Sherry Morse, «Animal News», 13 dicembre 2003
Quest’anno il regalo di Natale è arrivato in anticipo per la famiglia Flores di Wichita (Kansas): il loro amato cane Bear, scomparso nel novembre 1997, è ritornato a casa per la festa del Ringraziamento del 2003.
Jeanie Flores, affacciandosi alla finestra di casa due giorni prima della festa del Ringraziamento, vide un cane del tutto simile a Bear. Ricorda di avere immediatamente pensato «Oh, mio Dio! Ma è il mio cane!» Lo chiamò e il cane le ri- spose.
Jeanie scoppiò in lacrime, poi chiamò il marito Frank e gli disse che pensava che Bear fosse davvero tornato a casa. Frank Flores si precipitò a casa e, dopo aver visto il cane, convenne con la moglie che il loro beniamino, un incrocio tra un labrador e un chow-chow marrone, era proprio il loro Bear. Uno dei vicini disse loro di aver avvistato Bear poco prima, mentre vagava e scrutava con attenzione le case.
Un veterinario visitò Bear e disse che, sebbene le zampe fossero rosse e un po’ infiammate, forse perché aveva cam-
minato molto, pesava solo mezzo chilo in meno di quando era scomparso. Qualcuno doveva essersi preso cura di lui. Bear era scomparso nel 1997, circa un mese dopo che i Flores si erano trasferiti nel nuovo quartiere. Una sera Jeanie lo aveva lasciato fuori, libero, e non era più tornato indietro. «L’ho aspettato tutta la notte, ma lui non è tornato» rac- conta.
Allora, la medaglietta di Bear non era stata ancora aggior- nata con il nuovo indirizzo. La famiglia, disperata, aveva messo avvisi, indagato presso i vecchi vicini, pubblicato an- nunci sui giornali e visitato i canili, ma purtroppo, il cane che il signor Flores aveva portato a casa ancora cucciolo nel 1990 sembrava che fosse scomparso senza lasciare traccia. Dal momento del suo straordinario ritorno a casa, sei anni dopo, Bear si sta rifacendo del sonno perduto e si è riabi- tuato alla famiglia, in cui ora c’è anche un bambino che non era ancora nato quando il cane era scomparso.
I Flores desidererebbero solo che Bear potesse dire loro dove è stato tutto quel tempo. «Dov’era? Non sappiamo quanto sia stata difficile la sua vita» ha detto Frank Flores.
Approfondimento
Tabella 6.5 Disturbo dissociativo dell’identità (disturbo da personalità multipla).
DSM Checklist
Presenza di due o più identità o personalità distinte. Controllo del comportamento di una persona eser- citato in modo frequente da parte di almeno due di queste identità o personalità.
Incapacità di ricordare informazioni personali im- portanti troppo estesa per essere spiegata con una normale tendenza a dimenticare.
cosciente delle altre: possono ascoltare reciprocamente le voci e anche parlare l’una dell’altra, alcune possono apparire in armonia, mentre altre essere in conflitto.
In una relazione di amnesia a senso unico, infine, il modello di relazione più comune, alcune personalità se- condarie sono consapevoli delle altre, ma la consapevo- lezza non è reciproca (Huntjens et al., 2005). Quelle consapevoli, chiamate personalità co-consce, sono delle «osservatrici silenziose», consapevoli delle azioni e dei pensieri della altre subpersonalità, anche se non interagi- scono con loro. Talvolta, mentre è presente un’altra per- sonalità secondaria, la personalità co-conscia si rende nota attraverso mezzi indiretti, ad esempio allucinazioni sonore (una voce che dà ordini) o la «scrittura automati- ca» (la personalità presente può ritrovarsi a scrivere del- le parole sulle quali non esercita alcun controllo).
Un tempo i clinici ritenevano un tempo che la mag- gior parte dei casi di disturbo dell’identità implicasse la presenza di due o tre personalità secondarie, ma dagli studi attuali è emerso che il loro numero medio è molto più alto, in media 15 per le donne e 8 per i maschi (APA, 2000). In molti casi sono presenti 100 o più personalità secondarie che spesso emergono in gruppi di due o tre per volta.
Nel caso di Eve White, resa famosa dal libro e dal film La donna dai tre volti, la donna aveva tre personali- tà secondarie: Eve White, Eve Black e Jane (Thigpen, Cleckley, 1957). Eve White, la personalità primaria, era silenziosa e seria; Eve Black era spensierata e maliziosa Il passaggio da una personalità secondaria a un’altra,
chiamato slittamento, è in genere improvviso e può rive- larsi radicale (APA, 2000). Eric, per esempio, storceva il viso, grugniva e urlava oscenità mentre cambiavano le personalità. Lo slittamento è in genere scatenato da un evento stressante, ma i clinici stessi possono causare il cambiamento con la suggestione ipnotica (APA, 2000).
