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Dal sociale al tribale La pluralizzazione della cultura di consumo

Etica romantica e socializzazione dell ’ esperienza di consumo

3.2 Dal sociale al tribale La pluralizzazione della cultura di consumo

Il sorgere della società dei consumi ha portato il valore simbolico delle relazioni sociali nel mercato e, quindi, direttamente nel consumo, nelle merci, così trasfigurate in simboli dei rapporti sociali e di classe e, successivamente, direttamente della propria personalità originale.

Come simboli, infatti, le merci assumono un carattere immediatamente «fantasmagorico» che agisce direttamente nell’ambito pseudo-pubblico delle relazioni private pubblicamente esibite. Mentre quello che è stato definito status symbol rimane legato ad un sistema simbolico di classe, legato cioè ad interessi sociali aggregati ancora ben determinati, l’avvenuto slittamento verso una completa personalizzazione, verso cioè lo style symbol come manifestazione personalistica di gusto, segna anche l’avvenuto avvento di una società totalmente intimista che, molto spesso, appare anche come il compimento della società del consumo, dove la massima possibilità di scelta e di personalizzazione va di pari passo con la massima possibilità di consumo.

Bauman descrive i consumatori come uno «sciame inquieto» che si muove all’unisono, che ha una fede cieca nella verità dei numeri, dove non esistono specialisti, dove

30 La pubblicità, ma in realtà tutta le manifestazione della cultura commerciale, delle quali la pubblicità è solo l’epifenomeno più immediato, costituisce «un patrimonio collettivo di immagini che rappresenta il collante di un sistema sociale disorientato e sempre più privo di punti di riferimento» (Codeluppi 2001, p. 50). In questo senso, la pubblicità, senza perdere il suo radicamento nella dimensione della contemporaneità, tenderebbe a spostare il suo territorio d’azione primario sul terreno che gli antropologi definiscono come dimensioni archetipiche del mondo umano (vita, morte, amore...) e sugli elementi fondativi della vita nell’universo e dunque anche della cultura sociale (acqua, terra, aria, fuoco...). La pubblicità andrebbe, quindi, a svolgere la medesima funzione rituale ricoperta nelle società primitive dai miti, rafforzando le tradizioni e i legami collettivi, contaminando il sociale con il suo atteggiamento euforico e insegnando che la vita può trionfare sulla morte e che dunque è possibile risolvere la contraddizione principale che si trova alla base dell’esistenza umana. (ivi).

ognuno va per sé e non c’è alcuna «cooperazione» o «scambio» o «complementarietà» ma «solo prossimità fisica» (2008, pp. 48 e 49). Ma la realtà non è propriamente questa, o non è solo questa.

In realtà i consumatori non rappresentano più, come riconosce lo stesso Bauman, quell’uomo-massa completamente isolato della prima era dei consumi, ma tendono a formare “tribù” o, come preferisce chiamarle Bauman, «branchi». La società del consumo “monocentrica”, che si costituisce attorno all’individuo-massa atomizzato e, in quanto tale, succube dei sistemi burocratici e ideologici totalizzanti, lascia man mano il campo ad una società del consumo “policentrica”, nella quale gli oggetti e le esperienze di consumo assumono una piena valenza simbolica e un loro ambito di relativa autonomia, all’interno delle quali il soggetto postmoderno può calarsi di volta in volta per bagnarsi nella corrente delle appartenenze liquide, relativamente stabili ma sempre passibili di venire ridefinite e, al limite, abbandonate.

Il movimento di superficie di questo brulicare di attività è qualcosa di completamente diverso dallo sciame, il quale ben rappresentava piuttosto il movimento di consumo di una produzione di massa standardizzata. Nel consumo, oggi giorno, vige piuttosto la personalizzazione, il trionfo dell’individualità creativa e, quindi, la differenza.

Quello che ravvisa giustamente Bauman, piuttosto, è che mentre tutto cambia in superficie, il cuore del consumismo ha messo il turbo e l’individuo non è solamente più solo ma anche sempre più inquieto: se tutto deve essere uguale, allora bisogna che tutto cambi.

Quella che a volte è detta società postmoderna, mirabilmente rappresentata come una società di individui «nomadi» (Maffesoli 2000), appare anche una società capace di rinnovate aggregazioni sociali, le quali, seppur superficiali e temporanee, appaiono centrate essenzialmente sul legame stesso.

Queste «neo-tribù» (Maffesoli 1988) coagulano i loro legami sociali molto spesso attorno ai totem della cultura commerciale, tanto da risultarne sovente delle vere e proprie emanazioni, suscettibili di essere ricontestualizzate in un universo prettamente commerciale come intuito da Bernard Covà (2003) nel definire la sua «via Mediterranea al marketing». Anzi, queste “comunità di marca” (brand community), o di “prodotto”, divengono molto spesso i principali testimonial commerciali delle imprese, dei veri e propri super-consulenti disposti volentieri a collaborare con le imprese stesse, facendo loro risparmiare notevoli investimenti in ricerche di mercato o nell’innovazione di prodotto. Si tratta di forme «prosumeristiche»31 che finiscono per portare a compimento quel connubio tra lavoro e consumo, tra produttore e consumatore già rinvenuto da Baudrillard come una delle evoluzioni più proprie della società contemporanea e la caratteristica forse più peculiare della società del consumo.

