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IL MODELLO UMANISTICO ESISTENZIALE

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 65-69)

Philip non può essere ridotto alla semplice somma dei conflitti psicologici, dei comportamenti appresi o dei modi di pensare. In quanto essere umano, ha anche la capacità di porsi dei problemi di ordine filosofico come la consapevolezza di sé, i valori importanti, il senso del- la vita e la libertà di scelta. Secondo i teorici di orienta- mento umanistico ed esistenziale, i problemi di Philip possono essere compresi solo alla luce di queste com- plesse problematiche. I teorici umanisti ed esistenziali sono spesso uniti in un approccio definito modello uma-

nistico-esistenziale, in ragione dell’accento comune po-

sto su queste dimensioni centrali dell’esistenza umana, anche se, al contempo, vi sono differenze importanti tra di loro.

I teorici umanisti, animati da una concezione più otti- mista, ritengono che gli esseri umani nascano con una propensione naturale a essere cordiali, costruttivi e di- sposti a collaborare. Le persone, secondo questi teorici, sono portate ad autorealizzarsi, ossia a esprimere le

proprie potenzialità per raggiungere l’appagamento e la crescita. Ma possono farlo solo se riconoscono con sin- cerità, accettandole, le loro debolezze come anche i loro punti di forza, e se stabiliscono valori personali soddi- sfacenti sui quali basare la propria vita. Gli umanisti suggeriscono inoltre che l’autorealizzazione conduce spontaneamente a un interesse per il benessere altrui e predispone a un comportamento amorevole, coraggioso, spontaneo e indipendente (Maslow, 1970).

I teorici esistenziali concordano con l’idea che gli es- seri umani debbano avere una precisa consapevolezza di se stessi e vivere delle esistenze significative, definite da loro «autentiche», per avere un equilibrio psichico, ma non credono che le persone siano per natura inclini a vi- vere in modo positivo. Essi ritengono che dalla nascita godiamo di una libertà totale che ci consente sia di af- frontare la nostra esistenza e dare significato alla nostra vita, sia di tirarci indietro di fronte alle nostre responsa- bilità. Quelli che scelgono di «sottrarsi» alle responsabi- lità e alle scelte, si considereranno impotenti e potrebbe- ro perciò vivere un’esistenza vuota, non autentica e di- sfunzionale.

Le visioni umanistica ed esistenziale dell’anormalità risalgono agli anni Quaranta del XX secolo. In quel pe- riodo Carl Rogers (1902-1987), ritenuto da molti il pio- niere della prospettiva umanistica, sviluppò una terapia

centrata sul cliente, un approccio basato sulla compren-

sione e sull’aiuto che contrastava in modo evidente con le tecniche psicodinamiche di quel periodo. Rogers propose inoltre una teoria della personalità che attribuiva un’im- portanza limitata agli istinti e ai conflitti irrazionali.

La visione esistenziale della personalità e dell’anor- proprie figure di attaccamento. Il pensiero cognitivo-

evoluzionista di Liotti (2001), seguendo le teorie di Gil-

bert (1989) e Lichtenberg (1989) si è focalizzato sulla complessità del rapporto tra cognizione ed emozione fo- calizzandosi sulla comprensione della struttura motiva- zionale interpersonale che guida gli scambi intersogget- tivi dell’individuo lungo il suo sviluppo, nonché nel contesto terapeutico.

Inoltre, a partire dall’approccio bruneriano (Bruner, 1986, 1990), la prospettiva cognitivo-narrativa di Veglia (1999) ha contribuito ad arricchire gli studi sull’analisi clinica includendo l’approfondimento delle storie perso- nali dei pazienti quale strumento per comprendere le modalità di costruzione e attribuzione di significato. In terapia l’analisi dei temi narrativi ricorrenti all’interno delle storie di vita può essere utile per la costruzione e il rimodellamento di senso di un Sé del paziente più am- pio, ricco e coerente.

Autorealizzazione: concetto della psicologia umani- stica che designa un processo tramite il quale l’indivi- duo è portato a sviluppare le proprie potenzialità per raggiungere l’appagamento e la crescita personale.

Gli sviluppi futuri del modello cognitivo si delinee- ranno, dunque, nella direzione dei nuovi spunti di rifles- sione su intersoggettività, metacognizione, rapporti tra processi cognitivi ed emozionali, stili narrativi, declinati ognuno a livello teorico, clinico e di ricerca.

