sciuta nella nostra società, sia dai consumatori sia dai clinici (Isenberg et al., 2004). Infatti, una ricerca dei professionisti della salute mentale ha rivelato che quasi il 90% di tutti i terapeuti degli Stati Uniti spesso raccomanda questi gruppi ai loro pazienti come un aiuto alla terapia (Clifford et al., 1998).
Non stupisce che la quantità, la varietà e il richiamo di tali gruppi siano cresciuti rapidamente nel corso degli ultimi de- cenni; si stima che 25 milioni di persone solo negli Stati Uniti frequentino un gruppo di auto-aiuto nel corso della loro vita. Da questo numero risultano esclusi i milioni di partecipanti ai gruppi di discussione che cercano online con- forto, informazione e supporto da parte di altre persone con gli stessi problemi. Il movimento dei gruppi di auto-aiuto e il suo impatto sulla nostra società sono ben evidenti nel seguente annuncio affisso in una chiesa del Colorado, con- tenente l’elenco degli incontri dei vari gruppi di aiuto, aven- ti luogo nella chiesa, fissati per la settimana successiva (Mo- skowitz, 2008, 2001).
Domenica
12:00 Cocainomani anonimi, piano nobile 17:30 Vittime dell’incesto, piano nobile 18:00 Al-anon, secondo piano
18:00 Alcolisti anonimi, seminterrato Lunedì
17:30 Debitori anonimi, seminterrato
18:30 Codipendenti dei Dipendenti dal sesso anonimi, se- condo piano
19:00 Figli adulti di alcolisti, secondo piano 20:00 Alcolisti anonimi, seminterrato 20:00 Al-anon, secondo piano 20:00 Alateen, seminterrato
20:00 Cocainomani anonimi, piano nobile Martedì
20:00 Vittime dell’incesto anonimi, seminterrato Mercoledì
17:30 Dipendenti dal sesso e dall’amore anonimi, seminter- rato
19:30 Figli adulti di alcolisti, secondo piano 20:00 Cocainomani, piano nobile
Giovedì
19:00 Codipendenti dei Dipendenti dal sesso anonimi, se- condo piano
19:00 Cocainomani anonime (solo donne), piano nobile Venerdì
17:30 Dipendenti dal sesso e dall’amore anonimi, seminter- rato
17:45 Adulti bulimici anonimi, secondo piano 19:30 Codipendenti anonimi, seminterrato 19:30 Figli adulti di alcolisti, secondo piano 20:00 Cocainomani anonimi, piano nobile Sabato
10:00 Figli adulti di alcolisti, piano nobile 12:00 Autolesionisti anonimi, secondo piano
miglia a cambiare il proprio comportamento, rendendolo più adattivo (Goldenberg, Goldenberg, 2008; Bowen 1960). La famiglia era considerata come l’unità che se- gue la terapia, a prescindere dalla presenza di eventuali diagnosi individuali. La presenza di tutti i membri nella stanza della terapia era indispensabile per dare al tera- peuta la possibilità di cogliere dal vivo le interazioni comportamentali problematiche. Il riferimento teorico alla base di questa modalità operativa è il behaviourismo.
Negli anni Ottanta parte delle terapie sistemiche si apre ai contributi del costruttivismo e del costruzionismo sociale. La famiglia è intesa come composizione di indi- vidui, ciascuno dei quali occupa una posizione specifica all’interno del suo nucleo familiare e ha suoi scopi, cre- denze, emozioni, sentimenti, che sono diversi da quelli degli altri familiari. Il terapeuta può lavorare non solo con la famiglia nella sua interezza, ma anche con alcuni sottosistemi familiari: la coppia genitoriale, la fratria o il soggetto singolo. La terapia sistemica diventa così anche una terapia individuale e l’interesse si allarga dalla comu- nicazione, intesa anche come comportamento manifesto, alla conversazione, che non può prescindere dalla seman- tica (Castiglioni, Corradini, 2003; Ugazio, 1998).
