Etica delle capacità: una discussione
5. Benessere come ευ̉δαιµονία
Il concetto di benessere per Sen è qualcosa di ampio, che comprende l’intera realizzazione dell’uomo, inclusi i valori che spesso possono andare contro l’interesse personale. Tuttavia non si sbilancia nell’elencare una lista di capacità fondamentali per il pieno sviluppo dell’individuo, sostenendo che le differenze individuali sono talmente accentuate che sarebbe difficoltoso trovare degli obiettivi comuni da realizzare e si potrebbe scadere nell’arbitrarietà. Ma, d’altra parte, se non si tenta di schematizzare le capacità umane e di ordinarle secondo una qualche priorità, l’intera concezione può risultare troppo generica e priva di forza concettuale. Proprio per questo motivo Martha Nussbaum ha sviluppato una lista di dieci tipi di capacità fondamentali, che costituiscono il buon vivere umano, seguendo una impostazione aristotelica. Se Sen corre il rischio di essere troppo vago e di non riuscire, con la sua teoria, a orientare le questioni di etica pubblica, al contrario la Nussbaum rischia di imporre una struttura arbitraria e rigida, incapace di cogliere le differenze nelle possibilità
146 Come sostiene Magni, Amartya Sen riprende dall’utilitarismo la centralità del benessere individuale, cambia
tuttavia il modo di concepire il benessere stesso, che non viene più identificato con l’utilità personale, quindi con la felicità oppure con la soddisfazione dei desideri, ma «[…] viene identificato con l’esecuzione di alcuni funzionamenti che riguardano lo stesso soggetto agente: il benessere è un indice dei funzionamenti di una persona» (cfr. S.F. Magni, op. cit., p. 53).
di realizzazione individuale, presenti tra le varie persone, argomenti questi che verranno approfonditi in seguito.
Ciò nonostante, la teoria delle capacità offre un punto di vista alternativo alle visioni liberali e comunitarie, spostando l’attenzione su ciò che effettivamente l’uomo fa e su ciò di cui ha bisogno, tenendo presente che quelle differenze impongono di comprendere le diverse esigenze di ognuno e di considerare la mancanza di benessere come un qualcosa di più profondo rispetto al normale calcolo di utilità. Questo punto di vista può risultare molto utile nel risolvere i punti deboli del liberalismo, soprattutto quello rawlsiano, a volte dimentico proprio di quell’aspetto. Amartya Sen e Martha Nussbaum riportano il problema ad una concezione rivisitata del bene e della vita buona aristotelica, concezione che può fungere da punto di riferimento per risolvere il contrasto tra quei beni fondamentali, che la tradizione liberale considera come prioritari per qualunque ricerca di felicità, e le diverse rivendicazioni di valori presenti nelle società contemporanee più complesse.
Ma torniamo alla correlazione esistente tra benessere e funzionamenti e quindi capacità. Per Sen i funzionamenti sono fondamentali perché consentono di giudicare se una persona sta bene o no, quindi consentono di misurare la qualità della vita di un individuo, dato che l’intera nostra esistenza non è altro che un insieme di funzionamenti, di cui alcuni appaiono più rilevanti al fine del vivere bene, come l’essere adeguatamente nutriti e vestiti, l’essere in buona salute, l’occupare una certa posizione sociale, l’essere rispettato all’interno della società e tanti altri elementi che, se venissero a mancare, potrebbero peggiorare in modo più o meno netto la nostra qualità della vita: «La tesi di fondo è che i funzionamenti siano costitutivi dell’essere di una persona e che una valutazione dello star bene debba prendere la forma di un giudizio su tali elementi costitutivi»147. Dietro a tale concezione vi è una particolare visione dell’uomo come di un essere che, per realizzarsi, ha bisogno di raggiungere una felicità che deve essere garantita dalla società.
