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Turistizzazione o responsabilizzazione?

IL TURISMO TRA GLOBALE E LOCALE

3. Il paradigma emergente della sostenibilità

3.1 Turistizzazione o responsabilizzazione?

Abbiamo fin qui introdotto il tema della sostenibilità, tra l’altro già ampiamente trattato e discusso nel secondo capitolo del presente lavoro, sottolineando come la dimensione sistemica dei rischi globali rende questa categoria una tra le più significative per mostrare la via verso possibili cambiamenti degli ambiti territoriali locali i quali, come anche abbiamo visto, grazie soprattutto alle potenzialità offerte dai nuovi media digitali, possono dal punto di vista turistico pensare di riorganizzare le proprie risorse attorno alla valorizzazione delle proprie specificità e della propria identità. In particolare, gli ambiti naturali e rurali, oggetto di un rinnovato e crescente interesse da parte dei turisti in cerca di autenticità, possono trovare nel rinnovato immaginario performativo e partecipativo, un’opportunità di sviluppo e di riappropriazione, da parte delle popolazioni locali, dei propri territori.

D’altra parte, l’interesse dei turisti incontra, per così dire spontaneamente, il rinnovato interesse dei territori locali per la propria cultura e identità che, come abbiamo visto, è uno delle reazioni nei confronti dei fenomeni di globalizzazione. Queste spinte convergenti, allora, possono diventare un fattore di sviluppo in senso responsabile e sostenibile proprio perché organizzato a partire dalla mobilitazione partecipativa delle risorse locali.

Tuttavia, come già messo in evidenza dallo stesso Urry (1995), lo sguardo romantico, esplicitamente connesso alla ricerca di contesti autentici e incontaminati, può rivelarsi il primo motore della massificazione dei contesti originariamente non turistici. L’affannosa ricerca di luoghi incontaminati e di una relazione quanto più possibile autentica con la popolazione locale spinge infatti i turisti mossi dallo sguardo romantico all’esplorazione e alla scoperta di sempre nuove “terre di nessuno” che, attraverso la moltiplicazione delle narrazioni e delle contaminazioni provenienti dai nuovi immaginari performativi, finiscono per diventare mete ambite anche da altri turisti, spingendo i primi a cercare nuove e più autentiche destinazioni, innescando così un circuito senza fine che ha come ultimo effetto la touristizzazione crescente di ogni luogo della terra e, in particolare, di quei luoghi ancora ritenuti, in un modo o nell’altro incontaminati, come è il caso, ad esempio, dell’immaginario paradisiaco dell’esotico. Un esempio emblematico in merito è offerto dal lavoro di Dearden e Harron (1994) riguardante il cambiamento del turismo alternativo nel nord della Thailandia, un turismo già indagato da Cohen dieci anni prima. I due studiosi hanno potuto rilevare come la natura dell’attrazione, legata soprattutto alla visita delle ventitre tribù sparse lungo i

sentieri di trekking alpino delle catene montuose thailandesi, abbia subito modificazioni importanti. Dagli originari sporadici avventurieri o hyppies attratti dall’esotismo e della ricerca di se stessi studiati da Cohen, i flussi turistici sono andati progressivamente crescendo «all’interno di un orizzonte commerciale, in un’impresa di successo che attrae più di 100mila trekkers ogni anno, diventando un “turismo alternativo di massa” (alternative mass torurism)» (ibidem, p. 84).

L’impatto sulla popolazione locale è stato quello più tradizionalmente negativo: stravolgimento delle culture, degli usi e dei costumi, centralizzazione dell’attività economica da parte delle agenzie di trekking, dipendenza economica, creazione di crescenti barriere tra turisti e locali, tra le quali, non ultima, la messa in scena dell’autenticità (la staged authenticity di MacCannell). Ma la cosa forse più interessante riguarda la progressiva sostituzione della tipologia turistica, passata da quello che Cohen definiva “turismo esistenziale” a quella del “turismo ricreativo”170.