Nel Caso 2.3 riportiamo un’interazione tipica tra i
membri di una famiglia e una terapeuta.
I terapeuti della famiglia possono seguire uno dei principali modelli teorici, ma sono sempre più numerosi sta (Mueller et al., 2007). Secondo le stime, esistono at-
tualmente tra i 500.000 e i 3 milioni di questi gruppi soltanto negli Stati Uniti, frequentati ogni anno dal 3 o 4% della popolazione.
Terapia familiare
La terapia della famiglia è nata negli anni Cinquanta,
in America, come movimento pluricentrico, con diverse origini e diversi sviluppi, qualche volta connesi tra loro ma più spesso indipendenti. Una possibile definizione è la seguente: «terapia della famiglia è l’insieme di tutti i modelli di intervento che in qualche modo si pongono come obiettivo (sia pure seguendo teorie, prassi e tecni- che diverse) la cura (nel duplice senso di «curare» e «prendersi cura») di famiglie piuttosto che di individui, lavorando sule loro interazioni emotive e cognitive (Ber- trando, Toffanetti, 2000, p. 3).
Terapia familiare: tipo di terapia in cui un terapeuta incontra tutti i membri di una famiglia e li aiuta a cam- biare attraverso metodi terapeutici.
Ai suoi esordi, la terapia familiare era connotata dall’incontro tra l’équipe terapeutica e tutti i membri di una famiglia nucleare convivente. Il percorso terapeutico aveva lo scopo di identificare i comportamenti e le inte- razioni problematiche e di aiutare i componenti della fa-
CASO 2.3
T
ommy sedeva imperturbabile su una sedia e fissavala finestra. Aveva 14 anni ed era un po’ piccolo per la sua età. […] Sissy ne aveva undici. Era seduta sul divano tra la madre e il padre, sorridente. Di fronte a loro sedeva la dottoressa Fargo, la terapeuta familiare. La dottoressa disse: «Potreste essere un po’ più precisi sui cambiamenti che avete notato in Tommy e quando si sono verificati?».
La madre rispose per prima. «Ecco, mi sembra che risalga- no a due anni fa. Tommy ha iniziato a fare a botte a scuo- la. Quando gli parlavamo a casa, diceva che non era affar nostro. È diventato lunatico e disobbediente. Non faceva mai niente delle cose che gli dicevamo. Ha iniziato a esse- re cattivo con sua sorella e l’ha perfino picchiata». «E riguardo alle scazzottate a scuola?» chiese la dottores- sa.
Alla domanda rispose subito il padre. «Ginny era più preoc- cupata di me per quello che avveniva. Anch’io quando an- davo a scuola facevo a botte spesso e penso che sia norma- le. […] Ma rispettavo molto i miei genitori, soprattutto mio padre. E quando non lo facevo, mi dava un ceffone». «Ha mai dovuto picchiare Tommy?» Chiese la dottoressa con calma.
«Sì, un paio di volte, ma mi è sembrato che le cose non siano andate meglio.»
All’improvviso Tommy si fece attento, i suoi occhi si fissa-
rono sul padre. «Sì, me ne ha date un bel po’, e non avevo fatto niente!».
«Ma Thomas, non è vero.» La madre aveva un’espressione di rimprovero sul viso. «Se ti fossi comportato un po’ me- glio, non te le avrebbe date. Dottoressa, non posso dire di essere favorevole alle botte, ma capisco che talvolta può essere irritante per Bob.»
«Non immagini quanto sia irritante per me, tesoro». Bob sembrava turbato. «Devi lavorare tutto il giorno in ufficio e poi, quando torni a casa, ritrovarti ad affrontare tutto questo. Certe volte non vorrei neppure tornare a casa.» Ginny gli rivolse uno sguardo duro. «Pensi che le cose a casa siano facili tutto il giorno? Mi aspetterei da te un po’ di aiuto. Tu pensi che tutto quello che devi fare è guada- gnare dei soldi e che spetti a me fare tutto il resto. Bene, non intendo continuare a farlo più». […]
La madre iniziò a piangere. «Non so più cosa fare. La si- tuazione sembra disperata. Perché in questa famiglia le persone non riescono a essere più gentili? Non penso di chiedere molto, no?»