I primi casi di disturbo dissociativo dell’identità atte- stati risalgono ad almeno tre secoli fa (Rieber, 2002). Molti clinici considerano il disturbo raro, ma alcune re- lazioni cliniche ipotizzano che potrebbe essere molto più comune di quanto si riteneva in passato (Sar et al., 2007; APA, 2000). La maggior parte dei casi vengono diagno- sticati nei primi anni dell’adolescenza o nella prima età adulta, ma molto più spesso i sintomi iniziano nell’in- fanzia dopo episodi di abuso (spesso di tipo sessuale), forse anche prima dei cinque anni (Maldonado, Spiegel, 2007; Roe-Sepowitz et al., 2007). Le donne vengono colpite dal disturbo in misura perlomeno tripla rispetto agli uomini (APA, 2000).
In che modo interagiscono le personalità secondarie?
Il modo in cui le personalità secondarie si rapportano l’una all’altra o si ricordano una dell’altra varia a secon- da dei casi. In genere vi sono tre tipi di relazioni. Nelle
relazioni di amnesia reciproca le personalità non sono
coscienti l’una dell’altra (Ellenberger, 1970), mentre nei
modelli di consapevolezza reciproca, ognuna di esse è
CASO 6.8
Eric, 29 anni, stordito e pieno di lividi per le percosse, è stato ritrovato mentre vagava vicino a un centro commer- ciale di Daytona Beach il 9 febbraio […]. Sei settimane dopo fu condotto al Centro di Risorse Umane di Daytona Beach e lì iniziò a parlare con i medici con due voci diverse: quella dal timbro infantile di «Eric da piccolo», un bambino confuso e spaventato, e quella dal tono equilibrato di «Eric maturo» che raccontò una storia di paure e di maltratta- menti quando era un minore. Secondo «Eric maturo», dopo la morte dei suoi genitori, dei tedeschi immigrati, il padre adottivo, un uomo violento, insieme alla sua donna lo prese dalla South Carolina e lo portò in un covo di spac- ciatori di droga in una palude della Florida. Eric raccontò di essere stato violentato da diversi membri della banda e di aver assistito all’omicidio di due uomini per mano del padre adottivo.
Un giorno, a fine marzo, un counselor si allarmò nel vedere il viso di Eric storcersi in una smorfia violenta. Eric emise un ringhio sinistro e sputò una serie di oscenità. «Mi ha fatto pensare alle scene de L’Esorcista», disse Malcolm Graham, lo psicologo che si occupa del caso al centro. «È la cosa più impressionante che io abbia mai visto in un paziente».
L’emergere di quella nuova personalità che chiedeva, con insolenza, di essere chiamato Mark, era il primo indizio per Graham, e gli diceva che aveva a che fare con un disturbo emotivo raro e serio: la personalità multipla […].
Altre manifestazioni di Eric emersero nelle settimane suc- cessive: Dwight, silenzioso e di mezza età; Jeffrey, con cecità di tipo isterico e muto; Michael, macho e arrogante, Tian civettuolo, considerato da Eric una puttana; Phillip, un avvocato polemico. «Phillip si informava sempre sui diritti di Eric» dice Graham. «Era un individuo detestabile. Phillip era un vero scocciatore».
Sotto lo sguardo esterrefatto di Graham, Eric dispiegò una dopo l’altra 27 personalità diverse, incluse tre donne […] Dal punto di vista dell’età, andavano da un feto a un vec- chio individuo sordido che cercava di convincere Eric a combattere come mercenario ad Haiti. In una seduta, rife- risce Graham, Eric cambiò nove personalità in un’ora. «Sentivo che stavo perdendo il controllo della seduta», dice lo psicologo con nove anni di esperienza clinica. «Al- cune personalità non parlavano con me e alcune riusciva- no a comprendere a fondo il mio comportamento come quello di Eric» («Time», 25 ottobre 1982, p. 70).
