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Capacità e identità

4. Il paradigma dell’incompletezza

Il problema dell’incompletezza è ciò che più interessa le teorie della giustizia ed è anche un tratto caratteristico delle teorie della scelta sociale, proprio perché rappresenta l’elemento più ricorrente, anzi addirittura una costante, in ogni tipo di giudizio sulla giustizia sociale, sia per la presenza di valutazioni incomplete individuali sia per incongruenza tra i diversi pareri delle persone, proprio in quanto i principi che guidano l’azione sono in competizione tra loro.

Le decisioni sulla giustizia altro non sono che opinioni ponderate, dunque suscettibili di modifica in seconda istanza, magari attraverso l’accettazione di nuove variabili o per un’accresciuta consapevolezza dei problemi. Le variabili rappresentano proprio le quantità di informazioni presenti, che aumentano la riflessione e concorrono a modificare le decisioni: maggiore è la base informativa da trasmettere al sistema valutativo, minore può essere l’eventualità di errore. Dunque, attraverso uno studio della scelta sociale più ampio possibile e condotto attraverso sistemi di comparazione delle situazioni individuali, è possibile ottenere un quadro più attendibile dei motivi delle nostre decisioni.

Amartya Sen utilizza una metafora interessante per descrivere le differenze tra una teoria della giustizia di tipo trascendentale e istituzionale, che utilizzi una minore base informativa ed ha come scopo la descrizione di un concetto di giustizia unico e valido come schema per la società, ed un approccio comparativo, magari impostato sul concetto di spettatore imparziale e che utilizza una teoria dell’azione sociale più ampia possibile: «il fatto che una persona ritenga la Gioconda il migliore quadro del mondo non rivela come quella persona posizionerebbe un quadro di Picasso rispetto ad uno di Van Gogh…Per argomentare la superiorità di un Van Gogh rispetto ad un Picasso non occorre accalorarsi per identificare l’opera più perfetta del mondo, superiore a tutti i Van Gogh, tutti i Picasso e tutti gli altri dipinti esistenti»182.

Tale metafora di carattere estetico ha tuttavia come limite quello di non essere così pregnante, in quanto la necessità di un giudizio estetico universale non è così cogente come il dibattito su regole morali e sistemi di giustizia distributiva in grado di modificare gli assetti delle società e dunque le vite delle persone. Ma è chiaro che emerge il contrasto tra l’individuazione di un bello ideale e la comparazione tra le diverse opere d’arte, il classico problema della molteplicità e dell’universalità.

L’utilizzo di un’ampia gamma di informazioni relative a valori diversi dai nostri, l’acquisizione di opinioni diverse e la prospettiva dello spettatore imparziale sono tutti elementi che possono aiutare le teorie della giustizia ad essere più efficaci nel momento in cui lo scenario globale è caratterizzato dalla frammentazione più estrema.

In particolare ciò che più interessa è la rilevanza argomentativa delle posizioni altrui che si vanno ad inserire nel dibattito, non unicamente la titolarità a partecipare, la cui rilevanza, al contrario, ha come effetto di limitare la discussione solo a coloro che sono coinvolti direttamente nella stipula del contratto sociale.

Secondo Sen lo spettatore imparziale di Smith è uno strumento che serve alla valutazione critica e alla discussione pubblica, proprio perché non c’è alcun bisogno di cercare l’assoluta unanimità o il pieno accordo, come impone invece la pregiudiziale istituzionale della teoria della giustizia rawlsiana: «ogni eventuale dissenso non dovrà fare altro che lasciarsi inquadrare in un ordinamento parziale e moderatamente articolato, in grado tuttavia di delineare proposte utili e nette. Analogamente, gli accordi raggiunti non implicheranno di necessità che una certa proposta sia l’unica giusta, semmai che sia plausibilmente giusta o, almeno, non palesemente ingiusta»183. Non si tratta unicamente di lievi differenze lessicali, poiché l’incompletezza e la presenza di conflitti irrisolti è un dato di fatto da cui partire, dunque l’approssimazione regna sovrana, per questo più ci si avvicina ad un grado di affidabilità alto, più si previene la presenza di palesi ingiustizie e si fanno passi avanti nella direzione di una società giusta, senza per forza ottenere la certezza assoluta di uno schema trascendentale valido una volta per tutte.

L’incompletezza delle situazioni sociali per l’economista indiano, d’altronde, è un fenomeno diffuso e ineliminabile, riscontrabile anche nella teoria della giustizia rawlsiana, la cui procedura di costruzione di una società giusta è condannata a non raggiungere mai la perfezione e il pieno e totale accordo su ogni singola questione da parte dei contraenti, soprattutto in un tempo futuro184.

Quindi l’uso delle capacità non deve essere concepito come un esercizio del tipo “o tutto o niente”, ma deve essere in grado di assumere l’incompletezza come carattere portante del discorso, essendo un fattore precipuo dei confronti interpersonali sullo star bene. Un approccio che, altrimenti, riesca a confrontare le diverse situazioni di diseguaglianza raggiungendo la massima completezza rischia di tradire la natura delle idee di giustizia.

183 A. Sen, L’idea di giustizia, Mondadori, Milano 2010, p. 145.

184 Si veda a tal proposito il capitolo dedicato a Rawls del libro di Sen, L’idea di giustizia, Mondadori, 2010, nel quale

l’economista indiano descrive proprio la Theory come incapace di creare un accordo universalmente accettato ed immutabile.

Secondo Sen concetti come lo star bene o la diseguaglianza sono difficili da definire e tentare di rispecchiarli in ordinamenti completi potrebbe creare dei veri e propri problemi di iperprecisione.

Si creano così due motivazioni sull’incompletezza, che rimandano ad una metodologia attenta a catturare l’ambiguità dei concetti piuttosto che ad ignorarla. Sen parla rispettivamente di:

• Motivazione fondamentale dell’incompletezza: è sbagliato ricercare un ordinamento completo ignorando l’ambiguità di concetti come lo star bene e la diseguaglianza;

• Motivazione pragmatica dell’incompletezza: se vi sono parti dell’ordinamento che si possono delineare senza ambiguità, allora è opportuno procedere nella strutturazione di un ordine, senza attendere una completezza comprensiva di tutto185.

Assumere l’incompletezza come carattere portante del discorso rappresenta la vera sfida nel momento in cui andiamo ad affrontare i problemi concreti relativi agli ambiti principali della vita umana.

Tuttavia molti critici di Sen non sono convinti di questa via e sostengono come rimanga irrisolto l’enorme problema dei confronti interpersonali, che impedisce di capire quali siano le capacità più importanti, come anche di raggiungere un grado di oggettività tale da poter operare sulle diseguaglianze per risolverle.

Tramite il riposizionamento del ruolo del capabilities approach all’interno delle teorie della giustizia e attraverso l’uso dell’idea di incompletezza, Sen ha impostato la discussione su un piano diverso, forse più pragmatico, da una parte sgomberando il campo da possibili accuse di perfezionismo e limitazione della libertà, dall’altro diffondendo una metodologia basata più sul dubbio che sulla certezza, più sul particolare che sull’universale, più sul risolvere problemi che sull’illusione di non crearne di nuovi.

Questo insistere sul concetto di incompletezza, sull’idea di comparazione al posto di trascendentalismo, rimanda ad una osservazione generale sulle società contemporanee, non

185

Si veda più precisamente la spiegazione di Sen riguardo all’incompletezza in A. Sen, La diseguaglianza, il Mulino, Bologna 1994, pp. 72-75.

solo quelle occidentali, e sul modo in cui i cittadini interagiscono tra di loro e con le istituzioni multilivello della governance globale.

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