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DISTURBO DI PANICO

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 126-130)

attacchi di panico ricorrenti e imprevedibili.

Agorafobia: disturbo d’ansia in cui una persona ha paura di trovarsi in luoghi o situazioni in cui potrebbe essere difficile (o imbarazzante) allontanarsi o non es- sere disponibile aiuto se dovessero presentarsi dei sin- tomi correlati a un attacco di panico o tipo panico.

Il disturbo di panico è spesso associato all’agorafo- bia, una delle tre categorie di fobie menzionate più so-

pra. Le persone che soffrono di agorafobia hanno paura di uscire di casa e di trovarsi in luoghi pubblici o in altre situazioni in cui potrebbe essere difficile allontanarsi o trovare aiuto, nel caso in cui subentrasse un attacco di panico. Nei casi più gravi, i soggetti sono praticamente segregati in casa propria. Hanno una vita sociale molto viduale che di gruppo, si è rivelato molto utile per aiuta-

re le persone ad acquisire maggiore sicurezza nelle si- tuazioni sociali (Fisher et al., 2004).

Sintesi Fobie

Una fobia è la paura intensa, persistente e irrazionale di un particolare oggetto, attività o situazione. Si rico- noscono tre categorie principali di fobie: fobie speci- fiche, fobie sociali e agorafobia. Le spiegazioni più autorevoli delle fobie, in particolare delle fobie socia- li, sono quelle comportamentali. Gli psicologi com- portamentali ritengono che le fobie vengano apprese attraverso il condizionamento classico o il modella- mento e siano quindi mantenute attraverso comporta- menti di evitamento.

Le fobie specifiche vengono trattate efficacemente con le tecniche comportamentali di esposizione. L’esposizione può essere graduale e rilassata (desen- sibilizzazione), intensa (immersione o flooding) o vi- caria (modeling).

I terapeuti che si occupano di fobie sociali distinguo- no in genere due caratteristiche di questo disturbo: ansie sociali e scarse abilità sociali. Il trattamento può contribuire a ridurre l’ansia sociale dei pazienti attra- verso i farmaci, la terapia di gruppo o cognitiva, o anche con una combinazione di diversi interventi. Es- si infine possono ricorrere all’addestramento alle abi- lità sociali per migliorare la sicurezza dei soggetti nel- le situazioni sociali.

4.3

DISTURBO DI PANICO

A volte una reazione d’ansia assume la forma di panico soffocante e spaventoso, in cui si perde il controllo del proprio comportamento e non si è in pratica più consa- pevoli di quello che si sta facendo. Chiunque può avere una reazione di panico quando si profila una minaccia reale. Alcuni, tuttavia, hanno degli attacchi di panico,

ossia brevi accessi periodici di panico che si verificano all’improvviso, raggiungono un picco nel giro di una decina di minuti e passano gradualmente.

Gli attacchi sono caratterizzati da almeno quattro dei sintomi descritti: palpitazioni cardiache, formicolio alle mani o ai piedi, respiro affannoso, sudorazione accen- tuata, vampate di calore seguite da senso di freddo, tre- mori, dolori al petto, sensazione di soffocamento, debo- lezza, vertigini e sensazione di distacco dalla realtà. Non meraviglia che durante un attacco di panico molte perso- ne siano convinte di morire, di impazzire o di perdere il controllo (Caso 4.7).

Più di un quarto di tutte le persone ha uno o più attac- chi di panico in qualche momento della vita (Kessler et

CASO 4.7

Mi trovavo in un centro commerciale affollato e all’im- provviso è successo: in pochi secondi sembravo impaz- zita. È stato come un incubo, solo che ero sveglia; intor- no a me è diventato tutto nero e ho iniziato a sudare, su tutto il corpo, sulle mani, avevo i capelli fradici. Avevo la sensazione di non avere più sangue nelle vene, sono diventata pallida come uno spettro. Avevo l’impressione di stare per crollare; mi pareva di non riuscire a control- lare braccia e gambe e di non potermi muovere. Era come se fossi stata afferrata da una forza esterna. Ve- devo che tutti mi guardavano, solo facce, niente corpi, tutte fuse assieme. Sentivo i miei battiti pulsare forte nella testa e nelle orecchie; credevo che il cuore si sareb- be fermato. Vedevo luci nere e gialle. Sentivo le voci delle persone attorno a me, ma ovattate, come prove- nienti da molto lontano. Non riuscivo a pensare ad altro che a come mi sentivo e che dovevo assolutamente usci- re e correre via, altrimenti sarei morta. Dovevo andarme- ne da lì e respirare aria fresca (Hawkrigg, 1975).