Aspetti caratterizzanti. Le personalità secondarie pos-
sono avere aspetti fondamentali diversi (età, genere, raz- za e storia familiare), come nel famoso caso di Sybil Dorsett. Il disturbo dissociativo dell’identità di Sybil, descritto nel romanzo Sybil, è basato sulla storia vera di una paziente di nome Shirley Ardell Mason, curata dalla psichiatra Cornelia Wilbur (Schreiber, 1973). Sybil mo- strava 17 personalità secondarie, tutte con aspetti carat- terizzanti diversi. Vi erano delle persone adulte, un ado- lescente e una bambina di nome Ruthie, oltre a due ma- schi, Mike e Sid. Ognuna delle personalità secondarie di Sybil aveva un’immagine particolare di se stessa e di ogni altra. La subpersonalità di nome Vicky, per esem- pio, si vedeva come una bionda attraente, mentre un’al- tra, Peggy Lou, era descritta come un folletto con il naso schiacciato; Mary era paffuta con i capelli scuri e Vanes- sa era alta, con una figura flessuosa e i capelli rossi.
Competenze e preferenze. Sebbene i ricordi relativi a
informazioni astratte o enciclopediche non siano in ge- nere coinvolte nell’amnesia o nella fuga dissociative, sono spesso alterate nel disturbo dissociativo dell’identi- tà. Non è insolito che le diverse personalità secondarie abbiano competenze diverse: una può saper guidare, par- lare una lingua straniera o suonare uno strumento musi- cale, mentre le altre non sono capaci di farlo (Coons, Bowman, 2001; Coons et al., 1988). Perfino la loro gra- fia può essere diversa. Inoltre, le subpersonalità di solito hanno preferenze diverse per cibo, amici, musica e lette- ratura. In un periodo successivo Chris Sizemore («Eve») precisò: «Se avessi imparato a cucire con una personali- tà e poi avessi provato a cucire con un’altra, non sarei stata in grado di farlo. Guidare era la stessa cosa. Alcune delle mie personalità non sapevano guidare» (Sizemore, Pittillo, 1977, p. 4).
TRA LE RIGHE
Distribuzione dei profitti
Chris Sizemore non percepì quasi nulla dei profitti rea- lizzati con il libro e il film del 1957, La donna dai tre
volti. Invece i proventi di Sybil furono divisi tra la mala-
ta, la psichiatra e l’autore del libro. Inoltre, quando la psichiatra Cornelia Wilbur morì, nel 1992, lasciò alla ex paziente 25.000 dollari e tutti i diritti per Sybil (Miller, Kantrowitz, 1999).
Risposte fisiologiche. I ricercatori hanno scoperto che le
personalità secondarie possono avere delle differenze fisiologiche, ad esempio delle differenze nell’attività del sistema nervoso autonomo, i livelli della pressione del sangue e le allergie (Putnam et al., 1990). Uno studio esaminò le attività cerebrali di personalità secondarie diverse misurando i loro potenziali evocati, ossia i mo- delli della risposta cerebrale registrati con un elettroen- e Jane era matura e intelligente. Nel libro si narra che
queste tre personalità secondarie alla fine si unirono in Evelyn, una personalità stabile che rappresentava davve- ro una fusione delle altre tre.
Ma il libro non diceva il vero, poiché questa non rap- presentava la reale conclusione della dissociazione di Eve. In un’autobiografia scritta vent’anni dopo, Eve rive- lò che nel corso della sua vita erano emerse 22 personalità secondarie in tutto, incluse 9 personalità secondarie dopo Evelyn; in genere si manifestavano in gruppi di due o tre. Ma gli autori del libro La donna dai tre volti sembra che non fossero al corrente delle personalità secondarie prece- denti o successive. Ora Eve ha superato il suo disturbo raggiungendo una sola identità stabile: si chiama Chris Sizemore da più di 30 anni (Sizemore, 1991).
Come differiscono le personalità secondarie?
Le personalità secondarie, ad esempio nel caso di Chris Sizemore, spesso mostrano caratteristiche diversissime; possono avere anche altri nomi e aspetti caratterizzanti,
competenze e preferenze e perfino risposte fisiologiche
differenti.
Tabella 6.6
DSM-5: le novità
Disturbi di personalità. Si tratta probabilmente della categoria maggiormente esposta a modifiche. L’ap- proccio suggerito è dimensionale più che catego- riale. In altre parole, si assiste ad un tentativo di identificare delle dimensioni numeriche relative ai vari tratti che, componendosi, darebbero luogo a sindromi identificabili. I domini analizzati sono emo- zionalità negativa, introversione, antagonismo, di- sinibizione, compulsività e schizotimia.
Vengono mantenuti 5 disturbi prototipici di perso- nalità, antisociale/psicopatico; evitante; borderline, ossessivo/compulsivo e schizotipico. L’analisi quanti- tativa dei tratti consentirebbe di porre in un grafico la collocazione del caso a seconda dei valori nume- rici dei differenti tratti.
