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La sostenibilità in una prospettiva multi-stakeholder

IL TURISMO TRA GLOBALE E LOCALE

3. Il paradigma emergente della sostenibilità

3.5 La sostenibilità in una prospettiva multi-stakeholder

L’impostazione dei limiti alla crescita attraverso processi di negoziazione e di partecipazione che chiamano in causa un elevato numero di interessi anche divergenti, possono essere definiti, all’interno del paradigma del turismo sostenibile, come tradizioni basate sulla comunità (Community-Based Tourism), nelle quali la comunità ospitante e i benefici che possono venire dal turismo rappresentano l’asse centrale del processo.

Questi processi possono contribuire su base locale in particolar modo ai bisogni delle persone marginalizzate e delle minoranze escluse dai processi di turistizzazione, ma permettono anche di dar voce a quelle istanze che, per loro natura, ne sono prive, come appunto l’ambiente, il paesaggio e le specie animali, anche se il processo non si limita alle rappresentanze della comunità ospitante ma coinvolge tutti gli stakeholder compresi, ovviamente, gli operatori dell’industria turistica.

Da questo punto di vista, è importante notare come le comunità non siano monolitiche ma abbiano al loro interno differenti gruppi con differenti preferenze e differenti punti di vista riguardo al turismo e ai limiti alla crescita. Inoltre, questi diversi gruppi non è detto siano egualmente rappresentati o coinvolti nel processo partecipativo o, comunque non è scontato che abbiano, o vengano messi nella condizione di avere, la medesima forza nel sostenere le divese ragioni. Ad esempio, in un contesto in qualche modo già segnato da forme turistiche preesistenti, può essere che la maggior parte dei rappresentanti della comunità debbano il loro reddito proprio da attività legate al turismo e il loro interesse principale potrebbe essere quello di remunerare il più possibile i loro investimenti, con scarso interesse quindi alle questioni ambientali o alla sostenibilità dell’attrattività a lungo termine.

La volatilità degli aspetti qualitativi, intesi come tensione etica e percezione dell’urgenza verso le tematiche della sostenibilità, fanno di quet’ultima un campo d’azione dai contorni piuttosto “relativi” e sfumati. Per questo, tale approccio lancia una

sfida al concetto di sostenibilità stessa nel turismo. In altre parole, la tradizione basata sulla comunità implica che la sostenibilità sia, o possa essere, definita attraverso un processo di negoziazione, il quale indica che «i limiti alla crescita sono socialmente costruiti» (Saarineen 2006, p. 1130).

Come costruzione sociale quindi, la sostenibilità si riferisce «al massimo livello di conoscenza o di percezione degli impatti del turismo che sono possibili in un determinato contesto spazio-temporale ancor prima che gli impatti negativi possano essere considerati troppo disturbanti da una prospettiva di specifici attori sociali, culturali, politici ed economici che posseggono sufficiente potere sulle scelte degli indicatori e dei criteri» (ivi).

Più di altri approcci, quindi, quello partecipativo mette forse in rilievo come gli impatti, che ovviamente esistono nel mondo fisico (nonostante i valori umani, i significati e le preferenze) hanno anche un risvolto nei significati e nelle forze sociali locali. La domanda se questi mutamenti siano accettabili o inaccettabili, dipende dalle prospettive, dai “discorsi” turistici del luogo e dai valori specifici di ciascuno, dalle attitudini, dalle conoscenze e dalle priorità.

La tradizione partecipativa, quindi, ha soprattutto lo scopo di sviluppare l’empowerment delle comunità ospitanti nei confronti del tema dello sviluppo e delle sue pratiche concrete, anche se la prospettiva costruttivistica, indica che i limiti al turismo vengono così associati ontologicamente alle relazioni di potere in determinati contesti; senza contare il fatto che il forte accento posto sulla conservazione delle tradizioni dei contesti locali può nascondere la mera legittimazione e conservazione di strutture di potere consolidate (politiche, economiche, di genere) che, di fatto, possono impedire ad alcuni gruppi di accedere alle risorse economiche del turismo, ma anche di portare avanti forme originali di cambiamento della società, anche rispetto alla gestione ambientale (Cfr. Camuffo e Malatesta 2006, p. 58).

Questo approccio, in definitiva, mette in evidenza come il discorso sulla sostenibilità riguardi non solo delle proprietà materiali ma anche le relazioni di potere costituite da differenti attori e differenti discorsi sulla capacità di carico, i quali assieme, definiscono il livello appropriato di utilizzo delle risorse.

Pur tuttavia, un ultima osservazione va fatta, se non si vuole cadere nel tranello dell’eccessiva relativizzazione del tema della sostenibilità che, posta in un ottica di definizione pur collettiva, potrebbe ridursi alla sostenibilità o allo sviluppo intrinseco del sistema turistico, mettendo tra parentesi gli aspetti quantitativi.

Perciò, come suggerisce Luca Savoja, è necessario operare uno spostamento dal modello dello stakeholder management a quello della stakeholder democracy, ovvero pensare ad un modello di governance in cui sono gli stessi portatori di interessi che, da partner, condividono e si fanno carico degli interessi dell’attore implicito, cioè, almeno nel caso dell’ecoturismo, delle risorse naturali che rappresentano l’attrazione turistica stessa (Savoja 2007).

