Il teorema dei diritti uman
4. Generazioni e categorie: i diritti sociali ed economic
Tali paradosso, relativo alla tutela o meno dei diritti umani e al conflitto tra sovranità nazionali e giurisdizione sovranazionale, è strettamente legato alla questione dei diritti sociali che, fin dal loro sorgere, hanno suscitato problemi circa la loro interpretazione e la loro efficacia.
L’introduzione dei diritti sociali nello spazio della discussione giuridico-politica a cavallo tra ottocento e novecento si presenta essenzialmente come una continuazione, un ampliamento del discorso sui diritti civili. In particolare si trattava di dare valenza collettiva ai diritti civili in base alle istanze provenienti dai sindacati e riguardanti le condizioni dei lavoratori. Addirittura si può dire che «per le donne il riconoscimento di diritti sociali sia avvenuto prima di quello dei diritti politici e, in parte, anche dei diritti civili»85.
Infatti l’idea di diritti sociali riguarda principalmente lo Stato, dunque la teoria secondo cui certi servizi devono essere resi pubblici e accessibili a tutti i cittadini. Se, per quanto riguarda quelli civili e politici, il punto di riferimento è sempre l’individuo inteso in senso liberale ottocentesco, dunque come uno spazio di libertà personali da difendere in una certa misura contro la collettività, al contrario il diritto di una persona a ricevere beni o servizi riguarda il rapporto tra lo Stato e i cittadini. Si cominciò a diffondere l’idea che, per una migliore evoluzione della società, ci fosse bisogno di giustificare gli interventi pubblici a
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A. Cassese, I diritti umani oggi, op. cit., p. 211-212.
favore delle fasce più deboli. Ciò non riguardava solamente la sfera del lavoro: ad esempio l’istruzione pubblica, obbligatoria e a spese dello Stato, è un esempio di intervento volto all’educazione dei cittadini a prescindere dalla posizione che essi occupano nella società. In questa chiave si sviluppò anche l’idea di pubblica amministrazione, dunque di una serie di servizi pubblici che devono essere organizzati e strutturati dall’apparato statale, che ne pianifica l’efficienza e l’effettiva realizzazione. Quindi i diritti sociali, da prerogativa di una certa categoria, come quella degli operai, passarono ad essere diritti posseduti da tutti i cittadini.
Nella Costituzione della Repubblica di Weimar del 1919, ad esempio, vengono esplicati i principi di un intervento statale a favore del massimo sviluppo di tutte le persone: «l’organizzazione della vita economica deve corrispondere ai principi fondamentali della giustizia allo scopo di assicurare a tutti una esistenza degna dell’uomo. In questi limiti è da garantire la libertà economica del singolo»86 (art. 151). Ciò significa che, oltre all’idea di garantire ad ogni cittadino la massima libertà all’interno della sua sfera privata, lo Stato deve assicurare che ognuno venga aiutato a svilupparsi nella sfera pubblica, a favore dell’ampliamento della dignità e del rispetto di sé, ossia si introduce il concetto di obbligo sociale per realizzare il bene comune: «viene dunque enunciato il diritto di tutti i cittadini ad avere un lavoro adeguato alle proprie capacità, ancora oggi uno dei diritti di più difficile realizzazione»87.
Tali concetti si possono ritrovare, seppur modificati, nella Costituzione italiana, soprattutto in riferimento all’articolo 3, dove si recita che «è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese».
Per quanto riguarda le teorizzazioni sui diritti sociali ci si può riferire da una parte alla Dichiarazione dei diritti sociali di Georges Gurvitch, del 1946, nella quale si sostiene come i diritti sociali implichino un coinvolgimento attivo da parte del titolare dei diritti stessi, un cittadino, dunque, non visto come passivo ricettore di vantaggi, ma come un interlocutore che riceve tali diritti per utilizzarli all’interno della società assieme agli altri e ne conferma la difesa e l’attuazione.