Si tratta di una posizione che ha suscitato critiche di perfezionismo, come vedremo, ma qui il senso è un altro: in una certa misura, è opportuno che nelle questioni di giustizia distributiva si consideri il benessere umano nella accezione più ampia possibile, non solo in termini di reddito ma in termini di capacità e funzionamenti, perché il garantire a tutti la possibilità di acquisire determinati funzionamenti significa assicurare loro una qualità della vita alta, quindi una maggiore felicità. Sen è molto attento a non far passare la sua teoria per una specie di perfezionismo, dove lo stato sarebbe il titolare della felicità degli individui e avrebbe il potere di modificare i bisogni umani, anzi cerca di inserirsi in una tradizione
liberale, volendo, tuttavia, portare avanti la sua idea di persona e di felicità umana in modo più ampio di come finora siano state espresse. A tal proposito specifica i presupposti della sua concezione dell’uomo, individuandoli innanzitutto in Aristotele: «Le fondamenta filosofiche di questo approccio possono essere fatte risalire agli scritti di Aristotele, che comprendono una penetrante investigazione di ciò che è buono per l’uomo in termini di vita nel senso di attività»148. Proprio l’importanza data all’attività dell’uomo nel suo esplicarsi all’interno della società spinge a ricercare le basi del benessere nelle capacità umane e, negli scritti di Aristotele, si possono trovare le implicazioni, sia a livello politico che sociale, della concezione che si incentra sulla felicità umana come realizzazione di capacità ritenute fondamentali: «[…] le relazioni concettuali più forti sembrerebbero sussistere con il punto di vista aristotelico sul bene umano»149. Per lo Stagirita, infatti, il progettare politico deve avere come obiettivo quello di garantire ai cittadini le condizioni, tramite cui sia possibile condurre una buona vita, non solo una semplice esistenza, quindi si presuppone una teoria del bene che, probabilmente, Rawls definirebbe “grossa” (thick) rispetto, ad esempio, alla sua, che viene descritta come “magra” (thin), poiché Sen non include solamente la garanzia del reddito e delle libertà fondamentali ma inserisce anche la necessaria tutela di certe capacità fondamentali per il raggiungimento della felicità. Come sottolinea Enrico Berti, parlando della concezione seniana nella sua analisi sull’aristotelismo all’interno delle teorie etiche contemporanee, «[…] il criterio della distribuzione dei beni deve essere quello di rendere la gente capace di vivere in un certo modo, capace di scegliere sapendo che cosa può scegliere»150. Infatti, per sapere che cosa può scegliere, è necessario capire che cosa occorra ad ogni individuo, dato che siamo di fronte ad un’estrema diversità di bisogni, inoltre ogni bene varia il suo valore a seconda dell’utilità che se ne ricava, quindi non possiamo stimare in modo adeguato il valore di qualunque bene da distribuirsi finché non si disponga di una descrizione delle funzioni per le quali questi beni vengano ritenuti utili, diversificando l’analisi da individuo ad individuo. Se ogni persona è diversa dall’altra per caratteristiche fisiche e per fattori sociali come educazione, posizione sociale e reddito, è chiaro che la disponibilità di un certo bene, come ad esempio il diritto di voto, è inutile per quella sprovvista degli essenziali mezzi economici, se non le si garantisce effettivamente la possibilità di votare mettendola nelle condizioni di partecipare alle scelte che riguardano la
148 A. Sen, La diseguaglianza, op. cit., p. 64. 149
A. Sen, Il tenore di vita, op. cit., p. 125.
sua comunità151. Alla base di tutto ciò c’è sempre l’idea di felicità umana da tutelare, intesa, tuttavia, in una accezione più ampia del semplice possesso di diritti: «[…] Sen ha in comune con Aristotele l’idea di bene comune come capacità di esercitare la funzione propria dell’uomo, e la concezione di quest’ultima non come semplice felicità ma come pienezza, piena realizzazione di sé»152. La felicità viene intesa come fulfilment, cioè pienezza, fioritura delle capacità umane, termine che si può connettere a quello di ευ̉δαιµονία, che non significa semplicemente felicità ma indica tutto quanto attiene alla funzione propria dell’uomo, tanto che «[…] Aristotele usava a questo proposito esattamente lo stesso termine, cioè “funzione”, usato da Sen per spiegare il concetto di “capacità”, ugualmente di origine aristotelica»153.