La dottoressa […] lanciò una rapida occhiata a ogni mem- bro della famiglia, sicura di incontrare lo sguardo di ognu- no di loro. «Sembra che qui ci sia molto da fare. […] Pen- so che dovremo comprendere una serie di cose per capire quello che sta accadendo» (Sheras, Worchel, 1979, pp.
(Baucom et al., 2009, 2006, 2000). Si fa in genere ricor- so a una terapia di coppia anche quando i problemi psi- cologici di un bambino sono riconducibili ai problemi della relazione tra i genitori.
Sebbene un certo livello di conflitto esista in qualun- que relazione a lungo termine, nella nostra società molti sono gli adulti che vivono conflitti di coppia alquanto gravi. La percentuale di divorzi in Canada, Stati Uniti ed Europa è ora vicina al 50% dei matrimoni (Marshall, Brown, 2008). Per molte coppie conviventi non sposate sembra che le difficoltà siano le stesse (Harway, 2005).
La terapia di coppia, come la terapia familiare e la terapia di gruppo, può seguire i principi di uno qualun- que degli orientamenti terapeutici più importanti. La te-
rapia comportamentale della coppia, ad esempio, utiliz-
za molte tecniche della prospettiva comportamentista (Shadish, Baldwin, 2005; Gurman, 2003). I terapeuti aiutano i coniugi a riconoscere e a modificare i compor- tamenti problematici insegnando generalmente delle competenze specifiche di soluzione dei problemi e di comunicazione. Una versione socioculturale più ampia, chiamata terapia integrativa di coppia, aiuta inoltre i partner ad accettare i comportamenti che non è possibile cambiare e a credere, ciononostante, nella relazione (Christensen et al., 2006). Ai partner si chiede di consi- derare questi comportamenti come dovuti all’esistenza di differenze fondamentali tra loro.
Le coppie che si sottopongono a questa terapia sem- brano mostrare un miglioramento più marcato nella rela- zione rispetto alle coppie con problemi simili che non cercano aiuto (Fraser, Solovey, 2007), ma nessuna for- ma di terapia di coppia può essere considerata superiore rispetto a un’altra (Snyder et al., 2006; Harway 2005). Sebbene due terzi delle coppie trattate vivano un miglio- ramento nella vita di coppia alla fine della terapia, meno della metà delle persone trattate vive una relazione «pri- va di tensioni» o «felice». Inoltre, in un terzo delle cop- pie curate con successo si è assistito a un ripresentarsi dei problemi entro due anni dalla fine della terapia.
Il trattamento di comunità
I programmi per la cura della salute mentale di comu- nità permettono ai pazienti, soprattutto a quelli con dif-
ficoltà psicologiche gravi, di rimanere nel proprio am- biente sociofamiliare nel periodo del trattamento. Nel 1963, il presidente John Kennedy invocava un «nuovo approccio coraggioso» alla cura dei disturbi mentali, un approccio rivolto alla comunità che avrebbe aiutato la maggior parte delle persone con problemi psicologici a ricevere dei servizi da agenzie vicine più che da strutture o istituzioni lontane. Subito dopo il Congresso approvò la «Legge sulla salute mentale di comunità», promuo- vendo il movimento per la salute mentale di comunità negli Stati Uniti. Una serie di altri paesi hanno incorag- giato la nascita di movimenti simili.
coloro che adottano i principi della teoria dei sistemi fa-
miliari. Oggi il 3% di tutti gli psicologi clinici, il 13%
degli operatori sociali e l’1% degli psichiatri si defini- scono principalmente terapeuti dei sistemi familiari (Prochaska, Norcross, 2007).