Un’idea importante espressa da Gurvitch è che una stessa persona può essere titolare di diritti diversi a seconda dei gruppi o delle categorie a cui appartiene, ad esempio si può essere titolari di certi diritti in quanto produttori o di altri in quanto consumatori o di
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A. Facchi, Breve storia dei diritti umani, op. cit., p. 116
entrambi. I diritti dell’uomo, variegati e di diversa natura, in quanto si radicano in un particolare fondamento sociale a seconda del gruppo a cui ognuno appartiene, vengono concepiti come diritti di una persona situata socialmente, non di un individuo astratto e completamente avulso dal contesto sociale in cui si trova ad operare.
Un'altra teorizzazione fondamentale sui diritti sociali è quella di Thomas Marshall nel saggio su Cittadinanza e classe sociale. Secondo la sua teoria i diritti sociali rappresentano il necessario completamento dell’evoluzione in chiave egualitaria della società.
Lo scopo dei diritti sociali è quello di includere, all’interno della società, quelle componenti e quei gruppi sociali fino ad allora esclusi, per farli assumere un ruolo attivo e diventare a pieno titolo cittadini. Tali diritti risultano quindi essere estremamente particolari, legati alle singole situazioni degli individui che si trovano in condizioni di svantaggio economico e che sono esclusi. «Mentre i diritti civili sono stati teorizzati come diritti che fanno riferimento all’individuo, astratto da ogni appartenenza di gruppo, e alla sua sfera di proprietà e libertà, i diritti sociali sono sorti con riferimento alla persona in quanto appartenente ad una collettività»88.
Analogamente all’idea di Norberto Bobbio sulla divisione dei diritti in generazioni successive, Thomas Marshall individua tre categorie, integrando la classica tripartizione in civili, politici e sociali. La prima categoria rappresenta ciò che, per Bobbio, sono i diritti di prima generazione, ovvero quelli derivanti direttamente dal liberalismo di Locke e composti dai diritti civili (le libertà fondamentali), attraverso cui l’individuo crea una sfera inviolabile nella quale lo stato non può ingerirsi ma che anzi deve lasciar libera di essere esercitata. Nella prima generazione di diritti, oltre a quelli civili, vi sono anche quelli politici, che per Marshall fanno parte della seconda categoria di diritti, sviluppatisi successivamente tramite l’ampliamento del concetto di cittadinanza. Questi rappresentano la libertà politica di partecipare attivamente alle decisioni dello stato di appartenenza.
Successivamente si introduce la terza categoria di diritti, ovvero quelli appartenenti ad una seconda generazione: si tratta dei diritti sociali, che sono stati formalizzati nelle costituzioni soltanto a partire dal Novecento e che hanno trovato una forte risonanza nella tradizione socialista e della lotta di classe contro gli abusi dello sviluppo capitalistico. Tali diritti derivano dalla riflessione sul concetto di eguaglianza e sul fatto che lo stato debba impegnarsi giuridicamente ad assicurare prestazioni di assistenza soprattutto a quei cittadini più bisognosi ed in difficoltà: tale ambito di protezione solidaristica si esplica nei settori del lavoro, dell’istruzione e della salute.
Queste tre categorie di diritti (la prima generazione dei diritti civili e politici e la seconda dei diritti sociali-economici) esaurirebbero la teorizzazione classica presente anche nella Dichiarazione universale del 1948 in tema di diritti umani. Tuttavia, con l’evoluzione della società e con la sempre più ampia affermazione di una cultura dei diritti umani, è apparsa una terza generazione di diritti, dando così luogo alla moltiplicazione e specializzazione, cosa che tanto mette in crisi i sistemi giuridici, spesso non in grado di formalizzare in tempo le nuove esigenze emergenti nella società. La terza generazione è costituita da diritti su scala globale, che si rivolgono soprattutto ai paesi del cosiddetto Terzo Mondo, dunque ha come obiettivo la redistribuzione delle risorse mondiali, l’autodeterminazione economica e sociale e il diritto a partecipare alle decisioni mondiali. Inoltre, all’interno di questa vasta categoria, sono comprese anche le prerogative collettive di tutela dell’ambiente, della pace e della comune assistenza in caso di disastro. Tali diritti rappresentano una maggiore estensione ai problemi globali dei diritti di seconda generazione, tuttavia suscitano controversie sul modo e sul senso in cui dovrebbero essere applicati e tutelati senza intaccare il principio dell’autodeterminazione dei popoli.
