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Capacità e identità

7. Gerarchia delle libertà

Riguardo al ruolo della libertà nella teoria della giustizia bisogna considerare i due modi in cui tale concetto può essere inteso: ovvero uno relativo alle opportunità e l’altro ai processi. Infatti, da un certo punto di vista, la libertà rappresenta la nostra capacità di raggiungere ciò che per noi ha valore, i fini che vogliamo promuovere o lo stile di vita desiderato, da un altro rappresenta il modo in cui noi giungiamo a quelle decisioni, ossia che la condizione nella quale ci troviamo a deliberare sia libera da costrizioni.

Con tale distinzione è possibile comprendere come mai si abbiano dei casi in cui, nonostante una delle due libertà venga meno, rimanga rispettata l’altra, con conseguenti equivoci nell’individuazione delle ingiustizie. Se il criterio di giudizio sulle opportunità, di cui una persona dispone, consiste nel verificare se questa compia realmente delle azioni, che avrebbe scelto comunque in assenza di costrizioni, allora è possibile che vi sia la libertà anche se manca un libero processo di deliberazione.

Ciò rimanda al concetto di capacità, all’analisi delle possibili alternative e alla libertà di scelta, fattori che, uniti alle opportunità disponibili, creano le condizioni per comprendere le motivazioni dell’azione. Quindi la capacità di un individuo di condurre il tipo di vita che desidera deve essere valutata non solo in relazione alla situazione finale, a cui approderà, ma anche alla luce di una visione più ampia, che consideri sia il processo effettuato che la altre opzioni che poteva scegliere.

L’approccio delle capacità risulta essere più flessibile ed evoluto rispetto ad una concezione che fa affidamento unicamente sui risultati ottenuti, in quanto considera ciò che una persona può fare, che è in grado di fare, sia che si avvalga o meno di quelle opportunità. La nostra vita, infatti, non si riduce a ciò che effettivamente abbiamo fatto ma anche a ciò che avremmo potuto fare, perché la libertà delle nostre scelte è parte integrante della nostra condotta.

Uno degli esempi più importanti di questo discorso è sicuramente la capacità di scegliere tra diverse appartenenze dal punto di vista politico e culturale. Pensiamo alla situazione degli immigrati, che intendono mantenere le loro tradizioni anche nel paese occidentale dove vivono e che dovrebbero essere messi nelle condizioni di poter scegliere quale stile di vita adottare, preoccupandosi del modo in cui decidono più che della decisione stessa, ovvero avendo a disposizione gli elementi adatti per operare una scelta libera.

La possibilità della libera scelta riguarda la capacità di commisurare e confrontare i nostri bisogni e i nostri desideri: si tratta di capire se è rispettato il criterio della commensurabilità,

ovvero se siamo in grado di inquadrare i valori di tutti i risultati rilevanti secondo un’unica dimensione, attraverso una scala comune, che riduca ogni valore di riferimento ad uno, in modo da poter misurare nel complesso i diversi risultati. Anche se, in realtà, continuamente siamo sottoposti a decisioni le cui alternative risultano essere non commensurabili tra loro, non è generalmente impossibile operare tali confronti, basta avere a disposizione il maggior numero di informazioni sulla situazione in questione per orientarsi nella scelta.

Tutto ciò può essere facilitato dalla riflessione pubblica, che può in ogni momento ridefinire i pesi e le misure da assegnare alle varie capacità, attraverso gerarchie parziali e accordi limitati, che non fissano uno schema di condotta valido una volta per tutte ma sottolineano il carattere flessibile delle capacità. Sen su questo punto si trova in contrasto con l’altra grande esponente dell’etica delle capacità, Martha Nussbaum, che, come vedremo, ha stilato una lista di dieci capacità a suo avviso fondamentali, primarie, da utilizzare come guida per i principi costituzionali di uno stato. Sen considera assurdo che l’approccio delle capacità serva solo quando si accompagni ad una serie di pesi assegnati ai diversi funzionamenti in base ad un elenco prefissato di capacità ritenute rilevanti, poiché

«la ricerca di pesi fissi e predeterminati non solo è concettualmente infondata, ma non tiene conto del fatto che i valori e i pesi da usare possono ragionevolmente essere influenzati dal nostro esame incessante, nonché dalla portata del dibattito pubblico: una prospettiva poco compatibile con il rigido uso di pesi predeterminati in una forma non contingente»196.