Sintesi

Il modello cognitivo

Il modello cognitivo standard ha riportato al centro dell’attenzione i processi cognitivi quali mediatori del- le risposte emotive e comportamentali dell’individuo, e quali responsabili dell’adattamento o disadattamen- to all’ambiente. Le rappresentazioni di sé e della real- tà però, a causa dei limiti del sistema cognitivo umano a differenti livelli e per molteplici cause, possono in- correre in distorsioni. Secondo tale concezione, siste- matizzata principalmente nei lavori di Beck ed Ellis negli anni Sessanta, i disturbi psicopatologici derivano quindi da credenze disfunzionali ed erronee che la te- rapia ha il compito di mettere in luce e rendere più adeguate. A partire dagli anni Ottanta il cognitivismo clinico ha conosciuto nuovi sviluppi che hanno con- tribuito a generare una nuova ondata di terapie cogni- tive focalizzate maggiormente sul rapporto tra pensie- ro e dinamiche emozionali e sul funzionamento inter- personale. Grazie alle aperture post-razionaliste del modello cognitivo alla Teoria dell’Attaccamento di Bowlby e a una più approfondita riflessione sui pro- cessi metacognitivi e motivazionali dell’individuo, l’intervento clinico è divenuto meno direttivo e psico- pedagogico e più attento alle esperienze vissute del paziente.

da riuscire a convivervi e attribuisce in genere agli altri la colpa dei suoi problemi. Ciononostante, l’immagine negativa di sé gli si rivela di continuo. Rogers avrebbe probabilmente collegato questo problema al modo criti- co in cui Philip veniva trattato dalla madre durante l’in- fanzia.

Terapia centrata sul cliente: terapia umanistica svi- luppata da Carl Rogers in cui i clinici cercano di aiutare i pazienti mostrando nei loro confronti accettazione, totale empatia e genuinità.

I clinici che applicano la terapia centrata sul cliente

di Rogers tentano di creare un clima accogliente in cui i clienti si sentono capaci di guardare se stessi in modo sincero e di accettarsi (Raskin et al., 2008). Il terapeuta deve mostrare tre importanti caratteristiche nel corso della terapia: considerazione positiva incondizionata (accettazione piena e calorosa del cliente), forte empatia (ascolto competente e riformulazione) e genuinità (co- municazione sincera). Il dialogo del Caso 2.1 mostra un

terapeuta che fa ricorso a tutte queste caratteristiche per guidare il paziente verso una maggiore autoconsapevo- lezza.

malità apparve in quello stesso periodo. Molti principi furono mutuati dai filosofi esistenzialisti europei del XIX secolo, i quali ritenevano che gli esseri umani si interroghino costantemente sul senso della propria esi- stenza e sul modo di conferire ad essa un significato at- traverso le loro azioni (Mendelowitz, Schneider, 2008). Le teorie umanistiche ed esistenziali e le loro impli- cazioni edificanti acquistarono grande popolarità negli anni Sessanta e Settanta, anni di notevole ricerca nell’interiorità e di rivolte sociali nella società occiden- tale. Rispetto ad allora hanno perso parte del favore, ma continuano a influenzare le idee e il lavoro di molti cli- nici.

TRA LE RIGHE Realizzare il Sé

Secondo gli umanisti, le persone che si sentono realiz- zate mostrano interesse anche per il benessere degli altri.

2.5.1 Teoria e terapia umanistica di Rogers

Carl Rogers (2000, 1987, 1951) sosteneva che il percor- so verso la disfunzione inizia nell’infanzia. Il bisogno fondamentale di ricevere una considerazione positiva dalle persone importanti della propria vita (soprattutto i propri genitori) è presente in tutti gli individui. Se si è oggetto di una considerazione positiva incondizionata (non giudicante) fin nelle prime fasi della vita, è proba- bile che l’individuo sviluppi una considerazione positiva

di sé incondizionata, che riesca cioè a riconoscere il pro-

prio valore come persona, anche se è consapevole di non essere perfetto. Quest’individuo ha delle buone probabi- lità di realizzare il proprio potenziale positivo.

Purtroppo, alcuni bambini sono indotti ripetutamente a considerarsi non degni di una considerazione positiva e acquisiscono, perciò, delle condizioni di valore, ossia dei criteri secondo i quali si è amati e accettati solo se ci si conforma a certe regole. Per conservare una conside- razione positiva di sé, queste persone devono guardare a se stesse in modo estremamente selettivo, negando o di- storcendo i pensieri e le azioni che non sono conformi alle loro condizioni di valore; per tale ragione acquisi- scono una visione distorta di se stessi e delle loro espe- rienze. Non sanno cosa sentono davvero, di cosa hanno davvero bisogno o quali valori od obiettivi sarebbero si- gnificativi per loro; di conseguenza è inevitabile che sor- gano dei problemi nel funzionamento della psiche.