Le diverse terapie familiari si dimostrano spesso effi- caci, sebbene la ricerca non abbia ancora chiarito quanto (Goldenberg, Goldenberg, 2008). Alcuni studi hanno scoperto che il 65% degli individui trattati con gli ap- procci familiari ha un miglioramento, mentre altri studi suggeriscono percentuali meno alte di successo. Nessun tipo di terapia familiare si è rivelato più efficace rispetto alle altre (Alexander et al., 2002).
TRA LE RIGHE
Cena familiare virtuale
Molti teorici dei sistemi sono preoccupati che con l’al- lontanamento geografico dei membri di una famiglia, le dinamiche familiari chiave si perdano. Per aiutare a mantenere le interazioni familiari importanti, due ricer- catori hanno sviluppato «La cena familiare virtuale», uno strumento per la videoconferenza che permette ai membri di una famiglia di condividere i pasti e altre esperienze anche se vivono lontani.
Terapia di coppia
La coppia è un organismo complesso, un sistema diadico con livelli di funzionamento suoi propri, diversi da quel- li degli individui che la compongono. Nella terapia di coppia, o terapia coniugale, il terapeuta lavora con due
persone che intrattengono una relazione duratura e che si presentano in terapia sostenuti dalla stessa richiesta. Spesso tale richiesta è connessa al bisogno di entrambi i partners di definire più stabilmente l’identità di coppia (Monguzzi, 2010).
Terapia di coppia: tipo di terapia in cui il terapeuta lavora con due persone che intrattengono una relazio- ne duratura. Viene definita anche terapia coniugale. Cura della salute mentale di comunità: tipo di trat- tamento che pone l’accento sulla cura della comunità.
Nell’incontro con una coppia di pazienti che richiede una psicoterapia congiunta, ossia un intervento clinico rivolto alle problematiche della relazione, di fondamen- tale importanza appare la domanda circa le ragioni che spingono le due persone, tra le quali esiste un legame affettivo e una storia comune, a formulare una richiesta di aiuto in termini di coppia.
Spesso si tratta di moglie e marito, ma la coppia non deve essere costituita necessariamente da persone sposa- te e neppure conviventi. Come la terapia familiare, la terapia di coppia spesso si concentra sulla struttura e sui modelli di comunicazione messi in atto nelle relazioni
2009, 2007, 2004). La visione multiculturale odierna è diversa dalle prospettive culturali del passato, meno illu- minate; infatti l’appartenenza a una minoranza razziale, etnica e di altro tipo non implica in nessun modo il fatto che si sia considerati inferiori o culturalmente svantag- giati in rapporto alla maggioranza della popolazione (Sue, Sue, 2003). Al contrario, secondo questo modello il comportamento di un individuo, normale o anormale, viene compreso meglio se esaminato alla luce di quel particolare contesto culturale dell’individuo: dai valori di quella cultura alle pressioni esterne particolari affron- tate dai membri della cultura.
Negli Stati Uniti i gruppi sui quali si è concentrata l’attenzione degli studiosi multiculturali sono non sol- tanto i gruppi minoritari etnici e razziali (afroamericani, ispanoamericani, nativi americani e asiatico-americani), ma anche di altro tipo (persone economicamente disa- giate, omosessuali e donne, sebbene le donne non costi- tuiscano tecnicamente un gruppo minoritario). Ognuno di questi gruppi è soggetto a particolari pressioni nella società americana che possono contribuire alla sensazio- ne di stress e, talvolta, al funzionamento anormale. I ri- cercatori hanno scoperto che, ad esempio, l’anormalità psicologica, soprattutto di tipo grave, è molto più comu- ne tra le persone a basso reddito rispetto alle persone più benestanti (Byrne et al., 2004; Draine et al., 2002). Forse i problemi connessi alla povertà spiegano questa relazio- ne. Naturalmente questi vari gruppi in parte si sovrap- pongono, poiché, ad esempio, anche molti membri dei gruppi minoritari vivono in povertà. Il tasso più elevato di criminalità, di disoccupazione, sovraffollamento abi- tativo o di senzatetto, l’accesso insufficiente alle cure mediche e le opportunità di formazione limitate vissute in genere dai poveri possono creare uno stress maggiore in molti membri di questi gruppi minoritari.