La sfida è creare degli ordinamenti parziali attraverso il ricorso a diverse serie di pesi, non ad un unico insieme, anche perché sulla natura di tali pesi possono influire le condizioni e la natura del campo in cui operiamo. Ad esempio un valore come la civiltà di un ordinamento è estremamente difficile da individuare in astratto e da imporre alle più svariate situazioni; è più utile invece declinarlo a seconda dei diversi contesti e utilizzarlo come un dato orientativo, non come un valore assoluto.

L’obiettivo finale è giungere a delle soluzioni attraverso giudizi comparativi che emergono dalla riflessione personale e dalla discussione pubblica, soprattutto perché può essere difficile utilizzare un ragionamento esclusivamente individuale, sia per i problemi posizionali emersi in precedenza sia perché è possibile anche parlare di capacità di gruppo, che coinvolgono più persone allo stesso tempo. L’importanza valutativa, che ha la società nelle deliberazioni dei singoli, è di fondamentale importanza e non può essere ignorata,

poiché è estremamente difficile pretendere che un individuo agisca e decida a prescindere dalle influenze della società.

Tuttavia ragionare in termini di capacità di gruppo è estremamente insidioso, perché il gruppo non è dotato della stessa facoltà di pensiero del singolo e dunque una capacità di questo tipo può risultare la somma delle capacità individuali, attraverso una valutazione basata sul valore che gli individui danno alla loro capacità di collaborare con gli altri: «nel processo di valutazione della capacità di una persona di partecipare alla vita della società è implicita una valutazione della vita della società stessa»197.

Questo discorso fa emergere il tema fondamentale della nostra ricerca, ovvero il nesso tra capacità e identità: proprio l’accenno alla difficoltà di considerare le capacità di gruppo viene amplificato nel momento in cui si constata come ogni persona in realtà appartenga a differenti gruppi contemporaneamente, ricoprendo diversi ruoli e, quindi, portando avanti varie istanze identitarie. I gruppi sono stabiliti in base al sesso, alla classe sociale, alla lingua, alla religione, alla razza e così via, in modo che risulti estremamente difficile appartenere ad un unico gruppo specifico, i cui valori dovrebbero subordinare quelli degli altri. La concezione che vuole inquadrare gli individui in un unico gruppo di riferimento inevitabilmente limita la libertà di critica e di scelta delle persone e nega la struttura delle capacità, che, come abbiamo visto, presuppongono una serie di scale valoriali e di obiettivi per l’agire.

Dato che gli esseri umani sono soprattutto creature sociali, è impensabile che nel corso della loro vita, fatta di una serie numerosissima di relazioni sociali e di familiarità con contesti diversi tra loro, possano essere racchiusi in un unico valore di riferimento, ovvero come membri di un unico gruppo sociale omogeneo e determinato.

Anche se volessimo essere considerati unicamente in base ai nostri bisogni, cosa che ci avvicinerebbe ad una percezione di noi stessi come appartenenti ad una singola categoria sociale, commetteremmo uno sbaglio, poiché i nostri comportamenti sono mossi anche da scelte valoriali che spesso vanno al di là dei bisogni che rivendichiamo. In questo modo, nell’oscillazione tra valori e bisogni, si determina la struttura del nostro essere sia pazienti che agenti sociali, appartenenti ad una serie svariata di gruppi a seconda del momento temporale in cui deliberiamo o avanziamo una proposta, suscettibile di modifica col tempo.

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