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L ’ autenticità altrove Recupero e costruzione del passato e della ruralità nei contesti locali (post)modern

IL TURISMO TRA GLOBALE E LOCALE

2. Tornare a casa Le conseguenze della globalizzazione sui contesti locali occidental

2.3 L ’ autenticità altrove Recupero e costruzione del passato e della ruralità nei contesti locali (post)modern

Ma questo ritorno al radicamento territoriale, ad una chiusura localistica incentivata dai timori e dallo sradicamento imposto dalla nuova condizione globale, mostra i suoi effetti anche sul turismo o, meglio, su come viene interpretata e vissuta l’esperienza turistica. L’individuo postmoderno fa fatica a mettere ordine in una realtà sempre più molteplice e frammentata, che gli promette innumerevoli opportunità che non riuscirà mai a cogliere tutte e questo può essere per lui fonte di profonda sfrustrazione solitamente inibita nell’esperienza di consumo e, appunto, nel turismo che, come abbiamo visto con Laura Gemini (2008), assolverebbe propriamente la funzione di alleggerire il tasso di faticosità psichica dovuta al complicato processo di costruzione dell’identità.

Come sostenuto anche da Cohen d’altronde, l’esperienza turistica può essere vista come una sorta di esperimento per “testare” modelli di vita alternativi i quali potrebbero sfociare in una condizione esistenziale nuova, con l’adesione a nuovi modelli di vita e ad universi valoriali relativamente stabili.

Difronte alle nuove esigenze di stabilità e radicamento, che diventano necessità esistenziali che hanno a che fare direttamente con la definizione della propria identità individuale, il turismo diventa quindi il tentativo di esplorare i possibili altrimenti, di ritrovare ciò che manca. E in una società dove ciò che manca è la stabilità e la sicurezza, sono allora queste dimensioni a divenire lo specifico “straordinario” dell’attrattività turistica.

Il turismo esotico, come già abbiamo accennato nel caso dell’orientalismo degli anni ‘70, del turismo umanitario in certe zone dell’Africa o dell’ecoturismo rivolto alla natura, diventa sovente sinonimo di ricerca di se altrove, di ricerca di una dimensione

esistenziale e spirituale che ha a che fare con quella sacralizzazione del tempo turistico che non per nulla MacCannell metteva direttamente in connessione con la ricerca dell’autenticità.

L’autenticità che si va cercando, come mettono in rilievo gli approcci “performativi” all’immaginario turistico e al viaggio, sarebbe quindi l’autenticità del proprio se proiettata, per così dire, sull’attrazione che, quindi, da un punto di vista interno al soggetto potrà sempre dirsi autentica.

Come sottolineano Sharpley e Jepson (2011) in merito al turismo rurale - inteso come soggiorno in contesti antitetici ai moderni ambienti urbani - tale approccio interiore ammanta l’esperienza in determinati contesti di una dimensione quasi religiosa, o per meglio dire “spirituale”. Le società occidentali fortemente secolarizzate hanno infatti de-istituzionalizzato la religione ma non possono aver soppresso quella tensione primordiale dell’uomo a fornire un senso ultimo, trascendentale, alla propria esistenza. In tal senso, il processo di “individualizzazione” descritto da Beck e Giddens come proprio della tarda-modernità, determinando uno spostamento definitivo verso la soggettività e l’autodeterminazione dell’identità (inner-directed life), comporterebbe anche una interiorizzazione della ricerca spirituale, la quale si rivolgerebbe verso gli altri nell’impegno all’aiuto umanitario, nel volontariato, oppure, nella ricerca e nella contemplazione della natura. In alcuni casi, come abbiamo visto ad esempio nel turismo a sfondo umanitario o responsabile, le due cose, il bisogno spirituale di aiutare il prossimo e il fascino discreto dell’esotico, tendono a fondersi rafforzandosi reciprocamente157. Mentre, per quanto riguarda l’attrazione del tutto moderna per i paesaggi sublimi, si può notare come essa prenda piede contemporaneamente al declino delle tradizionali credenze religiose, finendo col sostituirsi alle tradizionali esperienze mistiche158: offrendo ai viaggiatori «un emozionante legame con un potere più grande di loro» (Botton 2003, cit. in Sharpley e Jepson 2011, p. 57), la contemplazione dei paesaggi finisce con l’offrire esperienze paliative ad uno spiritualismo che va “estetizzandosi”.

