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Un tentativo di mediazione tra beni primari e capacità

8 Oltre i beni primari: un diverso criterio di eguaglianza

9. Un tentativo di mediazione tra beni primari e capacità

È interessante, a questo punto, analizzare un tentativo di mediazione tra la prospettiva di tipo trascendentalista dei beni primari, riconducibile a Rawls, e quella comparativista delle capacità, tipica di Sen. Si è già discusso del rapporto tra le due teorie, ora si cercherà, attraverso un esempio teorico, di capire quanto le due prospettive siano diverse e in che modo l’etica di Sen, assumendo, come abbiamo visto, la prospettiva dell’incompletezza, risulti più attendibile per risolvere le questioni di giustizia.

Si comincerà con un’ipotesi di lavoro: è possibile trasformare la teoria rawlsiana per estenderla anche a coloro che si trovano ai margini delle decisione collettive, come ad esempio i disabili, senza cambiarne l’impostazione? Secondo Norman Daniels, un filosofo americano che ha studiato molto la Theory di Rawls e ha cercato di mediarla con la riflessione di Sen, è proprio affrontando la questione delle politiche sanitarie che si scopre la vicinanza del concetto di capacità a quello di opportunità. La protezione delle normali funzioni vitali rimanda, infatti, alla tutela dell’insieme delle nostre opportunità, in quanto, se esiste un obbligo, da parte della società, di assicurare una giusta distribuzione delle stesse, allora sarà un obbligo sociale anche promuovere il normale sviluppo delle funzioni vitali. Questo è l’obiettivo fondamentale di una politica sanitaria: dobbiamo concepire delle istituzioni che garantiscano un sistema di distribuzione equo dei trattamenti sanitari.

Ora, operando una plausibile estensione della teoria rawlsiana per collegare gli effetti delle malattie con le opportunità che possiamo esercitare, allora, secondo Daniels, stiamo utilizzando degli strumenti che non differiscono, se non dal punto di vista terminologico, dall’etica delle capacità.

Tramite i principi di giustizia di Rawls, secondo Daniels, è possibile attuare una corretta distribuzione delle cure sanitarie alle persone e perciò, in questo caso, cadrebbe la necessità di fare ricorso alle capacità, il cui significato corrisponderebbe a quello dei beni primari, fatta salva una semplice differenza terminologica. Infatti pensare alle opportunità in termini di libertà realmente possedute ed agite riavvicina la visione rawlsiana a quella di Sen, come lo stesso filosofo americano aveva sostenuto, auspicando, nella sua teoria, la capacità di

essere liberi ed eguali cittadini e sostenendo che un compito importante era proprio quello di insistere sull’inclusione delle capacità stesse all’interno del novero dei beni primari.

Norman Daniel sostiene così di poter creare un nesso tra le due teorie attraverso la semplice analisi approfondita dei concetti: «in effect, meeting the needs of free and equal citizens through the distribution of the primary social goods in accordance with the principles of justice leads to people having the capabilities required of free and equal citizens»170.

Per comprendere meglio il nesso capacità-opportunità, Daniel fa un esempio piuttosto chiaro: supponiamo che io voglia diventare un corridore, cioè di cominciare a praticare il

running in modo regolare e continuo. Tale scelta non deve essere vista come un qualcosa

legato alla mia carriera, dato che non ho intenzione di guadagnare soldi o gloria per questo, ma soltanto una dimensione della mia vita, una scoperta del mio spirito atletico o di appartenere alla comunità dei runners. A questo punto, che cosa significa realmente tale scelta nella mia vita? È ragionevole farla? Se ho a disposizione gli strumenti per procedere, ovvero se sono in buona salute e il mio fisico riesce a sopportare le fatiche di una tale scelta di vita, allora posso farla. Ma se fossi malato o avessi dei problemi fisici che non mi consentono di correre a quei livelli, i funzionamenti che sostengono il correre non sarebbero quelli da me posseduti. Tali mancanze renderebbero questo piano di vita impossibile da realizzare e mi costringerebbero, a seconda del problema, a cambiare sport o a rinunciare del tutto ad un’attività fisica agonistica. In questo caso dovrei cercare di venire incontro alle opportunità che mi sono permesse in base alle mie condizioni di salute e alle mie attitudini, ma non solo, anche ad altre variabili non connesse con la salute, come i miei orari di lavoro o le esigenze della famiglia e altri impegni. Indubbiamente, proteggere la mia salute è il punto fondamentale per schiudere tutta una serie di opportunità per le quali ho bisogno di avere delle condizioni sanitarie normali. Quindi un piano di vita ragionevole da raggiungere è un’opportunità che posso sfruttare e rappresenta una delle mie capacità: io sono capace di essere un corridore regolare se possiedo una serie di caratteristiche normali armonizzate tra loro. Per Sen, la serie di cose che posso fare o essere costituiscono l’insieme delle mie capacità, per Daniels il piano di vita ragionevole da perseguire è rappresentato dalle opportunità effettivamente disponibili per lui, tra cui, se ve ne sono alcune impossibili da raggiungere, allora avrà una mancanza effettiva nell’insieme delle sue opportunità o capacità.

