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Etica delle capacità: una discussione

7. La teoria aristotelica delle capacità

Ma ora torniamo ad individuare i fondamenti di questa concezione, dopo averne brevemente descritto i punti cardine. Abbiamo visto come Sen riprenda la concezione di Aristotele proprio per individuare una diversa base nelle valutazioni sulla giustizia distributiva e sul benessere, approccio che risulta fondamentale per lo sviluppo della sua teoria. Sen parte dal dato di fatto della diversità umana e constata che è difficile stabilire una comparazione tra le varie acquisizioni umane se prima non si capisce ciò che è potenzialmente acquisibile e ciò che invece è stato acquisito di fatto. Tale ambiguità nell’eguaglianza di ottenimenti potrebbe portare a grandi ingiustizie, come, per esempio, nel caso in cui la massima acquisizione per l’individuo A fosse 1 mentre per l’individuo B fosse 2 ed entrambi si trovassero al livello 1: tramite un’analisi che guardasse solamente a ciò che è stato ottenuto, si trascurerebbe il fatto che l’individuo B è al di sotto della sua acquisizione potenziale. Qui Sen individua un altro parallelo con Aristotele: «È in parte per questo motivo che Aristotele ha ritenuto di dover considerare parametricamente quello che consentono le circostanze in cui si trova una persona e ha sviluppato la sua concezione distributiva alla luce di ciò»159. L’attenzione per le circostanze è in linea con la volontà di studiare il comportamento umano tenendo conto di tutte le variabili che concorrono alla scelta ed alle acquisizioni al fine di raggiungere il benessere. Nella Politica di Aristotele, nel libro VII, viene esposta proprio la volontà di includere le circostanze nell’analisi della costituzione migliore, in particolare per individuare le condizioni ottimali di vita: «Chi vuol fare una ricerca conveniente sulla costituzione migliore deve precisare dapprima qual è il modo di vita più desiderabile. Se questo rimane sconosciuto, di necessità rimane sconosciuta anche la costituzione migliore, perché è naturale che stiano nel modo migliore quelli che nelle loro reali condizioni si governano nel modo migliore, sempre che non capiti qualcosa di imprevisto»160.

In questo caso Sen sta distinguendo tra eguaglianza in termini di ottenimenti ed eguaglianza in termini di divari, individuando la prima nel confronto tra i diversi livelli effettivi di acquisizioni e la seconda, invece, nel confronto tra le acquisizioni effettive e le acquisizioni massime possibili. L’eguaglianza di ottenimenti ha come obiettivo l’eguaglianza tra i livelli assoluti di acquisizione senza tenere conto delle massime potenzialità; l’eguaglianza di divario, invece, punta ad un uso eguale delle potenzialità di ciascuno.

159

A. Sen, La diseguaglianza, op. cit., p. 131.

Il rimando ad Aristotele si svolge sul terreno dell’Etica Nicomachea, come abbiamo osservato in particolare dal punto di vista della funzione propria dell’uomo. Non ci sono dubbi che Aristotele dia grande importanza ai funzionamenti ed alle capacità della persona e li metta in relazione con le disposizioni relative alla distribuzione in campo politico. Il parallelismo tra Sen e Aristotele è, quindi, di indubbia importanza, come lo stesso Sen più volte sottolinea, tuttavia ciò non toglie che lui stesso individui delle ambiguità che lo allontanano dalle categorie aristoteliche, in quanto i due punti di vista non sempre coincidono, per lo meno se si affrontano alcune questioni specifiche che ora vedremo: «Sebbene il collegamento aristotelico sia senz’altro importante, si dovrebbe anche notare che vi sono alcune differenze sostanziali fra il modo in cui vengono utilizzati i funzionamenti e le capacità in quello che ho definito l’approccio delle capacità e il modo in cui vengono trattati nell’analisi di Aristotele»161.

La vera e propria differenza di vedute si individua nel modo in cui si scelgono le capacità, cioè quali siano le più importanti e se siano più o meno valide per tutti. Secondo Sen, sempre attento a non sottovalutare la diversità dei fini umani, Aristotele crede che esista, negli uomini, un elenco di funzionamenti fondamentali che può costituire il vivere bene; ora, una tale sicurezza nell’individuare alcuni funzionamenti come essenziali gli sembra una forzatura. Mentre nel campo dei mezzi con i quali si soddisfano le capacità vige una sorta di relativismo, nel senso che ognuno individua in certi mezzi ciò che può permettergli di realizzare la propria vita nel migliore dei modi, al contrario, per quel che riguarda le capacità a cui gli uomini aspirano tramite la riserva di mezzi a disposizione, esiste una minore variabilità. Può sembrare a prima vista strano che ci sia diversità di mezzi ma somiglianza di capacità, tuttavia Sen parla di minore variabilità e non di totale identità: «Questo argomento, che indica una minore variabilità ad un livello più intrinseco, mostra dei chiari legami con l’identificazione da parte di Aristotele di virtù non relative, ma le pretese di Aristotele di unicità si spingono molto oltre»162. Quindi, se i due filosofi possono convergere per quanto riguarda l’identificazione di un campo di virtù non relative e comuni a tutti gli uomini, concretizzate in certe particolari capacità, tuttavia Sen non si spinge a definire tale somiglianza una totale identità di vedute, in quanto la variabilità esiste anche nel campo delle capacità e, nonostante possa considerarsi minore rispetto a quella esistente nel campo dei mezzi necessari allo sviluppo della natura umana, è comunque da prendere in considerazione.

