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Proprio mentre l’umanità si apprestava ad entrare in un’epoca dalle ampie promesse di benessere per la maggior parte della popolazione, contemporaneamente, questa stessa epoca rischiava di presentarsi infatti anche come l’epoca della più pervasiva privazione della libertà, intesa come capacità di critica e di opposizione ad un sistema che potrebbe sempre essere altrimenti. Un sistema che, proprio mentre permette la liberazione dal bisogno, finisce per consegnare l’individuo ad una cogente passività, come costretto da un impellente necessità.

All’alba della società liberata dal pericolo totalitario, furono soprattutto gli intellettuali della cosiddetta “Scuola critica” a mettere in rilievo i nuovi pericoli totalitari di un’opulenza oramai alle porte. Come spiega infatti Herbert Marcuse, «Almeno per quanto concerne la necessità della vita, non sembra davvero esservi alcuna ragione per cui la produzione e distribuzione di beni e servizi dovrebbero essere svolte mediante la concorrenza competitiva di libertà individuali. […]. I processi tecnologici di meccanizzazione e di unificazione potrebbero liberare l’energia di molti individui, facendola confluire in un regno ancora inesplorato di libertà al di là della necessità. La stessa struttura dell’esistenza umana ne sarebbe modificata; l’individuo verrebbe liberato dal lavoro di un mondo che gli impone bisogni e possibilità a lui estranei. L’individuo sarebbe libero di esercitare la sua autonomia in una vita che sarebbe ormai veramente sua» (1999, p. 16).

La eco di Marx è chiaramente percepibile, soprattutto nell’ideale di instaurazione di uno spazio vitale finalmente libero, uno spazio di vita oltre il lavoro e la mera necessità, uno spazio di autonomia e di emancipazione umana in una vita che, per ogni individuo, sarebbe finalmente «veramente sua».

consumi di massa, con la sua promessa di libertà e opulenza universale, sembra, agli occhi dei francofortesi, segnata peculiarmente dal conformismo e dall’accettazione acritica dello status quo, una condizione di passività che pare svuotare di contenuto i diritti fondamentali e le libertà con cui sorse l’età moderna.

Marcuse, quindi, mette in rilievo come la società opulenta e il modo in cui è organizzata, tenda a sublimare il conflitto in un crescendo di possibilità offerte agli individui da una crescente partecipazione alla ricchezza e al consumo23. Questa apparente libertà di scelta tuttavia viene pagata a prezzo di un crescente conformismo che rigetta il soggetto individuale nel privato. Tanto che Adorno sarà portato a decretare la fine dell’esistenza così com’è sempre stata concepita: «Quella che un tempo i filosofi chiamavano vita si è ridotta alla sfera del privato e poi del puro e semplice consumo, che non è più se non un’appendice del processo materiale della produzione» (cit. in Jedlowski 2009, p. 193).

Jürgen Habermas, erede della Scuola critica, abbracciando la prospettiva che fu già di Horkheimer24, tenterà di meglio sistematizzare il processo che portò a questa eclisse della capacità critica o, meglio, parafrasando Adorno, come l’iniziale progetto di libertà della modernità abbia, con la sua realizzazione, finito per “eliminare le proprie premesse”.

La ricostruzione critica della storia di quella semi-istituzione che è l’opinione pubblica servirà infatti ad Habermas per mostrare come l’ascesa della classe borghese e la formazione di un ambito privato di emancipazione dalla necessità e sviluppo dell’individualità (nella sfera intima) abbia permesso inizialmente la creazione di una “sfera pubblica” di discussione e dibattito eminentemente razionale, la quale ha permesso, in linea con i propositi emancipativi dell’Illuminismo, proprio il sorgere di quel regnum hominis che è lo spazio politico attualizzato dal costituzionalismo moderno.

Ma proprio quella sfera pubblica che si era formata in opposizione al potere statale come ambito della rappresentazione delle istanze di un pubblico di individui privati, viene mano a mano erosa attraverso l’occupazione della sfera pubblica da parte di istanze direttamente private e di natura peculiarmente commerciale. I mass media, che tanta parte ebbero nella creazione dell’opinione pubblica, diventano adesso i primi imputati, i “collaborazionisti” di un sistema di produzione che necessita sempre di più un sostegno ideologico ai consumi attraverso la creazione di bisogni fittizi, e “indotti”,

23 Sempre Marcuse scriverà in merito: «I diritti e le libertà che furono fattori d’importanza vitale alle origini e nelle prime fasi della società industriale cedono il passo ad una fase più avanzata […]. La realizzazione elimina le premesse. Nella misura in cui la libertà dal bisogno, sostanza concreta di ogni libertà, sta diventando una possibilità reale, le libertà correlate ad uno stato di minor produttività vanno perdendo il contenuto di un tempo. L’indipendenza del pensiero, l’autonomia e il diritto alla opposizione politica sono private della loro fondamentale funzione critica in una società che pare sempre meglio capace di soddisfare i bisogni degli individui grazie al modo in cui è organizzata. Una simile società può richiedere a buon diritto che i suoi principi e le sue istituzioni siano accettati come sono, e ridurre l’opposizione al compito di discutere e promuovere condotte alternative entro lo status quo» (1999, pp. 15-16).