Daniels sta dimostrando come sia estremamente difficile distinguere tra capacità e opportunità, proprio perché in questo caso non stiamo ragionando in termini di risorse possedute o meno, ma di piani di vita possibili, dunque di opportunità o funzionamenti. Secondo il filosofo americano, tuttavia, esisterebbero due versioni seniane del concetto di capacità e, in particolare, nella prima emergerebbe una connotazione egualitaria che allontanerebbe molto tale teoria da quella rawlsiana. In questa prima formulazione delle capacità da parte di Sen l’attenzione è incentrata sull’obiettivo dell’equità, che si ottiene nel momento in cui si ha eguaglianza nelle libertà positive, cioè quando le capacità sono eguali. Ma, a causa delle differenti condizioni fisiche ed economiche di partenza tra le persone, ne conseguono casi di ingiustizia, che è opportuno, appunto, ridurre attraverso la dotazione di un set di capacità uguale per tutti.

Secondo la proposta di Rawls e dello stesso Daniels, al contrario, le diseguaglianze di partenza rimarrebbero tali ed ineliminabili di per se stesse, tuttavia adeguate politiche sociali dovrebbero offrire a tutti le stesse opportunità, senza ricorrere ad un precedente dettame egualitario in termini di capacità. Perciò Daniels critica severamente l’economista indiano per la sua prospettiva di offrire eguaglianza anche nelle capacità, utilizzando un argomento tratto dal contesto sanitario. Se, infatti, applicassimo il criterio delle eguali capacità, di fronte al problema di curare una serie di persone ammalate, ci troveremmo di fronte a delle conseguenze paradossali. La prima è un problema di tipo pratico: assumendo l’obiettivo di migliorare le capacità di tutti, si perderebbero di vista le priorità, col rischio di curare ulteriormente persone già sane, dotate di un livello standard di capacità, carente solo in alcuni aspetti trascurabili. La difficoltà nasce dal fatto che riuscire a garantire per tutti uno stesso livello di capacità significa poter mettere tutti nelle condizioni di esprimere la propria personalità a vari livelli, dal semplice diritto alla sopravvivenza fino alla possibilità di occupare alti incarichi governativi. Ma ciò significa che difficilmente si potrà raggiungere uno standard perfetto, in cui vengano fornite tutte le capacità possibili, dunque ci sarà sempre qualcosa da migliorare. In conseguenza di ciò, una politica sanitaria rischierebbe di sprecare risorse per contribuire al miglioramento di situazioni già di per sé buone, non necessitanti di cure mediche, col rischio collaterale di trascurare coloro che, al contrario, si trovano in condizioni generali molto peggiori.

La seconda questione riguarda un’incongruenza nell’argomentazione logica dell’etica delle capacità ed è esemplificata da un esempio che lo stesso Sen propone: se fosse dimostrabile scientificamente che, in generale, le donne vivono più a lungo degli uomini, allora, se volessimo applicare il criterio delle eguali capacità, saremmo costretti a concentrare le cure

sanitarie soprattutto sugli uomini a scapito delle donne, con la conseguenza paradossale che queste ultime rischierebbero di non venir neanche curate proprio per ristabilire una situazione di eguaglianza nelle capacità. Una simile conclusione è ovviamente contro ogni concezione di giustizia, sia dal punto di vista di Sen che di Rawls, ma scaturisce logicamente applicando il ragionamento, come lo stesso Daniels spiega: «One wrinkle for this approach is that we would not be obliged to correct for the effects of disease or capability where they work to increase equality in capabilities, for example, by diminishing the capabilities of those endowed with superior capabilities»171.

