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4 Multiple Self: da Pizzorno a Parfit

6. Le cerimonie del self: Goffman

All’interno della riflessione sull’identità personale, soprattutto in campo sociologico, non si può non considerare la teoria di Erwin Goffman, il noto sociologo americano che, con le sue posizioni un po’ provocatorie e una leggera vena di anarchismo teorico, ha introdotto nuovi spunti di riflessione oggi imprescindibili, soprattutto nel momento in cui si cerca di approfondire lo studio delle dinamiche identitarie da una punto di vista sociale, dunque i meccanismi che scattano nel momento dell’interazione tra soggetti inseriti in una rete sociale fatta di routine, di giochi di ruolo, di strategia.

Goffman ci presenta un vero e proprio campo di battaglia nascosto dietro alle situazioni forse più banali della vita, come un breve viaggio in metropolitana, un incontro occasionale di pochi minuti in mezzo alla strada, una stretta di mano, una cena tra amici. Nonostante l’apparente spontaneità dei comportamenti, in realtà si nasconde un sottile gioco di rimandi e comunicazioni non verbali tra gli attori in scena, proprio come se si trattasse di una piece teatrale, dove ogni gesto è studiato e ripetuto per significare altro o, magari, per accentuare un’azione o per ingannare. Lo studio del comportamento umano si sposta dunque da un piano neutro ad un piano teatrale, dove l’osservazione si fa capillare, attenta ai più insignificanti movimenti del corpo o inflessioni della voce, per arrivare a dimostrare che l’interazione è scenica, è funzionale, come a teatro. Nella sociologia di Goffman va in scena lo spettacolo dell’io, la commedia umana della società.

Ma in tutto questo che ne è più del self? Che cosa rimane dell’identità personale?

Dall’opera di Erwin Goffman, soprattutto da uno dei suoi testi chiave, The Presentation of

Self, emerge la concezione della natura cerimoniale dell’identità con i suoi rituali che, nella

società contemporanea, rivelano le singole personalità. È soltanto attraverso l’insieme di riti e procedure che l’individuo non solo acquisisce un’identità personale ma la comunica agli altri, che la modificano a seconda delle situazioni sociali di riferimento. Per Goffman è importante constatare come il sé sia qualcosa di sacro, che deve esser trattato con la dovuta attenzione rituale e presentato agli altri nella giusta luce. Come spiega lui stesso nel corso della trattazione, «il sé…non è qualcosa di organico che abbia una sua collocazione specifica, il cui principale destino sia quello di nascere, maturare e morire; è piuttosto un effetto drammaturgico che emerge da una scena che viene rappresentata»43. Ciò sposta nettamente la prospettiva della riflessione sul self rispetto alle interpretazioni classiche.

Infatti Goffman non afferma semplicemente, come fanno gli altri interazionisti, ad esempio George Mead, che l’identità è fortemente influenzata dai rapporti sociali con gli altri significativi, ma sostiene qualcosa di molto più radicale, soprattutto in senso antipsicologistico: il self è creato mediante il rituale, virtualmente dal niente. Dunque non solo non ha alcuno statuto ontologico ma è come se fosse costituito per convenzione, per non dire accidentalmente, dall’incontro/scontro dei vari partecipanti al gioco sociale. Un Sé come effetto collaterale dello sviluppo sociale del genere umano.

Per questo motivo bisognerà partire proprio dalla situazione sociale, e non dall’interno dell’individuo, per definire i caratteri del sé e per osservarne lo sviluppo: «meglio cominciare dall’esterno dell’individuo a lavorare verso l’interno che non viceversa. Possiamo affermare che il punto di partenza per tutto ciò che dovrà poi seguire consiste nell’individuo attore che mantiene una certa definizione della situazione davanti ad un pubblico»44. L’individuo dovrà essere in grado di interpretare di volta in volta le situazioni nelle quali si trova e adottare un certo tipo di atteggiamento, stando ben attento ad ogni dettaglio del suo comportamento, se vuole riuscire a guidare la partita imponendo i significati e facendo convergere gli altri sul tipo di riconoscimento da lui desiderato.