Gli studiosi multiculturali hanno inoltre rilevato che il pregiudizio e la discriminazione affrontati da molti gruppi minoritari possono contribuire a certe forme di funzionamento anormale (Carter, 2007; Nelson, 2006). Ad esempio, nella società occidentale la percentuale di donne affette da ansia e disturbi depressivi è almeno doppia rispetto a quella maschile (McSweeney, 2004). Analogamente, tra gli afroamericani è insolitamente molto alta la percentuale di disturbi d’ansia (Blazer et al., 1991). Gli ispanoamericani hanno in genere una maggiore vulnerabilità ai disturbi connessi allo stress post-traumatico rispetto a persone appartenenti ad altri gruppi etnici (Koch, Haring, 2008). E i nativi americani mostrano delle percentuali eccezionalmente alte di alco- lismo e suicidio (Beals et al., 2005). Sebbene molti fatto- ri possano combinarsi per produrre queste differenze, un pregiudizio razziale e sessuale e i problemi che pone, possono contribuire a modelli anormali di tensione, infe- licità, bassa autostima e fuga (Carter, 2007; Nelson, 2006).
Un principio fondamentale del trattamento di comu- nità è la prevenzione. In questo caso sono i clinici stessi a recarsi dai pazienti, anziché aspettare che siano i mala- ti a chiedere di essere curati. Dagli studi si deduce che questi sforzi sono stati spesso coronati da successo (Ha- ge et al., 2007). Gli operatori di comunità attuano tre tipi di prevenzione che definiscono primaria, secondaria e
terziaria.
La prevenzione primaria riguarda gli sforzi per mi- gliorare i comportamenti e le politiche della comunità con il fine di prevenire i disturbi psicologici nel com- plesso. Gli operatori di comunità possono, ad esempio, consultarsi con una commissione scolastica locale oppu- re condurre dei workshop pubblici sulla riduzione dello stress (Bloom, 2008).
La prevenzione secondaria consiste nell’identificare e trattare i disturbi psicologici nelle fasi iniziali, prima che diventino seri. Gli operatori di comunità possono collaborare con insegnanti, sacerdoti o poliziotti per aiu- tarli a riconoscere i primi segni della disfunzione psico- logica e a insegnare loro in che modo aiutare le persone a trovare una cura (Ervin et al., 2007).
Il fine della prevenzione terziaria è fornire una cura efficace non appena si rende necessaria in modo che di- sturbi moderati o gravi non diventino problemi cronici. Oggi le agenzie di comunità negli Stati Uniti offrono la cura terziaria in modo efficace a milioni di persone con problemi psicologici modesti; ma, come abbiamo già detto nel Capitolo 1, spesso non riescono a fornire i ser- vizi necessari a centinaia di migliaia di persone affette da disturbi gravi. Una delle ragioni di questo fallimento è la mancanza di finanziamenti, un tema che sarà affron- tato nei prossimi capitoli (Weisman, 2004).
TRA LE RIGHE
Prevenzione secondaria in azione
I professionisti della salute mentale di comunità talvol- ta collaborano con la polizia e con altri funzionari pub- blici, insegnando loro come affrontare i bisogni psico- logici delle persone sottoposte a uno stress elevato.
2.6.3 Come spiegano il funzionamento anormale i teorici multiculturali?
Con cultura si intende l’insieme di valori, atteggiamenti, convinzioni, storia e comportamenti condivisi da un gruppo di persone e trasmessi da una generazione a un’altra (Matsumoto, 2007, 2001).