Il problema, secondo Daniels, è che Sen si propone di risolvere il contrasto tipico delle teorie della giustizia tra il criterio dell’efficienza e quello della libertà, ovvero il fatto per cui spesso è difficile equilibrare le legittime rivendicazioni di giustizia con il funzionamento pratico di una società: la giustizia non fornisce automaticamente le soluzioni per ottenere una completa eguaglianza nelle capacità e spesso ciò che manca è proprio la validità e l’efficienza delle strutture che hanno tale compito. Così la mediazione tra libertà ed efficienza può determinare alcune ineguaglianze tollerate per il corretto funzionamento della società stessa. Tuttavia Sen trascura, secondo Daniels, il tentativo di risolvere lui stesso il contrasto o, per lo meno, di indicare quali sono i possibili modi in cui si può conciliare l’assoluta libertà con l’efficienza.

Al contrario Rawls, nella sua Theory, riuscirebbe nell’intento, tramite i due principi di giustizia che bilanciano, da una parte, l’assoluta libertà e dall’altra le ineguaglianze che, essendo inevitabili, devono almeno andare a vantaggio di coloro che sono più svantaggiati nella società.

La teoria di Sen, insistendo su un’eguaglianza di capacità, ignora un problema di incommensurabilità, secondo Daniels, dato che più si moltiplicano le capacità, a causa dei diversi piani di vita che ognuno ha, più risulta difficile attuare una teoria della giustizia in grado di colmare le mancanze tra i diversi set di capacità: «But for a broad range of differences in capability sets, they may be incommensurability in the sense that these sets are range differently by people with different conception of what is good in life»172.

Daniels giunge alla conclusione del suo ragionamento, sostenendo che se Sen intende

portare avanti l’idea di un’eguaglianza di capacità allora questa proposta è irrealizzabile proprio per l’incommensurabilità dei diversi range di capacità. L’unico

rimedio a cui si può ricorrere è un tentativo di livellare gli squilibri ma una vera eguaglianza è assai difficile da realizzare: «Because of this widespread incommensurability, our

171

N. Daniels, op. cit., p. 138.

egalitarian concerns do not commit us to pursuing equality of capabilities, after all, but only to assuring that individuals’ capability sets are not distinctly worse than those enjoyed by others»173.

La critica di Daniels alla prospettiva delle capacità proposta da Sen si basa su un particolare caso di applicazione pratica della teoria della giustizia di John Rawls ed ha come obiettivo, da una parte, quello di far cadere in contraddizione, l’etica delle capacità, dall’altra di appiattirla sulle posizioni rawlsiane, dimostrandone quindi la ridondanza, se non l’inutilità. Il problema principale di tale critica, tuttavia, non sta nella volontà di accomunare le due teorie, ma nel modo in cui si procede, ovvero estendendo la teoria della giustizia rawlsiana ad una proposta dello stesso Daniels sul modo di gestire la questione sanitaria. La direzione verso cui si muove è sulla stessa lunghezza d’onda delle capacità, ovvero garantire a tutti la stessa possibilità realizzativa delle opportunità scelte, tuttavia, secondo Daniels, tale idea non sarebbe garantita pienamente da Sen, troppo preoccupato a sostenere l’eguaglianza nelle capacità, dunque col rischio che si cada in pericolosi effetti collaterali, come quello di sospendere le cure a determinati soggetti per ottenere una maggiore equità.

Ora le cose sono due: se la teoria rawlsiana è stata forzata ad avvicinarsi alle posizioni di Sen, allora vuol dire chiaramente che l’etica delle capacità ha introdotto un nuovo modo di porsi nei confronti dei problemi, quindi non può essere liquidata semplicemente come una differenza terminologica; l’altra alternativa è che, invece, l’etica delle capacità venga nettamente rigettata a causa dell’ideale di equità nelle capacità stesse. Ma, qui è il punto cardine, tale idea in realtà non è mai stata appoggiata da Sen, il quale ultimamente l’ha persino confutata severamente, proponendo tra l’altro lo stesso esempio delle cure mediche portato da Daniels.