I rituali dell’interazione sono gli strumenti con cui le identità vengono costruite localmente, proprio perchè l’identità non è qualcosa di stabile e duratura nel tempo ma un effetto strutturale prodotto e riprodotto discontinuamente nei vari balletti rituali della vita quotidiana. Da qui consegue che il self stesso non è inerente ad una persona ma emerge da una situazione sociale.

Ciò apre lo spazio alla teorizzazione del multiple self, che a questo punto diventa l’unico modo per poter pensare all’identità personale. Se, infatti, il self è un prodotto sociale, è chiaro che subisce continue modifiche nel corso del tempo, non solo per il lavoro interno del soggetto ma anche, e soprattutto, per le sollecitazioni esterne ed i conferimenti di riconoscimento che avvengono quotidianamente. Ma è soprattutto attraverso i vari ruoli, le differenti parti che di volta in volta l’individuo è chiamato ad interpretare, che si sviluppano le sollecitazioni identitarie. Per Goffman, dunque, l’identità non nasce dal contrasto tra individuo e società ma dal contrasto tra i diversi ruoli che l’individuo si trova a dover ricoprire. Noi siamo obbligati ad esibire un self in ogni situazione della nostra vita non perché realmente lo abbiamo ma perché la società ci obbliga a comportarci come se l’avessimo.

A questo punto, una volta constatato il carattere di artefatto del Self, e una volta compresa l’importanza che i ruoli sociali hanno nella composizione dell’identità personale, sarà più chiaro capire il modo in cui si sviluppa l’analisi goffmaniana.

La domanda, dunque, che il sociologo americano si pone per il suo lavoro teorico diviene la seguente: se il Self è il prodotto dei rituali dell’interazione, in che modo viene preparato il materiale liturgico che verrà impiegato nella cerimonia?

Per rispondere alla questione Erwin Goffman si focalizza sull’ambito dell’organizzazione sociale, tuttavia ciò che veramente risulta essere il suo oggetto di studio è «l’incontro occasionale di persone di diverso status e le interazioni temporanee che ne possono derivare»45.

Lo scopo principale della sua attività di ricerca è quello di studiare la situazione sociale nei suoi minimi dettagli per rispondere alla domanda su che cosa sia il self e come si formi. Soprattutto le situazioni di interazione risultano essere, ovviamente, quelle in cui emergono i rituali di formazione dell’identità. Tale visione dell’ordine interattivo come una sfera d’azione autonoma costruita dagli individui porta a considerare Goffman vicino agli interazionisti simbolici come George Mead, o anche ai funzionalisti come Parsons, per il ruolo preponderante delle strutture sociali e delle funzioni individuali all’interno dei meccanismi identitari. Questi due elementi, che rimandano a due grandi tradizioni sociologiche, sembrano dunque accomunare la teoria di Goffman a quelle posizioni. Tuttavia sarebbe sbagliato considerarlo un teorico che si staglia a metà tra interazionisti e funzionalisti, poiché la sua analisi sociologica è molto particolare e difficile da catalogare. Per questo si può adottare l’espressione di “anarchismo teorico”, volendo sostenere non la poca sistematizzazione o il poco ordine del suo pensiero, tutt’altro, quanto la volontà di non aderire a nessuna corrente particolare ma di proseguire un lavoro autonomo basato sulla microsociologia delle relazioni interpersonali, una sociologia del quotidiano, legata in maniera forte anche ai contesti sociali spesso dimenticati, come, ad esempio, la condizione dei malati di mente, ossia le interazioni che avvengono all’interno degli istituti di igiene mentale, un ambito che lui ha studiato molto contribuendo anche a offrire visibilità a situazioni spesso nascoste nel dibattito quotidiano.

