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Cerreto Alpi: un borgo “fantasma” denso di storia e tradizione

IL TURISMO PER UNO SVILUPPO LOCALE SOSTENIBILE

4. L ’ esperienza del turismo di comunità

4.1 Cerreto Alpi: un borgo “fantasma” denso di storia e tradizione

Cerreto Alpi, come già detto, è una piccola frazione del Comune di Collagna, Provincia di Reggio Emilia. Posto nel cuore del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, confine naturale e geografico tra l’Emilia Romagna e la Toscana, Cerreto Alpi si trova a pochi chilometri dal Passo del Cerreto, alla confluenza del Canale cerretano nel Secchia dove si apre la Valle del Secchia, con la profonda gola scavata dal fiume nel corso dei millenni nota, nella forma dialettale, come “Schioch”. Si tratta forse di una delle aree naturalistiche più suggestive dell’intero Parco. É anche tra i borghi più antichi dell’Appennino reggiano, citato già in un documento risalente all’835 d. C.

La strada che lo sfiora sorge sull’antica via che collegava la Lunigiana e l’antico porto ligure alla Pianura Padana. Una vera e propria via di transito e collegamento tra le due coste della Penisola che non mancava di alimentare, chiaramente, il brigantaggio.

D’altronde, si trattava di un territorio montano da sempre difficile da abitare e nel quale le attività prevalenti erano, fino a tempi relativamente recenti, legate prevalentemente alla pastorizia, alla raccolta delle castagne, alle “carbonaie” e poco altro:

...i mestieri erano sostanzialmente pochissimi, perché l’agricoltura era quasi inesistente dato il territorio montano e il clima, si facevano i pastori, si allevavano le mucche... e poi c’erano i famosi conduttori di muli, praticamente. Che cosa facevano, prendevano le lizze, i parati, fatti con il legno del Cerreto, fatti da altrettante persone che li facevano ovviamente, e li portavano alle cave di marmo di Massa... che praticamente li facevano rotolare giù, questi massi, con queste lizze, con questi parati... che adesso non si usa più da tanti anni, però era un lavoro... si prendeva abbastanza bene... e poi... sennò facevano il carbone... mia mamma ha fatto tanto il carbone. Lei era nata da una famiglia ricca, erano parenti di un Conte, i Pallai, nominati anche che ne “La secchia rapita” del Tassoni, sennonché si erano indebitati, [...] per cui si era ritrovata un po’ in miseria; comunque lei era cresciuta in collegio, quindi per lei era stato uno shock tremendo sposare mio papà, ma l’amore fa questo ed altro, quindi si è ritrovata a fare il carbone, cose che non aveva mai fatto, si è ritrovata con le pecore, ma lei non sapeva niente, niente di niente poveretta, le odiava... quindi andavano su nei castagneti, accatastavano tutto questo legno, lo coprivano, gli davano fuoco e lo dovevano sorvegliare notte e giorno perché se prendeva fuoco il bosco addio, erano guai... e poi vendevano questo carbone... (Rd).

Un borgo che, nonostante le avverse condizioni, viene ricordato tuttavia come pieno di vita:

… mi ricorda i miei genitori, mi ricorda l’infanzia, i giochi, le feste particolari che si facevano, perché il Cerreto era pieno di gente... adesso poverino è ridotto come è ridotto... però era un paese molto più vivace ad esempio rispetto a Collagna, rispetto a Busana, la gente era molto più gioviale, era appassionata di musica, ballo, tutte le sera c’era festa, nonostante fossero sostanzialmente poveri, alla fine... (Norma – turista/residente Cerreto, 13 f 64 TC).

Il periodo di spopolamento del paese, quindi, va rintracciato soprattutto a partire dal boom economico del secondo dopoguerra, caratterizzato dalla corsa all’ambito urbano:

… altre persone della mia età non si sono più interessate tanto del Cerreto. C’è stata un’epoca in cui c’era una certa repulsione per questo paese, erano andati a La Spezia, erano andati in Toscana,

erano andati in pianura... “si ma in fondo il Cerreto”... tanti avevano venduto anche la casa, cosa di cui poi il 90% si sono pentiti amaramente.