Alcuni importanti disturbi di personalità preceden- temente descritti quali il disturbo narcisistico di per- sonalità e il disturbo istrionico di personalità sono stati cancellati rappresentando diverse sfaccettature dell’antagonismo. Cancellati anche il paranoide e lo schizoide.
I cambiamenti proposti sembrano troppo drastici e i criteri diagnostici difficilmente applicabili in un ambito non specialistico. Le valutazioni dimensiona- li del sé e del funzionamento interpersonale sono molto complesse al punto da non poter essere vero- similmente utilizzate nella pratica. Il prodotto che ne è derivato non è facilmente utilizzabile, manca anche di chiarezza.
In particolare viene sottolineato da alcuni come do- vrebbe essere cambiato il nome fuorviante del diffu- so disturbo borderline di personalità che fa pensare ad una condizione intermedia tra psicosi e nevrosi. Per alcuni autori il BPD dovrebbe inoltre essere in- cluso nell’asse 1 invece che nell’asse 2.
molti test diagnostici (Cardena, 2008). Nonostante que- sti mutamenti, molti clinici continuano a interrogarsi sulla legittimità di questa designazione (Lalonde et al., 2002, 2001).
6.2.4 Disturbo di depersonalizzazione
Il Disturbo di Depersonalizzazione viene classificato nel DSM-IV-TR tra i Disturbi Dissociativi. L’ICD-10 inve- ce prevede una singola categoria per i soggetti che pre- sentano depersonalizzazione o derealizzazione: la Sin- drome di Depersonalizzazione-Derealizzazione.
Caratteristiche diagnostiche
Il Disturbo di Depersonalizzazione è caratterizzato da persistenti o ricorrenti episodi di depersonalizzazione che si manifestano con un senso di distacco dal proprio corpo o dai propri processi mentali. I soggetti con Di- sturbo di Depersonalizzazione possono presentare diffi- coltà nella descrizione dei sintomi, che prevedono una sensazione di estraneità rispetto a se stessi come se si osservassero dall’esterno oppure come se si sentissero dentro un sogno o un film. La sensazione è quella di un’anestesia sensoriale, in cui risulta che il corpo sia in- torpidito oppure privo di vita o ancora che alcune parti di esso siano scollegate tra di loro. Queste esperienze sono accompagnate da vissuti emotivi sgradevoli come ansia, panico e senso di vuoto. Il soggetto può riferire di sentir- si come un pupazzo, distaccato, strano, non coinvolto nella propria esistenza, estraneo a se stesso. L’esperien- za di derealizzazione, che si riferisce specificatamente alla sensazione di estraneità rispetto al proprio ambiente, fa parte del Disturbo di Depersonalizzazione e l’ambien- te viene descritto come se fosse piatto, distante, confuso, dai colori indifferenziati, estraneo alla propria esperien- za e privo di connotazione emotiva.
Si tratta di un disturbo che prevede che l’esame di realtà si mantenga integro, per esempio si conserva una certa consapevolezza riguardo al fatto che l’estraneità provata rimanga nel dominio delle sensazioni.
Nonostante il mantenimento dell’esame di realtà, tale esperienza provoca un disagio rilevante interferendo con il funzionamento sociale e lavorativo. Dal momento che i sintomi di depersonalizzazione sono comuni, perché tale diagnosi possa essere effettuata, è necessario che essi siano particolarmente gravi e conducano ad un’ef- fettiva menomazione del funzionamento sociale.
È difficile che la depersonalizzazione si presenti co- me disturbo puro dato che i suoi sintomi possono essere presenti in altre patologie come la Schizofrenia, il Di- sturbo Dissociativo dell’Identità, la Depressione e il Di- sturbo d’Ansia. Quindi perché sia effettuata una diagno- si di Disturbo di Depersonalizzazione è necessario che non si manifesti congiuntamente con un altro disturbo mentale (per esempio Schizofrenia, Disturbo di Panico, Disturbo Acuto di Stress o un altro Disturbo Dissociati- cefalogramma (Putnam, 1984). L’attività cerebrale pro-
dotta in reazione a uno stimolo specifico (ad esempio l’accendersi di una luce) è in genere unico e coerente. Tuttavia, quando un test del potenziale evocato veniva somministrato a quattro personalità secondarie di cia- scuna delle dieci persone con il Disturbo Dissociativo dell’Identità, i risultati erano stupefacenti. Il modello di attività cerebrale di ogni personalità secondaria era par- ticolare, mostrando così il tipo di variazione di solito ri- scontrata in persone completamente diverse.
