DISTURBO CONOSCIUTO?
I clinici utilizzano le informazioni ricavate attraverso colloqui, test e osservazioni per elaborare un quadro il più possibile completo dei fattori che provocano e man- tengono in essere il disturbo di un paziente, elaborazio- ne detta anche quadro clinico (Kellerman, Burry, 2007). Il quadro clinico può essere influenzato entro un certo grado dall’orientamento teorico del clinico (Garb, 2006). Lo psicologo che ha seguito Angela aveva una visione cognitivo-comportamentale dell’anormalità e ha quindi elaborato un quadro che metteva in risalto i principi di modellizzazione e di rinforzo, oltre che le aspettative, i presupposti e le interpretazioni di Angela (Caso 3.2).
Quando dispongono dei dati di valutazione e del qua- dro clinico, i clinici sono pronti a fare una diagnosi, os-
sia a stabilire che i problemi psicologici di una persona costituiscono un disturbo particolare. Quando il clinico decide, attraverso la diagnosi, che la modalità di disfun- zione di un soggetto riflette un particolare disturbo, egli dice che il modello osservato è fondamentalmente lo stesso osservato in molte altre persone, che è stato ana- lizzato in numerosi studi e che magari ha risposto a par- ticolari forme di trattamento. Il terapeuta può quindi ap- plicare ciò che è generalmente noto sul disturbo alla persona che sta cercando di aiutare. Ad esempio, il clini- co può prevedere meglio il decorso futuro del problema del soggetto e la terapia che potrebbe essere indicata.
3.3.1 Sistemi di classificazione
Il principio che sta dietro alla diagnosi è semplice. Quan- do certi sintomi si presentano regolarmente assieme (un toria durante certe azioni e interpretano le esecuzioni
anormali come indicazione di problemi cerebrali di fon- do (Axelrod, Wall, 2007). Il danno cerebrale può in- fluenzare soprattutto la percezione visiva e il riconosci- mento di oggetti, la memoria, la coordinazione visuo- motoria; pertanto i test neuropsicologici si concentrano soprattutto su queste aree.
Il famoso Bender Gestalt, un test visuo-motorio, è costituito da nove schede, su ciascuna delle quali è ripro- dotto un semplice disegno geometrico. I pazienti osser- vano un disegno alla volta e lo copiano su un foglio di carta. In seguito provano a riprodurre i disegni basandosi sulla memoria. Errori di precisione molto evidenti dopo i 12 anni sono ritenuti il riflesso di un problema cerebra- le. I clinici utilizzano spesso una batteria, o una serie, di test neuropsicologici, ciascuno finalizzato a indagare uno specifico insieme di abilità (Reitan, Wolfson, 1996).
3.2.6 Test di intelligenza
Secondo un’antica definizione dell’intelligenza, essa è «la capacità di giudicare bene, di ragionare bene e di comprendere bene» (Binet, Simon, 1916, p. 192). Poi- ché l’intelligenza è una qualità inferita e non uno speci- fico processo fisico, essa può essere misurata solo indi- rettamente. Nel 1905 lo psicologo francese Alfred Binet elaborò assieme al collega Théodore Simon un test di intelligenza costituito da una serie di prove che richie-
devano l’uso di diverse abilità verbali e non verbali. Il punteggio totale ottenuto tramite questo e altri test di intelligenza è detto quoziente intellettivo o QI. Oggi i
test d’intelligenza disponibili superano il centinaio. Co- me vedremo nel Capitolo 14, i test di intelligenza hanno un ruolo fondamentale nella diagnosi di ritardo mentale, ma possono essere d’aiuto al clinico anche per identifi- care altri problemi.
Test neuropsicologico: test che rileva l’esistenza di problemi cerebrali attraverso la misurazione delle capa- cità cognitive, percettive e motorie di una persona. Test di intelligenza: test ideato per misurare l’abilità intellettiva di una persona.
Quoziente di intelligenza (QI): punteggio comples- sivo ottenuto tramite un test di intelligenza.
Diagnosi: identificazione di un disturbo particolare at- traverso i problemi di una persona.
Tra tutti i test clinici, i test di intelligenza sono elabo- rati con particolare attenzione (Kellerman, Burry, 2007; Williams et al., 2007). Poiché sono stati standardizzati su gruppi di persone molto estesi, i clinici sanno bene come confrontare il punteggio di un soggetto con i risul- tati della popolazione in generale. Tali test si sono dimo- strati anche molto affidabili: se si ripete lo stesso test del QI a distanza di anni si ottiene più o meno lo stesso pun- teggio. Infine, i test intellettivi più diffusi sembrano ave-
e le sue caratteristiche cliniche essenziali. Il repertorio descrive inoltre caratteristiche che si trovano spesso, an- che se non sempre, collegate al disturbo. Il sistema di classificazione è corredato inoltre da informazioni te-
stuali (ossia informazioni di base) come i risultati delle
ricerche; tendenze legate all’età, alla cultura o al genere; e per ciascun disturbo elencato, la prevalenza, il rischio, il decorso, le complicazioni, i fattori predisponenti e i modelli familiari.