Il medesimo fenomeno – rivelano gli autori - è stato osservato anche nei contesti ecoturistici, cioè quelli dove l’attrattività riguarda innanzittutto la natura incontaminata oppure, ad esempio, nei tour di avvistamento delle balene. Man mano che questo tipo di attività aumentava in popolarità e i tour si moltiplicavano, le motivazioni specialistiche della clientela diminuivano fino ad abbracciare un ampio range di aspetti legati al viaggio turistico e al loisir.

Nel caso dei percorsi di trekking in Thailandia, lo spostamento dell’interesse dei turisti è stato una conseguenza dell’aumento dei flussi turistici stessi e quindi della crescente organizzazione specialistica del turismo che, attraverso un’offerta sempre più differenziata, ha mano a mano creato le basi per lo stravolgimento delle condizioni di attrattività originarie.

In altre parole, quando avviene questo cambiamento, non aumenta solo il numero dei turisti ma anche la clientela muta sostanzialmente nei termini del loro grado di interesse rispetto a quella particolare attrazione. In genere il focus diventa meno specializzato e la clientela inizia ad aumentare dominata dal generalismo. A mano a mano che questo succede e i visitatori aumentano si innesca un circolo positivo attorno ai feedback che attirano questo tipo di clientela.

È più o meno questo il meccanismo che sottostà all’idea, ampiamente diffusa, per cui il turista «distrugge ciò che cerca nel momento in cui lo trova» e che rappresenta una delle grandi contraddizioni della pratica turistica, che, quando diventa tale, appare come la principale responsabile dello scadimento della qualità dell’oggetto turistico.

La questione, allora diventa quella dei limiti sociali a cui è sottoposta la fruizione di un bene come il territorio o, seppur in altri termini, la cultura e i costumi dei suoi abitanti, che, in quanto beni finiti e non riproducibili, necessitano una certa tutela.

Si tratta qui del noto tema economico sollevato da Fred Hirsch (1981), quello cioè dei cosiddetti «beni posizionali». In estrema sintesi, quello che sostiene Hirsch è che, oltre a dei beni che possono essere considerati “privati” e appropriabili in quanto possono

170 Gli autori della ricerca evidenziano come questo passaggio, necessario alla sostenibilità stessa dell’attrazione turistica in quanto tale, seppur non appare inoppugnabilmente dimostrabile, sia quantomeno altamente probabile («however, it does seem highly probable»).

essere prodotti e riprodotti a seconda della tecnologia disponibile senza che essi subiscano un peggioramento qualitativo nell’ottica di chi li consuma, esistano anche dei beni che debbono considerarsi “sociali” in quanto la loro intrinseca scarsità ne determina uno scadimento qualitativo in base all’intensità del loro utilizzo. Molte delle risorse ambientali, come quelle paesaggistiche e culturali, rientrano quindi nell’ambito dell’economia posizionale per cui, l’allargamento della fruizione dei beni rappresenta un decadimento del benessere collettivo e non certo un suo aumento.

Ma la contraddizione allora sta anche nella constatazione che, a volte, proprio il turismo diventa «la risorsa principale attraverso cui tutelare e preservare risorse ambientali che altrimenti rischierebbero una comprimissione maggiore a causa del loro impiego in ambiti differenti» (Savoja 2005, p. 47).

Il turismo e l’economia turistica allora possono in questo senso rivelarsi delle opportunità sociali, ambientali ed economiche notevoli, a patto che vengano condotte in determinati modi ed entro determinati limiti.

Proprio la consapevolezza di questi limiti ha fatto sì che si sviluppasse in maniera sostanziale un ampio dibattito ed innumerevoli pratiche attorno al concetto di turismo responsabile e sostenibile.

Un accezione, quella di sostenibilità nel turismo che, data la natura poliedrica e multidimensionale del turismo stesso, non manca di essere piuttosto controversa.

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