24 L’idea cioè di una razionalità positiva che guida e “illumina” l’azione dell’uomo verso una sua emancipazione, contrapposta ad una razionalità negativa che, invece, finisce per trasformarsi in “gabbia d’acciaio” per gli individui.

che a loro volta alimentano la società di massa ed impediscono la piena presa di coscienza e la creazione di uno spazio - intellettuale e culturale - per una critica costruttiva e per un processo dialettico che possa portare al superamento delle premesse e quindi ad una nuova sintesi.

Man mano che si andò accentuando la compenetrazione tra Stato e società, si assistette, a livello individuale, ad un progressivo affrancamento dell’istituto familiare dai processi della riproduzione sociale. Mentre il campo dello scambio delle merci e del lavoro sociale, che rientravano nella sfera privata, guadagnarono lo spazio pubblico. La casa e la famiglia, sollevata immediatamente dalle funzioni economiche, diventavano sempre più il campo sì dell’intimità, ma anche del mero consumo25.

In un modo del tutto simile a quanto occorso al processo di produzione, il consumo inizia a raggiunge quindi progressivamente rilevanza pubblica: l’ambito della produzione, per mezzo dello spazio pubblico ampiamente colonizzato dalle istanze commerciali, investe progressivamente lo spazio intimo e privato degli individui, insinuando in esso il diktat del consumo.

La sfera pubblica viene colonizzata facilmente da istanze private direttamente commerciali, le quali si rivolgono, quindi, sempre più all’ambito intimo della famiglia e delle relazioni amicali e di vicinato, le quali, di conseguenza, vengono - quasi di riflesso – “pubblicizzate”:

«Quando le leggi del mercato che dominano la sfera della circolazione delle merci e del lavoro sociale penetrano nella sfera riservata ai privati in quanto pubblico, il dibattito si trasforma tendenzialmente in consumo e il nesso della comunicazione sociale si disgrega negli atti di ricezione individuale comunque uniformi tra loro.

Ne consegue direttamente il rovesciamento della privatezza riferita al pubblico. I modelli che un tempo sono stati ricavati letterariamente dal suo materiale circolano oggi come l’ormai svelato segreto di produzione di un industria culturale brevettata i cui prodotti diffusi pubblicamente dai mass-media, generano per parte loro nella coscienza dei consumatori la parvenza di una privatezza borghese» (Habermas 1962, p. 186).

In questo senso Habermas è il migliore prosecutore postumo della felice intuizione dei francofortesi riguardante l’«industria culturale» e cioè propriamente lo sviluppo di un apparato economico che investe mano a mano lo spazio culturale, inteso come spazio della libertà critica, finendo per commercializzarlo, cioè per piegarlo alle esigenze della produzione che, oramai, sono diventate soprattutto esigenze di consumo.

Il contributo più prezioso di Habermas, quindi, rimane il fatto di aver esplicitato un modello interpretativo che tenta di spiegare la sostituzione di una sfera pubblica di confronto e dibattito razionale con una sorta di sfera semi-pubblica o pseudo-pubblica (nel senso che non emana più da un pubblico in senso stretto) in qualche modo

25 Sarebbe proprio questa modificazione profonda dell’ambito pubblico e del ruolo dell’individuo in esso a determinare un crescente conformismo, in quanto «una società richiede sempre ai suoi membri di agire come se fossero membri di una enorme famiglia, che ha un’opinione sola e un interesse solo» (Arendt 1958, p. 29). Infatti, «L’avvento della società di massa […] indica solo che i vari gruppi sociali sono stati assorbiti in una società unica […]; e col sorgere della società di massa la sfera sociale è giunta finalmente, dopo diversi secoli di sviluppo, ad abbracciare e controllare tutti i membri di una data comunità in maniera uniforme e con la stessa forza» (ibidem, p. 30).

“rifeudalizzata”, in quanto emanazione di istanze direttamente private che tendono a presentare se stesse in un aura di good will al fine di creare consenso e benevolenza attorno ai loro fini prettamente commerciali26.

Anche in Baudrillard, come per i critici della Scuola di Francoforte, i primi imputati di questa sostituzione di una cultura per così dire “autentica” con una cultura simulacrale, sono i mezzi tecnici di comunicazione di massa, i cosiddetti “mass-media”, nei quali la «produzione sistematica dei messaggi» non avviene più «a partire dal mondo, bensì dal medium stesso» (Baudrillard 1976, p. 175).

