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Cenni sulla psicoanalisi degli Indipendenti Britannic

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 58-60)

ALCUNI CONCETTI DI TEORIA DELLA TECNICA FREUDIANA Senza l’intento di essere esaustivi, presentiamo qui di segui-

2.2.10 Cenni sulla psicoanalisi degli Indipendenti Britannic

Nello sviluppo delle concezioni psicoanalitiche, uno spazio di rilievo viene assunto dal movimento degli In- dipendenti Britannici. Questo fu un gruppo di psicoana- listi che, a seguito di un aspro dibattito tra le posizioni teoriche di Melanie Klein e di Anna Freud all’interno della società britannica di psicoanalisi negli anni Trenta e Quaranta, non prese posizione e dimostrò una forma di indipendenza di pensiero e di pratica clinica che poggia- va le basi su alcuni assunti fondamentali.

distruttivi e la sua avidità possono causare ai suoi og- getti amati perché ancora non può fare distinzione tra i suoi desideri, i suoi impulsi e i loro effetti reali. Egli si sente colpevole e desidera ardentemente conserva- re quegli oggetti e riparare il danno causato [con la propria fantasia]. L’angoscia assume un carattere pre- valentemente depressivo e ho notato che le emozioni che la accompagnano e le difese che insorgono contro di esse fanno parte dello sviluppo normale e costitui- scono quella che ho denominato «posizione depressi- va» (Klein, 1959, p. 21).

Per accedere alla posizione depressiva bisogna aver superato le emozioni di invidia, avidità e aver elaborato e trasformato i meccanismi di scissione e proiezione che dominavano la fase precedente.

Nella posizione depressiva il bambino si accorge che l’oggetto che veniva considerato buono nella presenza e cattivo nell’assenza in realtà è sempre lo stesso oggetto. Non è quindi l’oggetto ad essere buono o cattivo ma che è il bambino che prova sentimenti diversi di piacere o di frustrazione a seconda della presenza o dell’assenza dell’oggetto. Questo comporta che la strada è aperta per la possibilità di pensare la propria ambivalenza e quella del’oggetto, ovvero che la madre è un oggetto intero. La paura di aver danneggiato con la propria invidia e di- struttività tipica della fase schizoparanoide l’oggetto (madre), cioè colui che dà la sopravvivenza, fa sì che si sviluppi il senso di colpa, che permetterà al bambino di proteggere l’oggetto. Con le parole della Klein:

il senso di colpa dà origine al bisogno imperioso di riparare, di preservare o di ridare vita all’oggetto d’amore leso e questo rende più profondi i sentimenti d’amore e favorisce le relazioni oggettuali (Klein, 1959, p. 455).

In estrema sintesi, l’acquisizione della posizione de- pressiva che dà origine allo sviluppo di un’autentica e sana capacità relazionale è possibile solamente se il bambino si riappropria della propria distruttività (ovvero se viene modulata la necessità di scindere e di attaccare l’oggetto): in tal modo l’oggetto non è più fantasticato come persecutorio per il Sé. In altre parole, l’accesso alla posizione depressiva è la possibilità di accedere alla realtà, ai propri e altrui limiti, alla propria finitezza e alle emozioni di amore e gratitudine. Questo è il senso del lutto che ci consente di vivere la realtà e di poter appren- dere da essa.

Gabbard (1994) sintetizza il valore profondo delle te- orizzazioni della Klein, così come le abbiamo brevemen- te esposte, pur riconoscendone e criticandone l’eccessiva attenzione alla fantasia che minimizza l’influenza delle persone e dell’ambiente psichico reali. Rifacendosi allo psicoanalista Ogden, Gabbard (1994, p. 38) afferma:

Ancora Borgogno:

il concetto di ambiente psichico quindi diventa un ambito che pone in prima linea il bisogno di relazione e di sicurezza, di intimità e di riconoscimento, di esplorazione e individuazione e che avvalora al mas- simo la realizzazione della specificità affettiva e mentale di ogni individuo e non considera soltanto le spinte pulsionali e le fantasie inconsce (Borgogno, 1995, p. XVII).

Come ci ricorda Gabbard (1994), questi studiosi sono in gran parte concordi sulla necessità di elaborare una teoria del deficit oltre che di una teoria del conflitto per poter giungere a una nuova comprensione psicoanalitica completa dell’essere umano. Secondo questi autori, la genesi della psicopatologia non si origina principalmen- te dal conflitto generato dall’impossibilità di soddisfare adeguatamente le pulsioni, ma da una situazioni di ca- renza o deficit (che lo precede e ne condiziona l’insor- genza) e quindi le origini cruciali della patologia sono ricercate nelle relazioni d’oggetto reali esterne. I traumi infantili sono considerati come conseguenza di diverse forme di perdita di intimità affettiva reale con i genitori. Non è tout court accantonata la teoria del conflitto, ma viene semmai posto l’accento sul fatto che l’essere uma- no è più conflittuale proprio in quelle aree di esperienza in cui ha accusato delle privazioni o dei deficit: se, ad esempio, entrare in relazione con altre persone significa- tive nell’esperienza soggettiva di un individuo implica ed evoca subire rifiuto e sofferenza, qualsiasi risposta relazionale emotivamente intensa viene soffocata per aumentare il senso di sicurezza data dalla familiarità, benché in tal modo si accresca l’angoscia di vivere una situazione di isolamento psicologico penoso.