In una prospettiva multiculturale, o culturalmente
diversa (Jackson, 2006), gli psicologi cercano di com- prendere in che modo la cultura, la razza, l’etnia, il gene- re e fattori simili influenzino il comportamento e il pen- siero, e in che modo le persone di culture, razze e generi diversi siano psicologicamente diverse (Alegria et al.,
stro, Holm-Denoma, Buckner, 2007; Lee, Sue, 2001). Spinti da queste scoperte, alcuni clinici hanno sviluppa- to delle terapie culturalmente sensibili, approcci che
cercano di analizzare i problemi specifici affrontati dai membri dei gruppi culturali minoritari (Carten, 2006; Mio et al., 2006). Le terapie che affrontano le difficoltà specifiche dell’essere donna nella società occidentale, chiamate terapie sensibili al genere o femministe, se-
guono gli stessi principi.
Gli approcci culturalmente sensibili includono in ge- nere gli elementi seguenti:
a. Preparazione culturale particolare dei terapeuti nei loro programmi di formazione universitaria
b. Conoscenza da parte del terapeuta dei valori culturali del paziente
c. Conoscenza del terapeuta di stress, pregiudizi e stere- otipi ai quali i pazienti dei gruppi minoritari sono esposti
d. Conoscenza del terapeuta delle difficoltà affrontate dai figli degli immigrati
e. Aiuto ai pazienti affinché riconoscano l’impatto della propria cultura e della cultura dominante sulle visioni di sé e sui comportamenti
f. Aiuto ai pazienti affinché identifichino ed esprimano la rabbia e il dolore repressi
g. Aiuto ai pazienti affinché raggiungano un equilibrio biculturale ritenuto per loro adeguato
h. Aiuto ai pazienti affinché accrescano la loro autosti-
Prospettiva multiculturale: visione secondo la quale ogni cultura possiede un insieme di valori e di convin- zioni, ma subisce anche pressioni esterne particolari che aiutano a spiegare il comportamento dei suoi membri. Chiamata anche prospettiva culturalmente
diversa.
Terapie culturalmente sensibili: approcci che cerca- no di analizzare i problemi specifici affrontati dai mem- bri dei gruppi minoritari.
Terapie sensibili al genere: approcci che affrontano le problematiche specifiche dell’essere donna nella so- cietà occidentale. Chiamate anche terapie femministe.
2.6.4 Trattamenti multiculturali
Da studi condotti in diverse parti del mondo si è scoperto che i membri di gruppi minoritari etnici e razziali tendo- no a mostrare un miglioramento meno evidente nei trat- tamenti clinici (Comas-Diaz, 2006), si rivolgono meno di frequente ai servizi di salute mentale e interrompono la terapia prima degli appartenenti ai gruppi maggiorita- ri (Ward, 2007; Comas-Diaz, 2006; Wang et al., 2006). L’efficacia di una terapia rivolta a pazienti apparte- nenti a gruppi minoritari, come suggeriscono alcuni stu- di, può essere migliorata facendo leva su due aspetti: (1) maggiore sensibilità ai temi culturali, (2) inclusione di principi morali e modelli culturali nella cura, soprattutto nelle terapie destinate ai bambini e agli adolescenti (Ca-
Tabella 2.2 Confronto dei modelli.
Biologico Psicodina-mico Comporta-mentista Cognitivo Umanistico Esisten-ziale Sociofami-liare Multicultu-rale
Causa della disfunzione Malfunzio- namento biologico Conflitti inconsci Apprendi- mento ma- ladattivo Pensiero maladat- tivo Auto- illusione Evitamen- to della responsa- bilità Stress sociale o familiare Pressioni esterne o conflitti culturali Supporto
alla ricerca Forte Modesto Forte Forte Debole Debole Moderato Moderato
Designa- zione della persona trattata
Paziente Paziente Cliente Cliente Paziente o cliente Paziente o cliente Cliente Cliente
Ruolo del
terapeuta Medico Interprete Insegnante Persuasore Osserva-tore Collabora-tore
Facilitatore sociale/ familiare Sostenitore /insegnan- te cultu- rale Tecnica pri- maria del terapeuta Intervento biologico Libera associazio- ne e inter-