalità di tipo reticolare, orizzontale e diffusa, «senza alcun vincolo di gerarchia sociale o territoriale» (Savelli 2008, p. 15).

La nuova struttura dettata dal paradigma della mobilità dei flussi diventa “appropriabile” come risorsa per il locale, vale a dire «utilizzabile per far emergere le risorse locali, per organizzarle secondo codici locali, per costruire e diffondere una coscienza delle opportunità che la nuova infrastrutturazione globale offre alla specificità dei singoli luoghi e in fine per costruire percorsi di identificazione locale dei soggetti, pur nel continuo dialogo con tutti gli altri “luoghi” della dimensione globale» (ivi). In questo senso si parla, infatti - contrariamente al glocalismo di difesa di cui si accennava poc’anzi - di “nuovi protagonismi locali”, per cui ogni area si trova proiettata dalla condizione di periferia a quella, appunto, di locale, inteso come capacità di potersi appropriare e ri-appropriare «di un’identità da usare nel confronto con gli altri attori (politici, economici, culturali, territoriali, istituzionali), ivi compresi quelli del mercato turistico” (ibidem, p. 16).

In questo contesto, le tensioni verso l’esperienza ritenuta autentica, dove il contatto con la natura, intesa soprattutto come territorio incontaminato (e quindi autentico), ma anche con il contesto rurale e comunitario, diventano fonti principali dell’attrattività turistica. Se nel 2009 il numero di italiani che avevano deciso di trascorrere le vacanze a più diretto contatto con la natura superava già il milione e mezzo di individui, il trend ha mostrato un costante aumento, tanto che nel 2011 la ricerca del contatto con la natura è risultata tra le motivazioni che più hanno contribuito alla scelta delle località dove trascorrere la vacanza, sia in Italia (24,6%), sia all’estero (29,3%)161.

La ricerca della valorizzazione delle tradizioni e della cultura locale, così come della natura, appare assumere quindi nel turismo i connotati di una tendenza già ampiamente radicata: secondo l’Istituto Nazionale Ricerche Turistiche, infatti, già nel 2010 «il turismo interno [si mostrava] alla ricerca di vacanze diverse in luoghi evocativi ma inediti, in località a dimensione umana dove l’identità del territorio si esprime anche e soprattutto attraverso la valorizzazione dei prodotti enogastronomici».

Il boom degli agriturismi, infatti, non conosce crisi. Quella degli agriturismi è sovente considerata come una vacanza alternativa, fuori dai canoni della vacanza tradizionale. «Un turismo che se ha come caratteristica la breve durata […], è all’antitesi della tipologia del mordi e fuggi che si preclude la possibilità del rapporto più autentico – le relazioni personali – con il luogo che si visita» (Fabris 2010, p. 205). Un turismo «amico della natura che può creare migliori rapporti tra uomo e ambiente, agricoltura e

turismo, imprenditori agricoli e consumatori, mondo rurale e mondo urbano» (ivi).

Secondo Fabris si tratta di una tendenza più generale delle società contemporanee, connesse con la progressiva emersione di un nuovo ethos, solo parzialmente riconducibile ad «un comportamento regressivo a fronte delle tante incertezze, insicurezze, e dei rischi che ci circondano nelle società in cui viviamo» (ibidem, p. 346). A detta di Fabris, infatti, mentre il luogo comune largamente accreditato dall’individuo della nostra epoca è quello di essere cittadino del mondo, dedito all’opera di ampliamento costante dei propri orizzonti – stereotipo alimentato dalla crescente

mobilità, dai voli low cost, dalle vacanze in terre lontane, dall’immigrazione crescente e da Internet – il trend emergente va piuttosto in tutt’altra direzione162, verso cioè la riscoperta delle radici locali, «dove ritrovare brani importanti della propria identità, della propria heritage culturale» (ibidem, p. 347).

E seppure Fabris non ritenga ci sia nulla di regressivo in tale atteggiamento che affonda le sue ragioni nel «naturale desiderio di tornare agli amici, ai colori ai suoni del nostro paese», non manca di sottolineare come alla base vi sia il bisogno di una «vita dolce», non dominata dall’ossessione competitiva e dallo spirito di affermazione, un bisogno di

comunità incomprimibile, «vero archetipo e paradigma del sociale» (ibidem, p. 349).

La comunità, invero un po’ idealizzata anche nelle pagine di Fabris, appare come il luogo in cui «stiamo al sicuro, non ci sono pericoli in agguato», dove «possiamo contare sulla benevolenza di tutti», dove «se incespichiamo o cadiamo gli altri ci aiutano a risollevarci» (ivi).

Non importa in definitiva che questa sia la natura reale o meno della comunità, importante che questa sia la natura idealizzata che della comunità si ha, una idealizzazione strutturalmente favorita nell’immaginario individuale e collettivo dai pericoli e dai disagi crescenti nella tarda modernità globalizzata. Parimenti a quanto accade per la natura, per la quale si passa dalla tensione quasi epica al suo dominio ad una sorta di rousseauiana idealizzazione contemporanea, anche la dimensione dei legami comunitari torna a rivalutarsi. Tale tensione tra natura e suo dominio, come tra comunità e società, pare d’altronde sempre in atto e continuamente emergente almeno nei momenti in cui la dimensione ambientale, come quella sociale, sembrano sgretolarsi se spinti oltre un certo limite.

Non importa quindi che tali limiti siano o meno ad un punto di rottura o di non ritorno, basta che gli individui sentano collettivamente che così è per agire di conseguenza163. Ancora una volta quindi ci troviamo di fronte alla questione della drammatizzazione dei rischi di cui parla Beck e della sua capacità di definire la società contemporanea in termini riflessivi.

Tra le conseguenze di tale riflessività si ha quindi anche un ritorno inedito alla dimensione locale, alla coltivazione di un ethos diverso e nuovo che, ancora Fabris, definisce come il passaggio dall’«edonismo» come ricerca del mero piacere, all’«eudomenismo», ovvero sia ad una diversa concezione di felicità «che si esprime nella realizzazione del proprio potenziale, nella crescita personale, nell’avere degli scopi nella vita, nella capacità di avere relazioni interpersonali soddisfacenti» (2010, p. 337). In questo senso, prevale nel turismo rurale e nella ricerca dei legami comunitari uno sguardo realmente, intimamente, romantico perché percepito non tanto come aderenza ai cliché delle produzioni culturali, quanto piuttosto intima emanazione di un bisogno dell’anima, il quale diventa l’humus più proprio dal quale tende, in maniera sempre più evidente, a sorgere una genuina cultura della responsabilità (Paltrinieri 2011; 2012).

162 A sostegno di questa tesi Fabris riporta come nelle indagini statistiche la risposta all’item “Mi sento cittadino del mondo” sia in costante riduzione da molti anni (Cfr. Fabris 2010, p. 346)

163 Si può fare riferimento qui al celeberrimo teorema di Thomas per cui «Se gli uomini definiscono reale una situazione, essa sarà reale nelle sue conseguenze».

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