4 Multiple Self: da Pizzorno a Parfit
5. Sociologia dell’io multiplo
Si può quindi comprendere come lo scenario delle odierne società globali sia composto da una serie di identità multiple, che si affannano per ottenere riconoscimento in modo da alimentare nuovamente riserve identitarie che supportano la permanenza all’interno della società, riserve non completamente controllabili da parte del soggetto, proprio perché, secondo Pizzorno, l’identità non può essere scelta in modo razionale ma, spesso, la si subisce. Ciò non significa, tuttavia, che non si possa rifiutare un’identità, soprattutto nel momento in cui la moltiplicazione del Self esige che ognuna sia temporanea e suscettibile di essere rivista.
Ai fini del discorso che andremo a fare, è necessario situare l’analisi del Multiple Self al livello della società, dunque delle interazioni tra gli individui. Infatti, più che ad una persona
41 Vedi le conclusioni di Alessandro Ferrarasull’autorealizzazione umana, secondo cui “la vita di una persona è tanto
più realizzata quanto maggiore è il suo impatto sul mondo esterno, ovvero quanto più ampia la differenza che ha fatto negli ordini del mondo”, in A. Ferrara, Persona e sé, in L. Allodi e L. Gattamorta, op. cit., p.53.
isolata in relazione con la propria coscienza, la ricchezza teorica di tale concetto sta proprio nelle mutazioni che genera a livello sociale. Ci porremo, dunque, da un punto di vista sociologico, utile per capire a fondo le dinamiche identitarie: come si creino, come si sviluppino e a quali scenari lascino spazio.
Il sé molteplice è uno dei presupposti per comprendere la condizione umana nell’era della globalizzazione o, come sostiene Ulrich Beck42 nel suo celebre scritto sulla società del rischio, dove l’individuo, immerso in una precarietà esistenziale difficilmente risolvibile, cerca di assolutizzarsi identificandosi fortemente con qualcosa, anche se tutto ciò non è altro che un vano tentativo di sfuggire alla moltiplicazione della sua identità in diversi sé anche opposti tra loro.
La struttura delle società contemporanee è stata fortemente modificata dal processo di globalizzazione. Infatti, in qualunque modo si intenda tale sconvolgimento, è innegabile il fatto che sia aumentata la complessità non solo a livello di strutture sociali ma anche all’interno della sfera privata, coinvolta, in tal senso, in tutti i ruoli ricoperti dagli individui e stravolta nelle normali consapevolezze quotidiane relative agli usi, costumi e routines a cui ognuno di noi era abituato.
L’idea su cui si vuole puntare è quella di molteplicità, di multivocità e multilateralità, tre termini accomunati dal fatto di denotare un qualcosa di plurale eppure difficilmente raggruppabile in un’unità. E proprio perché non è impresa facile tenere insieme i fili di tutte le spinte centrifughe della globalizzazione, ossia il vortice di rivendicazioni identitarie e nuove moltiplicazione di diritti, che emergono altri termini nello scenario politico: termini come rischio, incertezza, fluidità, porosità, precarietà.
Questo è il nuovo lessico dell’era globale, in particolare il lessico quotidiano con cui ci si trova a fare i conti all’interno delle società contemporanee, siano esse occidentali o orientali, atlantiche o asiatiche. Ma se la stessa distinzione tra oriente e occidente è fittizia e problematizzabile, che cosa ne sarà delle altre classiche dicotomie come stato/mercato o destra/sinistra?
In questa sede non si vuole discutere di tutto questo ma di una conseguenza fondamentale a cui tale discorso conduce: se, infatti, la moltiplicazione e la complessità sono le caratteristiche dei luoghi in cui viviamo, a maggior ragione oggi in cui, oltre alle rivendicazioni economiche, vi sono richieste di diverso tipo, richieste di riconoscimento identitario, come può resistere il baluardo dell’unità della coscienza, dell’esperienza e della
decisione del soggetto contemporaneo? Come si può ancora parlare in termini di individuo? Sarà meglio parlare di persone o di esseri umani o di soggetti giuridici?
Durkheim sosteneva come l’essere una persona fosse una regola vincolante nelle società moderne. Ma oggi le cose sono cambiate nel senso di una difficoltà maggiore nel riuscire a definirne esattamente il significato all’interno di società molto più complesse e stratificate: infatti assistiamo sempre più ad una divisione di campo tra due teorie sociologiche che descrivono l’uomo da una parte iposocializzato, ovvero individualmente isolato dall’ambiente circostante ed in grado di prendere decisioni autonomamente dalle influenze esterne, dall’altra ipersocializzato, completamente influenzato e plasmato dal contesto sociale.
Tale divisione teorica non è sicuramente nuova all’interno del dibattito sociologico, ma il problema è che la soluzione di questa dicotomia, allo stato attuale delle cose, è ancora più difficilmente risolvibile.
Se il crollo del soggetto moderno è ormai dato per scontato, emergono sempre più nuove problematizzazioni del ruolo che avrebbe l’io, inteso come unità di coscienza, nei processi decisionali, soprattutto l’io razionale. Dalla psicologia alla sociologia all’economia o alla teoria dell’azione, sempre più si considera il processo decisionale come influenzato da moltissimi fattori, dei quali sicuramente la deliberazione razionale non è l’unico. L’adesione a certi valori, ad esempio, o a certe regole di condotta, come avviene? È possibile inferire che ogni singolo individuo ha le capacità per riflettere e operare una scelta definitiva che vada a favore dei suoi interessi? È davvero così?
Immersa in una rete di input sociali, culturali, politici, affettivi e così via, la persona spesso si trova in una situazione scevra dall’illusorio velo di ignoranza di rawlsiana memoria, dunque capace di prendere decisioni che possono andare a scapito non solo delle generazioni future ma anche di se stesso in un futuro prossimo, decisioni assolutamente sconvenienti e spesso non solo per ragioni di ignoranza, magari per adesione ad una certa scala di valori: ad esempio le cosiddette preferenze adattative rivelano proprio come l’ambiente circostante influenzi prepotentemente le prospettive degli individui e il loro livello di aspirazioni e soddisfazione.
Per approfondire l’analisi è utile, a questo punto, affrontare il pensiero di uno dei più grandi sociologi del novecento, Erwin Goffman, i cui studi hanno tentativo di descrivere i meccanismi di appartenenza nella società.