Rogers avrebbe forse considerato Philip come un uo- mo che si è smarrito perché, invece di lottare per realiz- zare il proprio potenziale umano, passa da un lavoro all’altro e da una relazione all’altra. In ogni interazione, si autogiustifica cercando di interpretare i fatti in modo

CASO 2.1

Paziente: Sì, so che non mi dovrei preoccupare di que- sto, ma lo faccio lo stesso. Tutte queste cose, il dena- ro, le persone, i vestiti. Durante le lezioni mi sento come se tutti aspettassero solo l’occasione per criti- carmi. […] Quando conosco qualcuno, mi chiedo cosa pensi realmente di me. Poi, dopo, mi chiedo come devo comportarmi per essere all’altezza dell’opinione che ha di me.

Terapeuta: Quindi ha la sensazione di essere piuttosto sensibile alle opinioni che gli altri hanno di lei. Paziente: Sì, ma sono cose che non dovrebbero preoc-

cuparmi.

Terapeuta: Sa che queste cose non dovrebbero scon- volgerla, ma la preoccupano ugualmente.

Paziente: Ma solo alcune cose. La maggior parte delle cose mi preoccupano perché sono vere. Quelle che le ho detto, lo sono. Ma ci sono molte cose che non sono vere. […] Sembra che in me le cose si accumuli- no, si accumulino… È come se le cose si stessero af- follando e che stiano per esplodere.

Terapeuta: Sente che si tratta di una specie di oppres- sione, unita a una certa frustrazione e che le cose siano proprio incontrollabili.

Paziente: In qualche modo sì, ma alcune cose sembra- no proprio illogiche. Temo di non essere molto chiaro su queste cose, ma la sensazione è proprio questa. Terapeuta: Non si preoccupi. Lei dice solo quello che

pensa.

individui sono incoraggiati a esprimere le emozioni in maniera totale. Molti danno sfogo alla rabbia, urlano, ti- rano calci o battono i pugni. Attraverso questa esperienza possono giungere a «fare propri» (accettare) quei senti- menti che in precedenza li avevano fatti sentire a disagio. Perls ha sviluppato anche una serie di regole per aiu- tare i clienti a osservarsi più da vicino. In alcune versioni della terapia gestaltica, ad esempio, si può chiedere ai clienti di esprimersi in prima persona invece che alla ter- za persona. Devono perciò dire «Ho paura» invece di «La situazione fa paura». Un’altra regola spesso usata richiede ai pazienti di vivere «qui e ora». Perciò essi hanno i propri bisogni ora, nascondono i loro bisogni ora e devono rendersene conto ora.

L’1% circa degli psicologi clinici negli Stati Uniti e non solo si descrivono come terapeuti gestaltici (Procha- ska, Norcross, 2007). Poiché essi ritengono che le espe- rienze soggettive e l’autoconsapevolezza non possano essere valutate in modo oggettivo, i sostenitori della te- rapia gestaltica non hanno svolto spesso studi controllati su questo approccio (Yontef, Jacobs, 2008; Strümpfel, 2006, 2004).

TRA LE RIGHE

Sconfiggere la malinconia al ritmo del blues I terapeuti della Gestalt spesso insegnano ai pazienti a esprimere i sentimenti nella loro interezza colpendo dei cuscini, gridando, dando calci o battendo sugli og- getti. Come altre tecniche di questo tipo, la terapia

con il tamburo incoraggia i pazienti a battere su un

tamburo per aiutarla a liberarsi di ricordi traumatici, cambiare le proprie convinzioni erronee e sentirsi più liberi.

2.5.3 Visioni e interventi di tipo spirituale

Per la maggior parte del XX secolo, gli psicologi clinici hanno considerato la religione come un fattore negativo, o al massimo neutro, nella salute mentale (Blanch, 2007; Richards, Bergin, 2005, 2000). Agli inizi del secolo, Freud, ad esempio, sosteneva che il credo religioso face- va parte dei meccanismi di difesa «generati dal bisogno dell’uomo di rendere tollerabile la sua impotenza» (1961, p. 23). Tale visione negativa della religione sem- bra ora giunta alla fine. Negli ultimi dieci anni sono stati pubblicati molti articoli e libri che collegano i temi spiri- tuali alla cura clinica, e i codici etici di psicologi, psi- chiatri e counselor sono giunti ad affermare che la reli- gione è un tipo di diversità che i professionisti della salu- te mentale devono rispettare (Richards, Bergin, 2005, 2004). Gli studiosi hanno compreso che la spiritualità può, in effetti, costituire un beneficio psicologico per certi individui. Alcuni studi hanno esaminato soprattutto la salute mentale di quei credenti che considerano Dio Un’atmosfera simile dovrebbe consentire ai pazienti

di sentirsi accettati dai loro terapeuti, per essere in grado poi di guardare se stessi con onestà e accettazione. I clienti iniziano a riflettere su emozioni, pensieri e com- portamenti per liberarsi da incertezze e dubbi che osta- colano l’autorealizzazione.