All’azione nel mondo e all’esperienza diretta si sostituisce quindi il consumo dell’esperienza direttamente come spettacolo, la cui funzione principale sarebbe quella di togliere a «milioni di persone senza storia e felici di esserlo, […] il senso di colpa connesso con la passività» (Baudrillard J., in Magiarotti 1995, p. 30).

Di fronte ad un universo di segni e significati irrelati al mondo, di fronte allo spettacolo del mondo, la funzione socializzante ed effettuale della cultura non viene più svolta dal pensiero, «nelle tre forme della critica, della scienza e dell’ideologia» (Perniola M., in Magiarotti 1995, p. 140), bensì dall’immaginario: «Se l’illuminismo è stato la socializzazione del pernsiero, la direzione verso cui è orientato il movimento contemporaneo è la socializzazione dell’immaginario» (ivi).

È in questo immaginario collettivo mediato e costituito dai segni del consumo che si sostanzia la cultura del consumo, una cultura in gran parte fatta di “fantasmi” i quali diventano il referente reale di ogni relazione. In tal modo, la cultura del consumo, piuttosto che annullare ogni soggettività e ogni relazionalità realmente autentica, tende piuttosto ad annullare il mondo reale come tertioum datur della relazione sociale.

L’esistenza di spazi e modi ancora possibili per l’esercizio della capacità critica, quale modello per dare un’organizzazione umana al mondo, fornirà il materiale per le indagine successive di Habermas in merito alla capacità del linguaggio di fornire il substrato per la riproduzione e la rigenerazione della vita sociale. Assieme alla razionalità strumentale, quindi, Habermas definirà una “razionalità comunicativa” sempre presente e sempre possibile là dove esistano relazioni significative tra gli individui27.

26 Soprattutto in seguito alla crisi del ‘29, in larga parte dovuta ad un eccesso di offerta, le imprese iniziarono a guardare non più al loro interno, cioè al sistema produttivo, bensì iniziarono a guardare al loro esterno, all’ambiente che le circonda. Si va strutturando quello che verrà poi definito “orientamento al mercato” e, successivamente, “orientamento al prodotto”. Da ciò derivò la nascita del marketing, che emerse appunto all’interno del mondo dell’impresa con questo preciso scopo, rispetto al quale la pubblicità dovette incominciare a porsi come docile strumento. Già negli anni tra le due guerre mondiali quindi e successivamente nel boom economico del secondo dopoguerra, si ebbe, nei fatti, uno sviluppo senza precedenti degli uffici di marketing e delle agenzie pubblicitarie tale da indurre, in effetti, una sorta di “militarizzazione” della cultura asservita alle istanze commerciali (Cfr. Codeluppi 2001, p. 22).

27 Questa differenziazione tra razionalità strumentale e comunicativa ricalca la tradizionale distinzione posta da Horkheimer in Eclisse della ragione. Nel testo Horkheimer distingue infatti una duplice natura del processo di razionalizzazione che, più o meno, potremmo identificare con il passaggio dalla “ragione” (Vernunft) all’ “intelletto” (Verstand) e che corrisponderebbe alla differenza che passa tra le correnti dell’Illuminismo per di dir così “umanista” da un lato e del Positivismo scientifico dall’altro. Secondo Horkheimer, infatti, la modernità avrebbe lentamente eclissato l’Illuminismo umanista a favore del Positivismo proprio delle scienze naturali. Gli uomini moderni sono sempre più capaci di eseguire calcoli tecnici e di dominare la natura, ma sempre meno capaci di esercitare quelle facoltà critiche in cui si dispiega la ragione propriamente detta (Cfr. Jedlowski 2009). Nell’opera Dialettica

Vero è, purtroppo, che tale capacità critica, tale capacità di stare insieme all’interno di un orizzonte razionale che abbia come riferimento il mondo comune, sembra lasciare sempre più spazio ad un orizzonte privato o, addirittura, intimistico, in qualche modo “collettivizzato” all’interno di una comunione immediatamente emotiva ed emozionale ampiamente mediata dalla cultura del consumo.

Se la contrapposizione tra un ambito pubblico socializzato nella razionalità strumentale e un ambito privato “intimizzato” è offerta magistralmente dal contrapporsi delle due grandi forme culturali tipiche della borghesia, il Positivismo da un lato e il Romanticismo dall’altro, non è certo un caso che queste stesse forme vengano ricondotte l’una all’ambito della produzione e, l’altra, sempre più, all’ambito dei consumi.

3.1 Il trionfo dell

intimità nell

età post-moderna.

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