Seppure la tesi secondo cui certi paesaggi hanno avuto la funzione di trasferire l’esperienza spirituale dai rituali religiosi collettivi alle esperienze soggettivamente fruibili sia piuttosto dibattuta, non c’è dubbio che le aree rurali abbiamo progressivamente rivestito la funzione di “rifugio dalla modernità” (Sharpley e Jepson 2011). Immaginario nutrito soprattutto dalla tensione romantica alla ricostruzione di una memoria collettiva legata ad un nostalgico e idilliaco passato traghettato direttamente al mondo rurale e naturale in contrapposizione all’ambiente urbano159.

157 Nulla di meglio descrive l’importanza decisiva di tale fusione per la decisione turistica della frase pronunciata dalla scrittrice e fummettista Claire Bretécher citata da Urbain: «Questa idea di andare nel Terzo Mondo, quando il quarto é a sette stazioni di metrò!» (Urbain 2003, p.51).

158 Parlando delle esperienze psicotrope conseguenti all’assunzione di determinate sostanze allucinogene, lo scrittore brittannico Aldous Huxley ne “Le porte della percezione” (1954) descrive come effetti paragonabili e prossimi alla dimensione mistica potevano venire indotti nelle grandi Cattedrali Medievali e Rinascimentali ad opera della ripetitività delle formule rituali, dell’atmosfera densa dei fumi delle candele e dell’incenso, dai colori vivaci delle finestre e dei rosoni, ecc.

159 Si veda in merito anche la contrapposizione che opera Antonietta Mazzette (1994) tra anbiente non urbano e ambiente urbano e la progressiva interiorizzazione del pericolo in quest’ultimo contesto (vd. anche Cap. II).

La ricerca di sicurezza e radicamento in risposata alle incertezze della seconda modernità, si àncora allora, soprattutto nei contesti di prima modernizzazione, ad esempio, alla riscoperta del passato, delle tradizioni e della relazionalità delle comunità locali, percepite come “autentiche” ed equilibrate in antitesi ad una costruzione del sociale oramai fuori controllo.

In quest’ultima accezione, l’autenticità ricercata nel turismo va intesa come la possibilità e la capacità per i turisti di costruire il senso della ruralità non solo a livello fisico ma anche all’interno di un contesto più profondo e spirituale (ivi). Autenticità equivale allora al senso di stabilità, certezza e sicurezza offerto dal passato che, in quanto tale, rimane, per così dire, “là immutato”. Se vengono meno le fabbriche dell’ordine su cui si è costituita la modernità, il passato rappresenta per lo meno un “bacino di sicurezza” dal quale è sempre possibile attingere: quando le prospettive per il futuro si fanno fosche a vincere diventa spesso la restaurazione e il conservatorismo, il quale si salda, con la modernità radicalizzata, al più generale declino dell’idea di

Progresso, architrave della costruzione moderna. D’altronde, la stessa invenzione della

tradizione che è possibile cogliere nei movimenti di rivendicazione localistica, ci parla di un’autenticità come “tensione” e come “costruzione”, non già come accuratezza oggettiva. L’autenticità del passato è qui da intendere in un senso più psicologico che letterale, come una sorta di ritorno all’infanzia per sfuggire alle responsabilità e alle traversie dell’età “adulta”. Sarebbe tuttavia irriguardoso ridurre tale fenomeno ad una irresponsabile mancanza di presa di coscienza delle sfide della modernizzazione radicalizzata, soprattutto quando tali traversie sono tutt’altro che psicologiche. Nell’alveo delle ridefinizioni strutturali innescate dai processi di globalizzazione, bisogna allora guardare a queste nuove esaltazioni delle soggettività locali come a «strategia di difesa» (Savelli 2008, p. 16) in direzione di un glocalismo protettivo che erge una sorta di barriera a tutela delle specificità presenti sul territorio a livello biologico, culturale ed economico160.

Una strategia che tende tuttavia a negare l’apporto innovativo di quei flussi globali che portano a ridefinire il locale attraverso i percorsi inediti dell’immaginazione, nell’ottica delle «culture in viaggio» già analizzata all’inizio del capitolo, ma che tende anche ad un recupero acritico del passato e della tradizione intesa come restaurazione e “museificazione”.

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