La terapia centrata sul cliente non ha trovato grandi conferme nella ricerca (Sharf, 2008). Soltanto alcuni studi hanno dimostrato che i partecipanti trattati con questa terapia stanno meglio rispetto ai partecipanti del gruppo di controllo; molti altri studi non sono riusciti al contrario a riscontrare un tale miglioramento. Cionono- stante, la terapia di Rogers ha esercitato un’influenza positiva sulla pratica clinica (Raskin et al., 2008); infatti è stata una delle prime importanti alternative alla terapia psicodinamica e ha contribuito ad aprire l’ambito clinico a nuovi approcci. Rogers ha concorso inoltre a creare le condizioni perché gli psicologi esercitassero la psicote- rapia, che in precedenza era stata considerata ambito esclusivo degli psichiatri. Il suo impegno nella ricerca clinica ha fatto sì che il trattamento fosse studiato in mo- do sistematico. Circa l’1% degli psicologi clinici attuali negli Stati Uniti, il 2% degli operatori sociali e il 4% degli esperti di counseling affermano di utilizzare l’ap- proccio centrato sul cliente (Prochaska, Norcross, 2007).

2.5.2 Teoria e terapia della Gestalt

La terapia della Gestalt, un altro approccio di tipo

umanistico, fu sviluppato negli anni Cinquanta da un clinico molto carismatico, Frederick (Fritz) Perls (1893- 1970). I terapeuti della Gestalt, come i terapeuti centrati sul cliente, insegnano ai pazienti come sviluppare la considerazione e l’accettazione di sé (Yontef, Jacobs, 2008); ma, a differenza dei terapeuti centrati sul cliente, spesso cercano di realizzare questo fine facendo leva sulla sfida e perfino sulla frustrazione dei pazienti. Alcu- ne delle tecniche preferite da Perls erano la frustrazione abile, i giochi di ruolo e regole ed esercizi svariati.

Terapia della Gestalt: terapia umanistica sviluppata da Fritz Perls in cui i clinici stimolano attivamente i clienti alla considerazione e all’accettazione di sé usan- do alcune tecniche (gioco di ruolo ed esercizi di auto- scoperta).

Nella tecnica della frustrazione abile, i terapeuti della Gestalt si rifiutano di rispondere alle aspettative o alle richieste dei loro clienti. Questo uso della frustrazione mira ad aiutare le persone a comprendere quanto spesso cerchino di manipolare gli altri per soddisfare i loro biso- gni. Nella tecnica del gioco di ruolo, i terapeuti insegna- no ai pazienti a recitare ruoli diversi, ad esempio a una persona si può dire di far finta di essere un’altra persona, un oggetto, un sé alternativo oppure una parte del corpo. Il gioco di ruolo può diventare coinvolgente poiché gli

un’atmosfera di sincerità, lavoro duro e apprendimento e crescita condivisi.

I terapeuti esistenziali non pensano che i metodi spe- rimentali possano verificare in modo adeguato l’effica- cia dei loro trattamenti. La ricerca, secondo loro, sottrae umanità agli individui riducendoli a misurazioni ottenu- te con i test. Non sorprende, quindi, che solo un numero limitato di studi controllati sia stato dedicato all’effica- cia di questo approccio (Schneider, 2008). Ciononostan- te, l’1% circa dei terapeuti attuali negli Stati Uniti utiliz- za un approccio prevalentemente esistenziale (Procha- ska, Norcross, 2007).

2.5.5 Valutare il modello umanistico- esistenziale

Il modello umanistico-esistenziale suscita un notevole interesse anche tra coloro che non fanno parte dell’ambi- to clinico. I teorici umanisti ed esistenziali, prendendo in considerazione le sfide specifiche dell’esistenza umana, penetrano in un aspetto della vita psicologica che in gene- re viene trascurato dagli altri modelli (Cain, 2007; Wam- pold, 2007). Inoltre, i fattori che si considerano essenziali per un funzionamento efficace (autoaccettazione, valori personali, significato personale e scelta personale), man- cano di certo in molte persone con disturbi psicologici.