161

A. Sen, Il tenore di vita, op. cit., p. 125.

Ciò che si riscontra in Aristotele, ed invece manca in Sen, è un metodo, il più possibile oggettivo, che permetta di valutare i funzionamenti e di individuare quali siano più adatti a concorrere alla costruzione di un buon vivere, di una qualità alta della vita. Abbiamo già detto più volte che Sen rimane restio a percorrere questa strada, anche se ammette che, così facendo, si eliminerebbe l’incompletezza della teoria delle capacità. Tuttavia accettare la visione di Aristotele porterebbe ad una considerazione della natura umana come iper- determinata, in quanto basata su di un unico elenco di funzionamenti e non abbastanza attenta alla varietà dei modi in cui gli uomini possono raggiungere una soddisfacente qualità della vita, che varia da cultura a cultura, ferma restando la necessità di stabilire dei paletti comuni, dei limiti al di sotto dei quali, in qualunque posto si viva, non si può condurre una vita degna di essere vissuta. «Ma la mia intransigenza scaturisce soprattutto dalla considerazione che l’utilizzo dell’approccio delle capacità come tale non costringe ad imboccare quella strada, e la sua intenzionale incompletezza permette di percorrere altre strade che possiedono anch’esse una certa plausibilità»163. Perciò, secondo Sen è opportuno non accettare la particolare strada percorsa da Aristotele ma riprendere il suo punto di vista generale con un’argomentazione che permetta di analizzare il problema del benessere da un’altra prospettiva e che si può sintetizzare in tre punti principali:

1. il rifiuto dell’opulenza come criterio di conseguimento di una buona vita, quindi l’esclusione della ricchezza e del reddito come unici parametri di misurazione del benessere;

2. la rivalutazione del concetto di ευ̉δαιµονία, quindi benessere come well-being in senso seniano, riferito all’analisi del campo delle attività alle quali gli uomini attribuiscono valore, rifiuto delle analisi basate su criteri mentali che non presentino una certa oggettività;

3. la necessità di esaminare i processi e le dinamiche attraverso cui gli individui scelgono una certa attività, quindi la volontà di rivalutare la scelta e la libertà umana come elementi fondamentali per uno studio sul tenore di vita.

Questi tre punti, per Sen, costituiscono tre linee guida che concorrono a formare gli strumenti di lavoro di un’analisi basata sull’approccio delle capacità. Nonostante tali interconnessioni tra le concezioni etico-politiche dei due filosofi, rimangono le differenze ed, anzi, Sen rivendica il carattere aperto della sua teoria, maggiormente in grado di

adattarsi alla complessità della natura umana ed al relativismo dei valori che viene a volte menzionato nelle teorie etiche odierne: «Una generale accettazione dell’importanza intrinseca e della centralità dei vari funzionamenti e capacità alla base della nostra vita possiede un considerevole potere incisivo, ma non deve necessariamente essere basata su un precedente accordo circa i valori relativi dei diversi funzionamenti e capacità o su di una procedura specifica per stabilire quei valori relativi»164.

Per Sen non ha un’importanza così grande il voler a tutti i costi risolvere i problemi attinenti all’oggettività dei valori o al modo in cui si formano, né quelli riferibili ad una interpretazione della metafisica dei valori, quanto piuttosto è necessario condurre un’analisi tenendo presente una svariata gamma di risposte alle domande chiave sui fondamenti delle teorie morali, domande che non devono per forza essere soddisfatte da un approccio di filosofia politica e sociale come quello basato su capacità e funzionamenti. Per concludere con l’analisi dei fondamenti aristotelici nel pensiero seniano, possiamo affermare che sicuramente Sen ritrova nello Stagirita una concezione del bene umano, basata sulle capacità e sulle funzioni dell’uomo, facilmente riconducibile a quella dell’approccio delle capacità165.

Il richiamo ad Aristotele rappresenta non solo un modo per posizionare l’etica delle capacità all’interno di un orizzonte filosofico e di un percorso di storia delle idee, ma vuole anche sottolineare un preciso intento metodologico su cui si basa la teoria seniana, ovvero appunto l’insistenza sull’idea di fioritura umana e di sviluppo delle potenzialità.

Accanto a tale idea guida, vi sono altre prerogative che andremo ora ad analizzare e che fanno parte di un vero e proprio ‘metodo delle capacità’.

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