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Semi-nomadi Ovvero il radicamento della comunità locale nell ’ era globale

IL TURISMO TRA GLOBALE E LOCALE

2. Tornare a casa Le conseguenze della globalizzazione sui contesti locali occidental

2.2 Semi-nomadi Ovvero il radicamento della comunità locale nell ’ era globale

Abbiamo già avuto modo di analizzare come l’individuo tardo-moderno o postmoderno153, sia assimilabile ad un «nomade», costretto ad errare tra rapporti sociali sempre più impersonali, astratti e universali, producendo una sorta di “riflusso” del soggetto (Mazzoli L., in Maffesoli 2000, p. 3) da una parte nelle sue manifestazioni e potenzialità espressive con un «recupero del sensibile» (il recupero dell’esperienza) come forma di conoscenza altra rispetto alle forme iper-razionalizzate di stampo sistemico e, dall’altra parte, nel suo ambito privato, con «il rifiuto di un impegno socio- politico» e (diciamo noi) con la partecipazione entusiasta al mondo esperienziale del consumo.

In questo modello, il recupero della socievolezza avviene sostanzialmente attraverso l’immersione e la contaminazione, forme relativamente stabili del nomadismo.

Infatti, come sottolinea Lella Mazzoli, al continuo viaggiare attraverso le esperienze, cui corrisponde un «rifiuto delle modalità di sedentarietà che contraddistinguono lo strutturarsi della modernità» proprio del nomadismo, si affiancano forme di socializzazione di stampo tribale nuovo (neo-tribale), cioè prive della stabilità e dell’importanza definitiva per l’identità stessa dell’individuo delle tribù tradizionali. Sarebbero proprio queste formazioni ad essere contraddistinte da modalità di partecipazione e adesione che pongono l’enfasi su di un «coinvolgimento sensoriale totale, con cui l’individuo partecipa all’esperienza individuale e sociale», corrispondenti a quella che la Mazzoli definisce immersione, mentre la contaminazione, altra modalità di socializzazione tipica delle neo-tribù, avrebbe a che fare maggiormente con una «miscellanea di paradigmi conoscitivi, di epistemologie, di modalità e modelli cognitivi» (ibidem, p. 9).

L’individuo postmoderno, quindi, fa dell’erranza una modalità propria dell’esistenza, si potrebbe dire uno stile di vita, che gli permette di essere ovunque a casa, di immergersi in mille ambiti diversi e subire il fascino di mille contaminazioni, pur rimanendo ovunque straniero. Si tratta, in definitiva, della condizione più propria dell’individuo cosmopolita, del cittadino del mondo, “sradicato” per definizione, nel quale prevalgono il gusto «della metamorfosi del cangiante e dell’instabile, la bellezza del caos, il piacere dello smarrimento, la sperimentazione dell’indefinito, dell’indistinto, del vago» (ibidem, p. 10).

Si potrebbe ironicamente dire: l’uomo giusto nel momento giusto. Il perfetto individuo dell’era globale. Attrezzato di tutto punto per affrontare le sfide della globalizzazione: l’instabilità dell’esistenza, la mancanza di lavoro e la sua precarizzazione, l’impossibilità di relazione durature o strutturate, il venir meno delle tradizionali istituzioni di sicurezza sociale (famiglia e welfare state).

Tutte queste condizioni vengono in effetti “vendute” all’individuo postmoderno come

153 Intendendo per postmodernità la fine delle grandi narrazioni (Lyotard 1979) tipiche dell’età premoderna ma anche di quella moderna, fondamentalmente incentrate sulle ideologie o “religioni politiche” (Bracher 2001), sul conflitto di classe e su di un millenarismo secolarizzato.

margini di maggiore libertà (Sennett 2000), come una «rivolta contro il funzionalismo» (Maffesoli 2000), come la sperimentazione personale di nuovi modi di essere, come il ritorno, finalmente, del dionisiaco contro la razionalizzazione crescente degli ambiti vitali; tutti moventi di nuove ed inedite opportunità.