L’“attore implicito”, infatti, ha almeno due tipi di interessi in gioco: «da un lato “mantenersi integro” per continuare ad essere un’attrazione turistica e dall’altro “aprirsi alla fruizione” per consentire una sua valorizzazione in quanto risorsa turistica» (ibidem, p. 351).

Quest’ultimo interesse, in particolare, non può essere a carico di nessuno stakeholder singolare, ma è il risultato di un insieme di interessi specifici di cui sono portatori i vari stakeholder. In un approccio che abbiamo già definito infatti «multi-stakeholder», proprio della Share Social Responsability, gli interessi alla fruizione, alla conoscenza, alla valorizzazione, alla tutela e all’utilizzazione, ricadono, parzialmente, di volta in volta sui turisti, sulla comunità locale, sulle imprese della filiera.

In questo senso, ad essere messo al centro del dibattito partecipato è l’attore implicito stesso e le sue necessità. Ovviamente, il problema principale è qui quello di definire una “Autorità” in grado di rappresentarlo degnamente e, anche da questo punto di vista, si possono prospettare differenti filoni di pensiero in merito al concetto di sostenibilità e al grado con cui tale concetto è accettato.

A rappresentare l’attore implicito potrebbero essere chiamati i turisti stessi, ma in questo caso sia per numerosità che per differenziazione nelle motivazioni, la cosa appare assai complicata. Inoltre, ogni ambizione alla tutela di un bene collettivo quale è sicuramente il paesaggio e l’ambiente, potrebbe portare alla limitazione nella sua fruizione, trasformandolo da bene collettivo a bene “di club” (ibidem, p. 353), la cui fruizione è appunto limitata spesse volte sulla base del censo, come quando, ad esempio, viene applicata una tassa “di soggiorno”.

Da un lato quindi non è possibile lasciare il discorso sulla fruizione turistica sostenibile alle semplici prescrizioni morali degli agenti coinvolti, mentre dall’altra parte una limitazione alla fruizione di beni considerati collettivi sarebbe, da un punto di vista liberale, da considerarsi inaccettabile.

L’ecoturismo, quindi, come tutte le forme di turismo sostenibile, necessita forme di rinuncia da parte di tutti gli stakeholder coinvolti in favore dell’attore implicito: degli operatori turistici ad una parte dei possibili introiti provenienti da uno sviluppo numerico degli arrivi, come dai turisti, che devono essere disposti a rinunciare magari a tradizionali consumi o a disagi, in cambio di benefici che indistintamente ricadono su tutta la collettività.

In altri termini, si tratta di articolare forme turistiche che, spesso, sono definite anche con il termine di «soft-tourism» (Corvo 2003, Savoja 2005), il quale si cartterizza per la presenza di imprese turistiche di piccole dimensioni diffuse sul territorio, gestite direttamente dalla comunità locale e armonizzate con la realtà ambientale, economica, sociale e culturale del territorio.

Questo tipo di turismo appare particolarmente indicato per fiorire in contesti locali di piccole dimensioni, in aree ancora marginali per l’industria delle vacanze, dove siano presenti comunque attrazioni di particolare pregio, magari naturalistico, mentre pare scarsamente applicabile a contesti turistici già consolidati. Per questo spesso tale approccio viene considerato alla stregua di «microsoluzioni per un macroproblema» (Savoja 2005, p. 69).

Tuttavia, nell’ottica di una ridefinizione del turismo nel contesto dei flussi globali propri della tarda-modernità, questo tipo di soluzioni si rivelano molto interessanti in quanto mostrano come la decentralizzazione spaziale dei luoghi turistici, di cui parlava Savelli (2008), comporti, molto spesso, l’elaborazione di modelli di fruizione capaci di tenere in conto che le risorse su cui poggiano non sono illimitate. Inoltre, molto spesso, per

divenire attrattive, queste località possono contare solamente su forme cooperative e diffuse di lavoro che tendano ad esaltare sia l’identità e le specificità locali che a rafforzare i legami sociali comunitari e col territorio, contribuendo, al contempo, al rafforzamento di una “morale turistica” (Corvo 2003) che dalla comunità locale si allarga agli amministratori pubblici e ai turisti stessi, sovente coinvolti in operazioni di formazione e di educazione all’ambiente e alla comunità locale.

Questo approccio interessa allora tanto il turismo diretto verso i paesi cosiddetti in via di sviluppo, dove soprattutto associazioni e Ong tendono a promuovere la risorsa turistica in una prospettiva responsabile e sostenibile, sia i paesi occidentali, nei quali queste nuove forme turistiche alimentate dai nuovi immaginari performativi connessi tanto all’emersione di un nuovo ethos quanto alle nuove infrastrutture comunicative, si connotano come rinnovate opportunità di sviluppo locale in direzione di un nuovo paradigma di sostenibilità che si contrappone al tradizionale paradigma di sviluppo incentrato sulla mera crescita economica.

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