Il tono ottimistico del modello umanistico-esistenzia- le costituisce un ulteriore elemento di richiamo. Tale ot- timismo si concilia appieno, infatti, con gli obiettivi e i principi della psicologia positiva. I teorici che seguono i principi del modello umanistico-esistenziale offrono grandi speranze quando affermano che, nonostante le esperienze passate e presenti, possiamo fare le nostre scelte, decidere il nostro destino e realizzare molte cose. Un altro aspetto di richiamo di questo modello è l’im- portanza attribuita alla salute. A differenza dei clinici seguaci di altri modelli, i quali considerano gli individui buono, caritatevole e giusto. È stato confermato più vol-

te che questi individui si sentivano meno soli, meno pes- simisti, depressi o ansiosi di coloro che non hanno un credo religioso o che considerano Dio come distante e indifferente (Loewenthal, 2007; Koenig, 2002). I cre- denti sembrano affrontare meglio anche gravi fattori di stress, dalle malattie alla guerra e tra di loro i tentativi di suicidio sono meno frequenti. Inoltre, è meno probabile che facciano uso di droghe. In linea con queste scoperte, molti terapeuti adesso ritengono importante includere temi spirituali quando curano i pazienti credenti (Raab, 2007; Helmeke, Sori, 2006) e alcuni incoraggiano i pa- zienti a utilizzare le proprie risorse spirituali per affron- tare meglio i fattori di stress attuali.

2.5.4 Teorie e terapia esistenziali

Gli esistenzialisti, come gli umanisti, ritengono che la disfunzione psicologica sia causata dall’autoillusione, ma gli esistenzialisti parlano di un tipo di autoillusione in cui le persone evitano le proprie responsabilità e non rie- scono ad accettare l’idea che spetta a loro dare un signifi- cato alla propria esistenza. Secondo gli esistenzialisti, molti individui, sopraffatti dalle pressioni della società attuale, delegano agli altri spiegazioni, guida e autorità, tralasciando così la loro personale libertà di scelta ed evi- tando di assumersi le proprie responsabilità e di prendere le proprie decisioni (Mendelowitz, Schneider, 2008). Per tale ragione queste persone vivono un’esistenza vuota, non autentica, e le loro emozioni prevalenti sono ansia, frustrazione, noia, alienazione e depressione.

Gli esistenzialisti vedrebbero in Philip un uomo che si sente sopraffatto dalle pressioni della società, conside- ra i suoi genitori «ricchi, potenti ed egoisti» e giudica gli insegnanti, le conoscenze e i datori di lavoro oppressivi. È inoltre insoddisfatto delle sue scelte e non riesce a dare un significato alla propria vita e a trovare un percorso proprio. Rinunciare è diventata un’abitudine per lui: la- scia i vari lavori, mette fine a ogni relazione sentimenta- le e schiva le situazioni difficili.

Terapia esistenziale: terapia che incoraggia i pazien- ti ad accettare le responsabilità della propria vita, ad attribuire ad essa un maggiore significato e a credere nei suoi valori.

Nella terapia esistenziale, le persone sono incorag-

giate ad assumersi la responsabilità della propria vita e dei suoi problemi. I terapeuti cercano di aiutare i pazien- ti a diventare consapevoli della propria libertà in modo da poter scegliere un percorso differente e attribuire alla vita un maggiore significato (Schneider, 2008, 2003). Le tecniche particolari usate nella terapia esistenziale varia- no a seconda del clinico, ma la maggior parte dei tera- peuti esistenziali attribuisce una grande importanza alle

relazioni tra il terapeuta e il paziente e cerca di creare

CASO 2.2

Paziente: Non so perché continuo a venire qui. Non faccio che ripetere sempre la stessa cosa, sempre la stessa. Non arrivo da nessuna parte.

Dottore: Anch’io mi sto stancando di sentire sempre la stessa cosa, sempre la stessa.

Paziente: Forse smetterò di venire. Dottore: Spetta a lei decidere.

Paziente: Lei cosa pensa che dovrei fare? Dottore: Cosa vuole fare?

Paziente: Vorrei stare meglio. Dottore: Non ha torto.

Paziente: Se pensa che dovrei continuare, sì, lo farò. Dottore: Vuole che sia io a dirle di continuare? Paziente: Lei sa cos’è meglio per me; è lei il dottore. Dottore: Mi comporto come un dottore?

ha dei valori culturali. Questi fattori operano costante- mente su Philip, determinano regole e aspettative che lo guidano o esercitano pressioni su di lui e lo aiutano a modellare i suoi comportamenti, a elaborare pensieri ed

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 65-69)

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