Quanto è comune il Disturbo Dissociativo dell’Identità?
Il Disturbo Dissociativo dell’Identità, come abbiamo vi- sto, in passato veniva in genere considerato raro. Alcuni ricercatori sostengono perfino che molti o tutti i casi sia- no iatrogeni, ossia intenzionalmente prodotti dai medici (Loewenstein 2007; Piper, Merskey, 2005, 2004), pen- sano perciò che siano i terapeuti a causare questo distur- bo, implicando vagamente l’esistenza di altre personali- tà durante la terapia o chiedendo esplicitamente a un paziente di produrre personalità diverse mentre è in uno stato ipnotico. Essi ritengono, inoltre, che un terapeuta che vada alla ricerca di personalità multiple, possa rin- forzare questi modelli mostrando un maggiore interesse quando un paziente manifesta sintomi dissociativi.
Queste ipotesi sembrano essere confermate dal fatto che molti casi di disturbo dissociativo dell’identità si im- pongono inizialmente all’attenzione mentre la persona è già in cura per un problema meno grave. Tuttavia questo non accade in tutti i casi: molti si rivolgono a uno psi- chiatra perché hanno notato dei vuoti di memoria o per- ché parenti o amici hanno constatato la presenza di varie personalità secondarie (Putnam, 2000, 1988, 1985).
Il numero di persone a cui è stato diagnosticato il disturbo dissociativo dell’identità è in crescita (Sar et al., 2007; Casey, 2001). Sebbene questo disturbo sia poco diffuso, solo negli Stati Uniti e in Canada sono stati diagnosticati migliaia di casi. Due fattori potrebbe- ro spiegare questo aumento. Primo, un crescente nume- ro di clinici attualmente pensa che il disturbo esista e desidera diagnosticarlo (Merenda, 2008; Lalonde et al., 2002, 2001). Secondo, le procedure diagnostiche tendo- no a essere più precise oggi rispetto al passato. Per la maggior parte del XX secolo, la schizofrenia era tra le diagnosi più comuni in ambito clinico. Venivano defini- ti schizofrenici, spesso in modo errato, un’ampia serie di modelli di comportamento insoliti, forse anche il di- sturbo dissociativo dell’identità (Turkington, Harris, 2009, 2001). Seguendo i criteri più rigorosi delle edi- zioni recenti del DSM, i clinici sono ora più precisi nel diagnosticare la schizofrenia e ciò consente di indivi- duare più casi di disturbo dissociativo dell’identità (Welburn et al., 2003). Inoltre, per aiutare a individuare il disturbo dissociativo dell’identità sono stati ideati
6.2.5 Come vengono spiegati dai teorici i disturbi dissociativi?
Per spiegare i disturbi dissociativi sono state proposte nu- merose teorie. Sulle spiegazioni del passato, ad esempio quelle dei teorici psicodinamici e comportamentali, non sono state svolte molte ricerche (Merenda, 2008). Nuovi punti di vista, che associano principi cognitivi, comporta- mentali e biologici mettendo in luce alcuni fattori quali
apprendimento stato-dipendente e autoipnosi, hanno tut-
tavia suscitato l’interesse degli scienziati clinici.
La visione psicodinamica
Sebbene il termine dissociazione rimandi a un’epistemo- logia psichiatrica di matrice janetiana (1889), in un’otti- ca più squisitamente psicoanalitica esso viene spesso sostituito con termini quali rimozione e scissione. Il pri- mo a tentare di trovare una spiegazione agli stati alterati di coscienza, come l’amnesia e la fuga, fu Freud che adottò il termine rimozione per riferirsi a quella opera- zione psichica con cui l’individuo tenta di respingere nell’inconscio alcune rappresentazioni (ricordi, immagi- ni, pensieri) legate a una pulsione. Occorre ricordare pe- rò che pur essendo escluso dalla coscienza, questo mate- riale rimane attivo a livello inconscio e riemerge a livel- lo fenomenologico sotto forma di sintomo fisico (La- planche, Pontalis, 1967).
Ferenczi (1932), allievo di Freud, parla invece di scissione, collegandola al trauma. Secondo l’autore, in seguito ad un’esperienza traumatica, una parte del ricor- do viene scissa e relegata nell’inconscio poiché poten- zialmente annichilente e disgregante. Tale funzionamen- to psichico rappresenta, dunque, una difesa contro l’an- goscia e il dolore esperiti, tesa a garantire la sopravvi- venza psichica del soggetto. In tale ottica, al fine di pre- servare l’oggetto buono la scissione opera dividendo