L’assoluta ricchezza del suo pensiero e l’impossibilità di ascriverlo ad una corrente particolare si notano in un passo molto importante in cui si spiega precisamente il meccanismo identitario: «L’individuo detiene una molteplicità di sé sociali o di ruoli: in un contesto di interazione determinato egli viene chiamato a giocare e a identificarsi in un

ruolo particolare, lasciando gli altri in uno stato di latenza. L’individuo tuttavia non assume in pieno il ruolo situato che trova a sua disposizione fino al punto di neutralizzare tutti gli altri sé sociali. Anzi è proprio il complesso sistema di identificazioni e disidentificazioni con gli altri sé parziali che gli consente di relativizzare e assumere una distanza dal self proiettato nel ruolo assorbito in un momento dato»46. Questo passo è di fondamentale importanza perché giustifica in pieno la teoria del Multiple Self e teorizza sia la relativizzazione dell’identità personale, nel senso che i ruoli sono equivalenti e interscambiabili, sia anche, cosa più importante, il mantenimento di una certa unità, di una consapevolezza al di là delle varie funzioni ricoperte. L’idea di una regia del Self, che coordina le diverse identificazioni in cui si viene calati ma che al tempo stesso non è in grado di assolutizzarsi fino al punto da coincidere con una delle identità ricoperte, è un punto teorico di notevole interesse, soprattutto per le conseguenze riscontrabili in campo etico.

Qui un altro problema viene alla luce: all’interno di un tale grado di complessità e molteplicità di ruoli, sembra che sia impossibile descrivere un tipo umano stabile e dato una volta per tutte. Così lo stesso Goffman per la sua “sociologia delle occasioni” si propone di indagare «quale modello minimo di attore sia necessario perché lo si possa caricare come un orologio, sistemarlo fra i suoi compagni di lavoro e farne emergere un’ordinata attività di comportamento»47.

Per far ciò utilizza il termine “faccia” per descrivere il valore sociale positivo che una persona rivendica per se stessa mediante la linea che gli altri riterranno che egli abbia assunto durante un contatto particolare, è insomma un’immagine di se stessi a cui l’individuo rimane molto attaccato soprattutto in caso di approvazione positiva da parte degli altri. Da qui deriva il meccanismo denominato “gioco di faccia”, che comprende tutti quegli atti che una persona compie per ribadire la coerenza con la propria faccia, una sorta di rituale per impedire ogni rischio di perdita della faccia.

Il concetto di faccia è molto importante perché esemplifica in modo concreto le relazioni esistenti tra un individuo, il contesto sociale, dunque gli altri, e l’idea del Self che ne emerge. La “faccia” ricopre un doppio ruolo: da una parte rappresenta l’immagine che si vuole dare agli altri o, viceversa, l’immagine che gli altri conferiscono ad un soggetto, d’altra parte rappresenta l’unico vero interlocutore possibile tra il soggetto e il mondo esterno.

46

E. Goffman, Il rituale dell’interazione, op. cit., p. 165.

Si ha dunque una doppia prospettiva: quella delle relazioni interpersonali e quella delle relazioni intrapersonali. Le varie facce del Self si integrano di volta in volta sia con l’immagine che ognuno ha di se stesso sia con quella conferita dagli altri; si crea così un vero e proprio caleidoscopio del Self, dove le varie sfaccettature si susseguono ma non in modo del tutto casuale. Infatti Goffman con la sua teorizzazione mostra proprio come il complesso procedimento di scambio interrelazionale sia comunque regolato da una serie di strategie razionali, che tuttavia si muovono su un piano privo di razionalità, poiché spesso il conferimento della faccia può avvenire sulla base di reazioni emotive, di ricordi, di adesione a certi valori. Da ciò si può dedurre che le definizioni del sé siano due: «il sé come immagine risultante dalla composizione delle implicazioni espressive di tutto il flusso degli eventi di una interazione e il sé come una specie di giocatore in una partita rituale, il quale è in grado di far fronte alle contingenze della situazione in modo più o meno diplomatico»48. Ma è proprio nel mondo insondabile delle relazioni interpersonali, in quel microcosmo fatto di maschere che si intrecciano e di verità che di volta in volta si (dis)velano, che si svolge la vita di una società, con i vari ruoli e le attività.

Per questo è importante focalizzare la molteplicità identitaria non solo a livello del microcosmo dei rapporti privati ma anche e soprattutto nelle relazioni pubbliche e, a livello ancora più generale, nei grandi ambiti della politica e dell’economia.

In particolare è utile approfondire l’analisi dei rapporti tra gli individui e lo stato, tra i cittadini e i servizi pubblici, tra gli elettori e la politica, per comprendere come la dinamica dell’identità multipla sia ben presente e capace di modificare le preferenze private e le scelte pubbliche.

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