Scrive infatti a riguardo Maffesoli: «Proprio come si è d’accordo sul fatto che il ritorno dei valori dionisiaci non può più essere considerato qualcosa di trascurabile; proprio come, per il meglio e per il peggio, il tribalismo postmoderno sottolinea bene l’esplosione delle società omogenee, allo stesso modo è tempo di prendere sul serio il ritorno delle pulsioni d’erranza, che in tutti i campi, come una sorta di materialismo mistico, richiama l’impermanenza di tutte le cose. Il che non manca di fare di ognuno il viaggiatore sempre alla ricerca dell’altrove o l’esploratore stupito di quei mondi antichi che egli ammette, sempre e di nuovo, di inventare. Poiché essere inquieti o in squilibrio non è forse, in fin dei conti, lo specifico di ogni slancio vitale?» (ibidem, p. 35).

Concentrando tutta la sua attenzione alla ridefinizione nomadica dell’individualismo e alle possibili conformazioni sociali cui questa può dare vita nella sua pulsione dionisiaca quale nuovo movente fondativo, Maffesoli manca di evidenziare i pericoli e le insidie di cui, d’altronde - secondo il filosofo francese - ogni viaggiatore dell’ignoto deve farsi carico.

Proprio come il popolo ebraico, identificato idealmente nella sola religione, ha saputo essere diaspora nel mondo, nomade per definizione, perennemente alla ricerca della terra promessa, e questo gli ha consentito – come non manca di sottolineare Maffesoli - di divenire popolo di negoziatori, imprenditori e consiglieri dei potenti, con contatti ovunque nel mondo, legami, conoscenza delle lingue e, in ultima analisi infinite possibilità, allo stesso modo però, proprio questa stessa condizione di “straniero” ha aperto loro anche i cancelli dei campi di sterminio nazisti in quanto unico popolo senza nazione in un mondo di stati nazionali (Arendt 1951).

Questa duplicità delle opportunità e dei rischi dell’erranza, così magistralmente esemplificata dalla parabola storica toccata in sorte al popolo ebraico, ci offre anche la possibilità di vedere oggi l’altra faccia della globalizzazione, la faccia del ripiegamento e della paura, ove “ogni uomo diventa lupo per il suo simile”.

In questa condizione il potere fondativo, o “costituente”, non è quello che viene dall’erranza e dall’esperimento continuo di una comunità nomadica, ma è piuttosto quello hobbesiano di una collettività che si sottomette ad un potere terzo e sovrano che li tuteli154.

Questo tipo di “comunione” è quella che più propriamente sorge dall’humus della globalizzazione e delle sue ripercussioni negative e corrisponde più alla richiesta di sicurezze e tutele che non alla volontà creatrice di un corpo politico, è cioè più istinto di sopravvivenza che slancio vitale.

La rimonta delle destre estreme ovunque in Europa, il montare della xenofobia, la chiusura “a fortezza” dell’Europa stessa e l’esplosione di miriadi patrie al proprio

154 Come sottolinea giustamente Dahrendorf, «La spinta [alle rivendicazioni autonomiste] è fornita non da un vero movimento popolare, bensì dalla mobilitazione ad opera di demagoghi e dell’interesse di funzionari. Se il tentativo riesce, il profitto per gli attivisti è più grande che per il popolo» (2005, p. 104).

interno ne sono le manifestazioni più eclatanti. La risposta più diretta ad una società da tempo policentrica e disgregata, che si va riaggregando in formazioni le più disparate ma che sono per lo più accomunate da una riscoperta del locale contro l’impotenza dello Stato nazionale e, a volte, contro la sua intrusione ritenuta oramai illecita.