Anche nei suoi primi lavori degli anni ’80, in particolare in Equality of what?, esordiva proprio sostenendo come, proprio perché ogni teoria della giustizia parla di eguaglianza di qualcosa, sia necessario uscire da tale logica e introdurre il vertice ottico delle capacità per non limitare il discorso ad una mera eguaglianza di opportunità o risorse o utilità o diritti, andando a fondo nel problema e ampliando il più possibile la base informativa a disposizione. Sen, per concludere, non ha mai proposto apertamente una piena eguaglianza delle capacità, perché ciò sarebbe andato contro la sua idea di diversificare l’indagine sociale e non fissarsi su un unico criterio di osservazione.

Inoltre, se proprio si vuole andare a fondo nell’idea di eguaglianza nelle capacità, sembra che Daniels confonda, come altri suoi colleghi, tale idea con l’eguaglianza nei

funzionamenti, che è ben altra cosa. Prospettare un’eguaglianza di capacità significa semplicemente aumentare a dismisura le possibilità di azione e di essere di un individuo, non imporre uno standard di vita da rispettare a costo di livellare i talenti e le ambizioni di chi parte più avvantaggiato.

L’esempio della cure sanitarie che sarebbero sospese a chi si trova troppo in avanti, per aiutare coloro che non hanno tali possibilità, un esempio che tra l’altro lo stesso Sen porta avanti, a nostro parere non è il modo giusto di individuare la questione. In un’ottica di tutela delle capacità non è possibile che vi sia una limitazione, per una persona, a realizzare i propri obiettivi perché, in linea di principio, ognuno deve avere il diritto di migliorare ulteriormente le proprie condizioni. Dunque ogni forma di limitazione della libertà sembra impensabile, se non ovviamente quella che vada a scapito di altre persone.

L’eguaglianza nelle capacità significa mettere tutti nelle condizioni di esprimere le proprie potenzialità nell’agire e nell’essere, tenendo conto della diversità di talenti ed abilità che la natura fornisce casualmente, quindi non semplicemente permettere a tutti di partecipare alla vita pubblica tout court, senza alcuna pregiudiziale, come la prospettiva delle opportunità prevede, ma, in maniera più profonda, coadiuvare gli individui nella trasformazione delle possibilità in libertà realmente acquisite.

Il tema della disabilità è paradigmatico delle differenze tra le due proposte, quelle dei beni primari, o delle risorse, e l’approccio alle capacità. Come nota un grande fautore del cosmopolitismo come Thomas Pogge, la questione su cui si dividono tali teorie è se un sistema di comparazioni interpersonali, imposto in termini di vantaggio, dovrebbe essere sensibile alle differenze personali e in particolare alla disabilità e ai bisogni speciali.

Il modo di affrontare il problema da parte dei teorici del contratto ipotetico rawlsiano può avere due soluzioni diverse. Una è quella di considerare gli svantaggi subiti dalle persone disabili come socialmente determinati e come un qualcosa legato ad una costruzione ingiusta dell’ordine istituzionale. In questo caso la disabilità è vista come un risultato specifico della struttura e delle dinamiche della società, dunque connesso a ciò che va riformato in termini di teoria della giustizia. Un altro modo di affrontare il problema è invece quello di considerarlo non socialmente determinato ma frutto di un processo naturale di attribuzione di vantaggi e svantaggi da parte della natura che, agendo in modo casuale, crea le condizioni di ingiustizia tra gli uomini. Tale fenomeno creerebbe un necessario movimento all’interno della società, volto a livellare tali differenze attraverso la creazione di doveri di assistenza e solidarietà.

Rawls imposta la sua teoria della giustizia proprio sull’ideale di una cittadinanza attiva, fatta di individui pienamente cooperanti e membri di una società costruita sull’unione in nome della tutela delle libertà. Sulla base di un’interpretazione letterale di tale idea di reciprocità e mutualità, e dato che la giustizia riguarda fondamentalmente la distribuzione di benefici e oneri di cooperazione sociale, gli individui inabili a partecipare in un contesto di reciproco accordo sono di fatto automaticamente già esclusi dal contratto ancora prima di parteciparvi. Dunque, nonostante il tentativo di Daniels, risulta lampante come la teoria delle capacità non solo si diversifichi molto da quella di Rawls, ma introduca una prospettiva diversa e più ampia dell’analisi sociale, proponendo delle soluzioni che, malgrado presentino lacune e difficoltà di realizzazione, soprattutto se applicate alle società occidentali sviluppate, risultano essere estremamente utili per ridurre le ineguaglianze, in particolare tra i cittadini del cosiddetto terzo mondo, per i quali uno standard minimo di capacità è ancora un’utopia.

Capitolo IV

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