Perché quello che loro pensavano l’Eldorado, [...] di andare in queste città e trovare la fortuna, si è poi rivelato... non era poi tanto neppure in città... non si legavano gli asini con le salsicce diceva mia mamma... (Norma – turista/residente Cerreto, 13 f 64 TC).

Comunque sia poche opportunità rimanevano certamente sul Cerreto in un epoca in cui lo spopolamento del territorio ha portato la popolazione locale effettivamente residente durante tutto l’arco dell’anno a non più di 70-80 persone. Un fenomeno che ha interessato certo gran parte delle attuali Comunità montane e, in generale un po’ tutto l’arco Alpino e Appenninico nel corso almeno degli ultimi cinquant’anni.

Con la chiusura anche degli ultimi centri di aggregazione e ritrovo della popolazione locale, il borgo rischiava veramente di diventare disabitato, anche perché un po’ tutto il principale flusso turistico veniva dirottato sulla vicina località di Cerreto Laghi, una località che il Sindaco di Collagna descrive come

[un] paese inventato, che non c’era storicamente, inventato nei primi anni ‘50, dove c’è davvero un’imprenditoria turistica […] per Natale abbiamo avuto anche cinque mila presenze certe giornate [...] lì abbiamo alberghi moderni, frequentati, abbiamo una decina di ristoranti... (Paolo

Bargiacchi - Sindaco di Collagna, 10 m 66 OC).

Un posto quindi senza storia, un “non-luogho” lo definirebbe Augé, un contesto dall’indiscussa bellezza paesaggistica, dovuta anche alla presenza di questi piccoli laghi, ma dove l’insediamento umano si è costituito pressoché completamente attorno a moderi impianti sciistici di risalita.

Un’impresa turistica di fatto fortemente industrializzata e “razionalizzata”, che ha sfruttato la vicinanza con le cime del Cerreto e la posizione strategica tra il bacino turistico ligure-toscano e quello emiliano-romagnolo.

Un’offerta volta soprattutto allo svago e all’intrattenimento, quindi scarsamente connessa, se non del tutto slegata, dal territorio, dalla sua storia e dalle sue tradizioni che non sono necessariamente non turistiche, come testimonia la storia del vicino Ostello della Gabellina:

...era l’edificio che ospitava i “gabellieri” del Conte d’Este. In realtà ha avuto poca vita perché dalla fondazione al Regno d’Italia sono passati vent’anni. Con l’unificazione del Regno d’Italia non esisteva più il confine, quindi, tolta la “gabella”, è diventato un hotel. La cosa più significativa è che tra il 1922 e il 1929, l’ostello è stato gestito dai genitori di Cesare Zavattini che all’epoca stava studiano all’Università di Padova legge… ma che ci lavorava tutte le estati. […] nel dopo guerra era un hotel di lusso… anche perché bisogna ricordare che all’epoca non c’era Cerreto Laghi… era il periodo in cui non esisteva… è andato in declino in concomitanza col sorgere di Cerreto Laghi, proprio perché il turismo è cambiato… (Marialuisa Maramotti –

ItaliansUnpluggedTours, 18 f 37 OC).

Anche in conseguenza di questa subalternità turistica ed economica dovuta al repentino cambiamento nell’offerta e nella domanda, Cerreto Alpi è stato quindi, nel tempo, progressivamente abbandonato e non solo dalla popolazione ma anche il contesto architettonico rurale ha visto un progressivo declino e uno stato d’abbandono pressoché

totale fino a tempi recentissimi.

Si tratta di un perfetto esempio quindi di come un certo modo di fare turismo tipico della vacanza di massa estiva come invernale, caratterizzata dal divertimento e dal “grande carnevale collettivo” abbia finito da un lato per modificare in maniera probabilmente permanente un ambiente incontaminato trasformandolo in una moderna attrazione sciistica, mentre dall’altro lato le conseguenze sui territori circostanti e periferici, sono state altrettanto disastrose, soprattutto dal punto di vista del tessuto sociale e comunitario oltre che economico.

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