Il DSM-IV-TR richiede ai clinici di valutare la condi- zione del soggetto su cinque assi separati, o campi di informazioni, nell’elaborazione della diagnosi. Prima di tutto è necessario decidere se il soggetto mostra uno o più dei disturbi elencati sull’Asse I, un dettagliato elenco di sindromi cliniche che tipicamente causano problemi mentali significativi. Tra i disturbi elencati su questo as- se diagnosticati più di frequente ci sono i disturbi d’an- sia e dell’umore, problemi che tratteremo in seguito.
Disturbi d’ansia. Le persone affette da disturbi d’ansia
possono provare una sensazione diffusa di ansia e preoc- cupazione (disturbo d’ansia generalizzato), un’ansia focalizzata su una situazione o un oggetto specifico (fo-
bie), periodi di panico (disturbo da panico), pensieri cir-
colari o comportamenti ripetitivi, o entrambi (disturbo
ossessivo-compulsivo) o reazioni di ansia persistente do-
po eventi insoliti e traumatici (disturbo acuto da stress e
disturbo post traumatico da stress).
Disturbi dell’umore. Coloro che sono affetti da disturbi
dell’umore si sentono eccessivamente tristi o euforici per lunghi periodi di tempo. Di questo tipo è il disturbo
depressivo maggiore e i disturbi bipolari (in cui a episo-
di di mania si alternano episodi di depressione). Il passo successivo per i clinici è decidere se il sog- insieme di sintomi è detto sindrome) e seguono un parti-
colare decorso, i clinici concordano sul fatto che tali sin- tomi danno luogo a uno specifico disturbo mentale. Se nei soggetti si osserva questo particolare modello di sin- tomi, i clinici li assegnano a quella categoria diagnostica. Un elenco di categorie, o di disturbi, con le descrizioni dei sintomi e le indicazioni per assegnare gli individui alle varie categorie è detto sistema di classificazione.
Sindrome: insieme di sintomi che in genere si presen- tano contemporaneamente.
Sistema di classificazione: elenco di disturbi, descri- zioni dei sintomi e indicazioni per effettuare diagnosi corrette.
Nel 1883 Emil Kraepelin compilò il primo sistema moderno di classificazione del comportamento anormale (cfr. Capitolo 1). Le sue categorie sono alla base del Ma-
nuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali
(DSM), il sistema di classificazione redatto attualmente dalla American Psychiatric Association (APA, 2000). Il DSM è il sistema di classificazione più ampiamente usa- to negli Stati Uniti, mentre in numerosi altri Paesi si uti- lizza il sistema ICD, o Classificazione statistica delle
malattie, redatto a cura dell’Organizzazione mondiale
della sanità. Il DSM ha subito numerosi cambiamenti nel corso del tempo. L’edizione attualmente in vigore, il DSM-IV Text Revision (DSM-IV-TR), presenta una se- rie di modifiche nella classificazione introdotte nel 1994 (all’epoca del DSM-IV) e nel 2000 (quando divenne DSM-IV-TR).
3.2.2 DSM-IV-TR
Il DSM-IV-TR riporta circa 400 disturbi mentali. Cia- scuna voce descrive i criteri per diagnosticare il disturbo
CASO 3.2
D
i rado Angela riceveva rinforzo per i suoi risultatiscolastici positivi, mentre la madre era solita rimar- care in modo negativo quelli che secondo lei erano risultati scadenti, sia a scuola che a casa. La signora diceva continuamente alla figlia che era un’incapace e l’accusava di essere la causa di qualsiasi inconveniente accadesse a lei. […] Quando il padre lasciò la famiglia, la prima reazio- ne di Angela fu di ritenersi responsabile in qualche modo. Dal comportamento passato di sua madre, Angela aveva imparato ad aspettarsi di essere criticata per qualcosa. All’epoca della rottura tra Angela e il fidanzato, lei non incolpò Jerry per il suo comportamento, ma interpretò l’evento come dovuto esclusivamente a lei. Ne derivò un livello di autostima ancora più basso.
Il tipo di rapporto coniugale che Angela vide modellizzato dal padre e dalla madre è rimasto il suo concetto di vita coniugale. Dalle sue osservazioni dei difficili rapporti tra i
suoi genitori, Angela ha tratto un’idea generale delle sue aspettative riguardo al tipo di comportamento che alla fine avrebbero avuto anche lei e Jerry. […]
Le insicurezze di Angela si sono intensificate quando è stata privata della sua principale fonte di gratificazione, la sua relazione con Jerry. Sebbene fosse sopraffatta da dub- bi riguardo all’ipotesi di sposarsi, dal rapporto con Jerry aveva tratto molta gioia e soddisfazione. Aveva condiviso con lui, e con nessun altro, ogni sentimento che fosse riu- scita a esprimere. Angela ha stabilito che se Jerry aveva posto fine alla loro relazione, questa era la prova di quan- to lei non fosse degna dell’interesse di un’altra persona. Riteneva che molto probabilmente la sua infelicità presen- te non sarebbe diminuita in futuro e per questo biasimava sé stessa. La sua depressione attuale deriva da tutto questo