In un panorama in cui lo stato nazionale va perdendo i suoi caratteristici compiti, in cui il capitalismo va perdendo ogni sua legittimazione e i soggetti sovranazionali vengono percepiti come entità lontane e burocratiche155, l’opera dello Stato viene vista, infatti, come un’intrusione impropria perché solitamente ha a che fare con la sottrazione di risorse (fiscalità) a fronte dello smantellamento delle sicurezze sociali legate al welfare e dell’instabilità occupazionale. Le insidie che vengono dal mondo globale, abbiano la faccia scura dell’immigrazione che fa paura o il basso costo del prodotto cinese che mette in crisi la manifattura autoctona o ancora l’intrusione di uno Stato che sembra aver tradito l’originario contratto sociale, non fanno altro che ottenere l’effetto di un ripiegamento delle comunità nel locale che viene, a sua volta, ridefinito e assolutizzato su base territoriale. L’ambito locale inteso non come territorio ma come entità culturale, come radicamento e storia. Il territorio diventa cioè “piccola patria” e aggrega le persone attorno ad un qualsiasi elemento di appartenenza comune che diventa così “cemento collettivo”. Molto spesso la lingua, un dialetto, una cadenza locale, essendo un elemento che si apprende sul luogo e non altrove, radicato nell’intimo e inestricabilmente legato all’individuo fin dai primi anni di vita, individuale e condiviso allo stesso tempo, ma soprattutto capace come poco altro di definire i confini fisici o ideali della comunità, diviene il primo e più fondamentale meccanismo di costruzione dell’appartenenza e dell’identità collettiva, sul quale, il più delle volte, si innestano elementi storici o folkloristici, come la ripresa di tradizioni antiche, purché capaci di veicolari sufficiente identificazione, orgoglio o risentimento collettivi. E quando tali tradizioni non siano presenti o troppo sfumate nel passato, non resta che inventarle di sana pianta156.

A questo duplice cammino, dal globale al locale, Dahrendorf dà il nome di «glocalizzazione». Si tratta, dice, di due aspetti paradossalmente legati: «lo spostamento delle decisioni in spazi più remoti, al limite globali – e il contemporaneo cammino inverso in direzione di unità politiche più piccole» (2005, p. 102). Questo duplice cammino, che prevede in qualche modo la riattivazione del locale, può essere – secondo Dahrendorf – sia fonte di rivitalizzazione della vita democratica delle piccole città e dei piccoli borghi, sia una pericolosa china per la democrazia, soprattutto per quelle entità

155 È lo stesso Dahrendorf a sottolineare la natura burocratico operativa e scarsamente democratica ad esempio della stessa Unione Europea: «Una struttura decisionale in cui una Commissione nominata ha il monopolio delle proposte e un consiglio di ministri nazionali (spesso rappresentati da ambasciatori e altri funzionari) prende le decisioni, è assai lontana da quei principi democratici che i membri della stessa comunità predicano agli altri» (2005, p. 106).

156 Il riferimento all’invenzione della tradizione è all’oramai classico testo di Eric J. Hobsbawm intitolato, per l’appunto, “L’invenzione della tradizione”. Scrive Hobsbawm: «Per “tradizione inventata” si intende un insieme di pratiche, in genere regolate da norme apertamente o tacitamente accettate, e dotate di una natura rituale o simbolica, che si propongono di inculcare determinati valori e norme di comportamento ripetitive nelle quali è automaticamente implicita la continuità col passato. Di fatto, laddove è possibile, tentano in genere di affermare la propria continuità con un passato storico opportunamente selezionato» (Hobsbawm e Range 1994, p. 3).

territoriali appena un po’ più grandi che oggigiorno si trovano al centro di aspre rivendicazioni autonomiste: «il suo principio primo è la separazione, verso l’esterno da vicini “estranei”, verso l’interno da non meno “estranee minoranze”» (ibidem, p. 104). Questo «nuovo regionalismo» molto spesso non nasce quindi dal desiderio di autodeterminazione democratica, bensì da quello di «omogeneità etnica».

Il rischio della glocalicazzione come regionalizzazione piuttosto che come mero recupero della dimensione locale, è quello di una «balcanizzazione» dei territori, con conseguenze nefaste per la pacifica convivenza.

Come dice altrimenti Beck «Il successo del populismo di destra in Europa (e in altre parti del mondo) va inteso come reazione all’assenza di qualsiasi prospettiva in un mondo le cui frontiere e i cui fondamenti sono venuti meno» (2010, Premessa, p. V). Queste forme culturali e politiche reazionarie possono essere lette quindi come risposte a «ciò che ci sta accadendo», cioè, nelle parole di Bauman, come risposte alle forze anonime […] che operano in quella «terra di nessuno» - nebbiosa e melmosa, impossibile da attraversare e da dominare, al di sopra delle capacità che ciascuno di noi ha di progettare e agire – che chiamiamo «globalizzazione» (2001, p. 68).

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autenticità altrove. Recupero e costruzione del passato e della

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