Il modello relazionale che propongono questi autori risposa sul presupposto che i modelli ripetitivi nell’am- bito dell’esperienza umana non derivano tanto, come nel modello pulsionale, dalla ricerca di gratificazione di spinte o piacere interne, ma da una tendenza diffusa a conservare la continuità, i legami la familiarità con il mondo personale di ciascuno. Con le parole di Mitchell:

Esiste un desiderio potente di conservare un senso di sé duraturo associato ad altri individui con un posto preciso in termini di relazione legato a una matrice fatta da altre persone, in termini di transazioni reali e di presenze interne [...] non c’è «Sé» autentico in sen- so psicologico nell’isolamento, al di fuori di una ma- trice di relazione con gli altri (Mitchell, 1993, p. 32). I disturbi i delle relazioni precoci deformano grave- mente le relazioni successive in modo pervasivo e rigido. Si può in conclusione affermare che la carenza evolu- A questo gruppo appartenevano analisti prestigiosi

del calibro di Winnicott, Balint, Fairbairn, Heiamnn, Little, Guntrip.

Anche se ci sono differenze sostanziali nella teoria e nella pratica clinica di ciascuno di essi, vengono ciono- nostante raggruppati insieme sotto il nome di «Scuola Britannica» delle relazioni oggettuali poiché condivisero alcune importanti tematiche. Come ci ricorda con chia- rezza Franco Borgono nella prefazione al testo di Eric Rayner «Gli Indipendenti nella psicoanalisi britannica» (1995):

Il denominatore fondamentale di questi analisti è sta- to la massima importanza attribuita al ruolo degli og- getti reali nella nascita e nell’evoluzione della vita psichica e, coerentemente, all’osservazione e studio, nella relazione mentale tra paziente e analista. In altre parole, sempre Borgogno, sottolinea che:

[gli Indipendenti britannici] non hanno per nulla ab- bandonato il classico metodo di analisi inaugurato da Freud e arricchito dalla Klein, basato – come si sa – sull’esplorazione della fantasia inconscia, ma l’hanno caratterizzato, o meglio, orientato in modo diverso, assegnando alla qualità degli oggetti e alle loro pro- poste interattive un peso sostanziale nella costituzio- ne dell’inconscio, della realtà psichica e del pensiero. Le relazioni interpersonali nell’intrapsichico, quelle assimilate e anche non assimilate, sono quindi dive- nute progressivamente l’obiettivo peculiare della loro indagine, piuttosto che i contenuti astorici dell’incon- scio o i modi in cui il paziente creerebbe il mondo a partire innanzitutto dalla sua dotazione di impulsi in- nata (Borgogno, 1995, p. XV).

In estrema sintesi, diventa cruciale il concetto di «ambiente psichico» inteso non solo come

fattore correttivo e mitigante che modifica, le spinte pulsionali, fantasie precoci, angosce e difese, bensì come un fattora fondante che le crea, le induce, certa- mente le attiva oltre che genericamente influenzarle e modellarle. Ha in sostanza una gamma di funzioni che concorrono non solo a nutrire, sostenere, conte- nere e rispecchiare, trasformare la vita psichica, ma ad attivarla e disattivarla (Borgogno, 1995, p. XVI). Nell’ottica degli Indipendenti, i genitori reali non of- frono solo significati e modelli interazionali, che opera- no nell’evoluzione della personalità del bambino; piutto- sto trasmettono complessi e sottostanti segnali affettivi in parte inconsci che favoriscono o meno specifici livelli di esperienza psicologica orientando e guidando il loro futuro essere nel mondo.

gare i problemi di Philip, lo considererebbero forse un uomo che ha ricevuto un «addestramento» inadeguato: ha appreso cioè dei comportamenti che offendono gli altri e ripetutamente lo danneggiano.

Il modello comportamentista, a differenza del model- lo psicodinamico che affonda le sue radici nel lavoro cli- nico dei medici, ha avuto origine nei laboratori in cui gli psicologi conducevano esperimenti sul condizionamen- to, una forma di apprendimento elementare. Negli esperi-

menti, gli studiosi manipolavano gli stimoli e le ricom-

pense, poi osservavano come le loro manipolazioni con-

dizionavano le risposte dei partecipanti alla ricerca.

TRA LE RIGHE

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 58-60)

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