Infine la quarta generazione di diritti, analizzata con precisione da Stefano Rodotà, è composta da tutte quelle rivendicazioni che sorgono anche a causa dell’utilizzo delle nuove tecnologie e dell’evolversi della società. Sono diritti che si rivolgono a singoli gruppi o addirittura a esseri non ancora esistenti. Ad esempio riguardano i consumatori, gli utenti, coloro che stanno per morire, gli embrioni, la privacy del codice genetico e dei dati personali, per arrivare fino ai diritti delle generazioni future.
Come si può facilmente intuire, la moltiplicazione delle sfere della vita, nelle quali si esplicano dei diritti spesso, appunto, rivolti non ad esseri umani esistenti ma futuri o che devono ancora nascere, rappresenta una vera e propria complicazione giuridica, proprio perché, moltiplicandosi i diritti, si moltiplicano anche gli strumenti giuridici che dovrebbero tutelarli. Un campo come quello della privacy, fondamentale per il rispetto della persona, può essere potenzialmente rivolto ad ogni ambito della vita umana, dall’identità genetica ai dati elettronici.
Chiaramente in questo modo si mette a rischio l’effettività di tali diritti, che non sempre possono essere garantiti con efficacia, proprio perché in teoria ad ogni diritto corrisponde una rete di altri diritti, senza i quali non potrebbe essere efficace.
Come nel caso dei diritti civili e politici, che non possono essere pienamente esercitati senza una corrispondente esplicazione di quelli sociali, così al contrario i meri diritti economici non valgono nulla senza le libertà di base e quelle politiche. Aggiungendo anche i diritti di
terza ma soprattutto di quarta generazione, la questione di complica ancora di più, creando una totale interdipendenza tra le varie categorie di diritti e tra i gruppi e gli individui che li esercitano.
Per semplificare il problema, Amartya Sen e Martha Nussbaum portano avanti l’idea di una sorta di freedom net, ovvero di una rete di libertà reciprocamente necessarie, sta alla base della loro etica delle capacità. L’idea è che si debba ripensare il sistema di diritti e doveri e le tutele giuridiche di una persona all’interno della società in termini di capacità combinate, dunque di un insieme di potenzialità che ognuno deve riuscire a trasformare in acquisizioni effettive, attraverso il supporto degli apparati statali che devono mettere il singolo in condizione di rendere attive quelle libertà attribuitegli sulla carta.
L’idea della persona come di un insieme di capacità da sviluppare non è nuova e trova, ad esempio, nella teorizzazione di Christian Wolff89 un curioso antecedente, soprattutto nel modo in cui il metafisico tedesco concepì i diritti, ovvero come poteri, facoltà che l’uomo deve esercitare se vuole cercare di perfezionare la sua natura. Secondo Wolff ad ognuno avrebbe dovuto essere data la possibilità di esercitarli, dunque arrivò anche a concepire un sistema di welfare state ante litteram, sostenendo che lo stato dovesse fare in modo di assicurare agli indigenti determinate prestazioni, quali un’assistenza economica, sanitaria e scolastica. Dunque di diritti soggettivi di tipo sociale si parlava già nel XVIII secolo, basti anche pensare alla Dichiarazione dei diritti del 1793, in piena rivoluzione francese, mai entrata in vigore ma nella quale erano inseriti diritti sociali ed anche l’idea che ad ogni diritto corrispondesse un dovere. Tuttavia tale legame intrinseco tra diritti e doveri successivamente si sarebbe perso, fenomeno che può aver contribuito a quella moltiplicazione dei diritti avvenuta nel novecento90, come abbiamo visto prima.
Tale ricerca continua di una nuova eguaglianza piena, che possa mettere veramente tutti i cittadini di una comunità politica sullo stesso piano, implica che si introducano programmi speciali per le categorie o le persone emarginate o per le minoranze: tutto questo non fa che complicare l’azione istituzionale e moltiplicare i livelli di formalizzazione giuridica dei vari diritti, con il rischio che poi si producano delle vere e proprie ingiustizie sociali, che, anziché risolvere il problema, ne creano degli altri, come vedremo in seguito.
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Si veda in proposito il testo di Christian Wolff dal titolo Institutiones juris naturae et gentium del 1768.