• Non ci sono risultati.

Dell ’ immobilità Nuove classi sociali all ’ ombra della globalizzazione

IL TURISMO TRA GLOBALE E LOCALE

1. Ripensare il luogo: mobilità come paradigma del mondo globale?

1.1 Dell ’ immobilità Nuove classi sociali all ’ ombra della globalizzazione

«Secondo il folklore della nuova generazione delle “classi illuminate”, che si sviluppa nel nuovo mondo coraggioso e monetarista del capitale nomade, aprire le chiuse e far saltare tutte le dighe create dallo stato renderebbe il mondo un luogo di maggiore libertà per tutti. Secondo tali tesi folkloristiche, la libertà (di commercio e di capitali, prima di tutto) è la serra nella quale la ricchezza crescerebbe come non è mai cresciuta prima: e una volta moltiplicata la ricchezza, essa sarebbe a disposizione di tutti» (Bauman 1998, p. 80).

Questa aggiornata versione dell’ideologia liberale su scala globale mette ben in evidenza qual è il progetto ideale della globalizzazione e di coloro che si dicono “mondialisti”, i neo-liberali radicali. Si tratta della solita visione dei fautori e consacratori del libero mercato, la cui tesi è sostanzialmente la “naturale” ri- equilibrazione del mercato “sul lungo periodo” dovuta ai meccanismi di domanda e offerta. La contestazione è tuttavia piuttosto facile e riecheggia quella che fu già di John Mainard Keynes e cioè che «sul lungo periodo saremo tutti morti». Ma il problema oggi non sembra più solo quello di intervenire al più presto per evitare i guasti più profondi e insanabili della visione neoliberale. Oggi la questione fondamentale è se la riequilibrazione del mercato su scala globale possa essere ancora possibile oppure se è da darsi come utopia, come prospettiva superata una volta per tutte. E non solo per l’impotenza degli Stati Nazionali, ma anche e soprattutto per la sempre più evidente impossibilità di estendere a tutto il pianeta e ad una popolazione mondiale crescente, il

paradigma dello sviluppo così come è stato concepito finora in Occidente.

Certo, forse il problema non si pone neppure, e infatti Bauman indica la visione neoliberale come “folklore”, vulgata irrealistica, giustificazione ideologica dei dominatori del processo di globalizzazione il quale, in realtà, palesa una crescente miseria “localizzata” che il mercato globalizzato non ha più alcun interesse a sanare. Secondo Bauman il principale carattere della dialettica «globale/locale», o del «glocale», come viene più spesso indicato questo osmotico rapporto, si gioca soprattutto sul piano della distribuzione delle opportunità e delle chances di vita.

La globalizzazione, infatti, ha come risvolto immediato una rinnovata miseria per un numero crescente di persone. Proprio come l’originario accumulo di capitale avvenne sulla pelle dei contadini, privati dei loro mezzi di sussistenza e trasformati in proletari urbani, miseri “schiavi salariati”, così la nuova ricchezza dei vincenti della globalizzazione, i nuovi «ricchi globalizzati», si costruisce sulla pelle di milioni di nuovi schiavi, di milioni di nuovi diseredati.

La differenza nella distribuzione della ricchezza mondiale si sta, infatti, allargando a sfavore dei cosiddetti “Paesi in via di Sviluppo”140 , i quali posseggono anche la maggior parte delle risorse, le quali, però, vengono esportate nei paesi occidentali lasciando pochissimo ai paesi da dove queste si prelevano141.

In generale, quindi, la ricchezza dei Paesi in via di sviluppo vede una tendenziale caduta nel tempo in seguito al processo di globalizzazione che ha premiato coloro che l’hanno saputo cavalcare (o, meglio, che avevano le risorse per farlo). Come sostenuto da John Kavanagh del Washington Institute of Policy Research, «la globalizzazione ha dato agli ultraricchi maggiori occasioni per fare soldi più in fretta. Queste persone hanno utilizzato le tecnologie più moderne per muovere con grande rapidità ingenti somme di denaro attraverso il globo e per speculare con sempre maggiore efficienza. Sfortunatamente, la tecnologia non ha alcun impatto sulla vita dei poveri. In questo senso, la globalizzazione è un paradosso: mentre ha effetti molto positivi per pochissimi, taglia fuori o mette ai margini due terzi della popolazione mondiale» (Bauman 1998, p. 80).

Quindi, è corretto dire che, in seguito alla globalizzazione, i ricchi diventano «sempre più ricchi» e i poveri «sempre più poveri». Ma non solo. La nuova dimensione dei rapporti sociali globali sarebbe soprattutto rappresentata dal fatto che «i ricchi non hanno più bisogno dei poveri» (ivi).

Questo significa, in primo luogo, che i nuovi rapporti di forza definiti dalla globalizzazione non si delineerebbero nella tradizionale forma antagonistica delle

140 Secondo le stime che riporta lo stesso Bauman, le ricchezze complessive dei primi 358 «miliardari globali» equivalgono al reddito complessivo dei 2,3 miliardi di persone più povere (il 45% della popolazione mondiale) e solo il 22% della ricchezza complessiva appartiene ormai ai cosiddetti «paesi in via di sviluppo», i quali rappresentano anche circa l’80% della popolazione mondiale (2001, p. 80). Più in generale, le sperequazioni economiche e sociali dovute alla globalizzazione sono espresse molto bene in quella che Loretta Napoleoni chiama “economia canaglia” (2008).

141 Ad esempio, il 20% del legname utilizzato nell’industria di tutto il mondo proviene dalle foreste tropicali, ma più della metà è esportato verso paesi ricchi. Per non parlare delle estrazioni minerarie e di materie prime i cui costi continuano a calare nel Terzo mondo e i cui prezzi continuano invece a salire nel Primo (Goldsmith e Mander 2003, p. 148).

“classi”: quello che denuncia Bauman è, in effetti, la rottura nell’era globale della tradizionale relazione «servo-padrone» che legava, in una reciproca dipendenza, ricchi e poveri, sfruttati e sfruttatori, un rapporto sbilanciato ma osmotico, sempre suscettibile di diventare la base di rinnovate rivendicazioni da parte dei dominati.

I nuovi ricchi, invece, «non hanno più bisogno dei poveri» (Bauman 1998, p. 81). Il giudizio di Bauman non può che essere lapidario: «Da qualsiasi punto di vista li si osservi, i poveri non hanno alcuna utilità» (ivi). Rotto questo legame, infatti, i poveri diventano «superflui», «vite di scarto»: «Finalmente la beatitudine della libertà estrema è vicina» (ivi)142.

Fenomeni economici come l’emergere della Cina a nuova superpotenza, ma anche lo sviluppo dell’India o del Brasile, ci parlano di nuovi mercati “emergenti”, terra di redenzione per i capitalismi occidentali in crisi. La Cina, recentemente, ha iniziato infatti una nuova fase di ascesa del prodotto interno lordo, ma questa volta non più imputabile alle esportazioni, bensì alla nuova fase di ascesa dei consumi interni143. Come abbiamo cercato di mettere in rilievo nel secondo capitolo, si starebbe assistendo quindi ad un rilancio dei consumi su scala planetaria che implica, almeno in una certa misura, anche una qualche redistrubizione della ricchezza.

Questo non significa affatto che le sperequazioni economiche si appiattiranno a breve, ma solo che i riequilibri economici mondiali sono quanto mai aperti e incerti e sicuramente gli ultimi, più poveri e più “localizzati” saranno certamente coloro che per primi ne pagheranno il prezzo più alto.

1.2 Lo “sguardo del vincitore”: turismo globale tra fascinazione neo-

Outline

Documenti correlati