Questa forma di collaborazione, quasi sempre a titolo gratuito, tra i consumatori e le imprese, avviene spesso sulla base di un vincolo affettivo o emotivo con la marca o il prodotto, magari collegato ai ricordi d’infanzia o altro. In questo contesto, le pratiche

31 Il termine «prosumer» (da cui “prosumerismo”) è un neologismo coniato dalla fusione dei termini produttore (producer) e consumatore (consumer). Il primo ad utilizzare tale termine è stato l’autore americano Alvin Toffler nel suo The Third Wave del 1980, dove quale osservò che i ruoli di produttore e consumatore avrebbero cominciato a fondersi e confondersi.

dei famosi «persuasori occulti» e il lavoro dei creativi che hanno elaborato marchi, slogan e prodotti, diventano la base per un rinnovato rapporto collaborativo tra produttori e consumatori che vi guardano con lo stesso spirito sentimentalistico che anima i moventi più intimi. Visto da questo punto di vista, il prosumerismo testimonia dell’avvenuta conciliazione tra produzione e consumo e la piena integrazione dei consumatori stessi con la cultura del consumo condivisa da un gruppo.

É possibile parlare infatti di un passaggio dal feticismo al totemismo (Cfr. Bartoletti 2002 p. 40). Il totem, infatti, nelle religioni arcaiche rappresenta ad un tempo il gruppo ed il suo legame. Rappresenta, per così dire, la reificazione del legame che deve esistere oggettivato al di fuori del legame medesimo per continuare ad esistere sempiterno. La metafora totemica, al pari dell’ideale del simulacro, rischia di non dare ragione delle dinamiche stesse del gruppo. Per questo, la Bartoletti propone anche il concetto di «quasi-oggetto», mutuandolo da Michel Serres. In questo caso viene superata l’immagine del totem emanazione del sistema produttivo, proponendo quella dell’«oggetto-unione» o dell’«oggetto-legame», il quale si connota per la sua capacità di circolare tra i membri del gruppo entrando in possesso di tutti in modo che ognuno vi possa imprimere la propria azione e il proprio contributo (Cfr Bartoletti 2002 p. 46). Il quasi-oggetto, allora, a differenza del totem, possiede una capacità intrinseca di venire definito e ridefinito dal gruppo stesso e si candida così a meglio rappresentare l’oggetto e il soggetto in relazione al gruppo, o meglio, la relazione tra oggetto, soggetto e gruppo nella cultura del consumo.

In questo senso, l’oggetto così risignificato è pronto a tornare nuovamente all’industria culturale in un rinnovata rapporto tra mondo della produzione e mondo del consumo o, meglio, tra ambito produttivo e quello che è, nella cultura del consumo, il mero orizzonte dell’esperienza.

Come sostiene Fulvio Carmagnola, l’espressione «economia delle esperienze» o «industria delle esperienze» sottolinea esattamente «lo specifico valore aggiunto dei prodotti e dei servizi offerti nelle società postindustriali consistente nella possibilità di riprodurre o simulare “l’esperienza vissuta”» (2004, p. 47).

L’aspetto fondamentale dell’economia post-fordista, infatti, sta esattamente «nella capacità di mettere al lavoro la vita. […]. Come nel general intellect marxiano […], “le identità stesse sono messe al lavoro”, in una “forma estrema di lavoro indipendente, simulazione di libertà ove il proprio sentire, pensare, diviene forza produttiva”.» (ibidem, pp. 49 e 50). É in questo senso, conclude Carmagnola, «che il consumo – nei termini anche più larghi dell’insieme delle abitudini sociali e culturali legate alla merce – è effettivamente e letteralmente una forza produttiva e il consumatore diventa produttore, “parte fondamentale dell’officina dei bisogni culturali”» (ivi).

Quello che ancora non evidenzia Carmagnola, tuttavia, è questa rinnovata alleanza tra consumo e produzione, tra consumatore e produttore, si va ridefinendo su di un piano di quasi assoluta orizzontalità32. Un’orizzontalità, attenzione, tanto più importante in

32 Questo aspetto è messo particolarmente in luce da Bernard Cova nella sua proposta di un Marketing neo-tribale, là dove consiglia all’impresa di rendersi parte della cultura del gruppo, per così dire al servizio di essa. Il gruppo, la “brand community” o la “comunità di prodotto”, va intesa non più come un target ma come un utile alleato. Il rispetto della cultura che nasce nel gruppo e dal gruppo allora

quanto particolarmente precaria e fragile, suscettibile di venire sempre continuamente rinegoziata all’interno della cultura del consumo e che offre nuove ed inedite opportunità al consumatore molto sensibile al tema della “commercializzazione”, intesa come snaturalizzazione in un’ottica prettamente commerciale, di una cultura che egli considera come propria (o quantomeno come parte della propria cultura)33.

Se da un lato quindi la strategia produttiva si avvale del “lavoro” creativo del consumatore, dall’altra parte esso acquista un potere di negoziazione notevole all’interno delle strategie aziendali stesse.

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