Quali sono i fattori biologici alla base del disturbo di panico?

Per comprendere la base biologica del disturbo di pani- co, i ricercatori hanno utilizzato una procedura retrospet- tiva, a partire dalla comprensione del meccanismo d’azione degli antidepressivi che sembravano avere un’azione calmante. Essi sapevano che questi particolari farmaci operano a livello cerebrale soprattutto modifi- cando l’attività della noradrenalina (o norepinefrina),

uno tra i tanti neurotrasmettitori che trasportano messag- gi tra i neuroni. Dato che i farmaci erano utili nell’elimi- nare gli attacchi di panico, gli studiosi iniziarono a so- spettare che il disturbo di panico potesse essere causato da un’attività anomala della noradrenalina.

Numerosi studi hanno provato che l’attività della no- radrenalina è effettivamente irregolare nelle persone che soffrono di attacchi di panico. Per esempio, il locus ce- ruleus (o punto blu) è un’area del cervello ricca di neu-

roni che utilizzano noradrenalina. Quando nella scimmia l’area viene sottoposta a elettrostimolazione, l’animale ha una reazione di tipo panico; si ipotizza quindi che le reazioni di panico possano essere collegate a cambia- menti nell’attività della noradrenalina a livello di locus ceruleus (Redmond, 1981, 1979, 1977). In una serie di ricerche analoghe gli studiosi sono riusciti a produrre attacchi di panico nell’uomo iniettando ai soggetti so- stanze note per influenzare l’attività della noradrenalina (Bourin et al., 1995; Charney et al., 1990, 1987).

Noradrenalina (o norepinefrina): neurotrasmettito- re la cui attività anomala è collegata al disturbo di pa- nico e alla depressione.

Locus ceruleus: piccola area cerebrale che sembra es- sere attiva nella regolazione delle emozioni. Molti dei suoi neuroni utilizzano noradrenalina.

Amigdala: piccola struttura cerebrale a forma di man- dorla che elabora le informazioni emotive.

Gli studi stabilirono quindi un collegamento tra nora- drenalina e locus ceruleus per gli attacchi di panico. Al- tre ricerche più recenti indicano tuttavia che l’origine degli attacchi di panico va ricondotta probabilmente a qualcosa di più complesso di un singolo neurotrasmetti- tore in una limitata area cerebrale. Si è visto, per esem- pio, che le reazioni emotive di diverso tipo sono collega- te a circuiti cerebrali, ossia reti di strutture cerebrali che lavorano in sinergia, stimolando ognuna la reazione dell’altra e producendo un particolare tipo di reazione emotiva. Il circuito che produce le reazioni di panico comprende aree cerebrali come l’amigdala, il nucleo

ventromediale dell’ipotalamo, la sostanza grigia centra- le e il locus ceruleus (Ninan, Dunlop, 2005) (si veda la

Figura 4.3). Quando una persona si trova di fronte a un

oggetto o a una situazione che la terrorizza, si ha un’atti- vazione dell’amigdala, una piccola struttura a forma di

ristretta e non riescono a conservare a lungo un posto di lavoro.

Fino a non molto tempo fa, i clinici non sapevano ri- conoscere il nesso esistente tra l’agorafobia e gli attacchi di panico. Oggi si sa invece che gli attacchi di panico, o perlomeno certi sintomi affini, in generale aprono la strada all’agorafobia: dopo che si sono verificati uno o più attacchi imprevedibili, alcuni soggetti temono di avere altri attacchi in luoghi pubblici, dove sarebbe dif- ficile trovare aiuto o allontanarsi.

Non tutti coloro che sono affetti da disturbo di panico sviluppano l’agorafobia, ma molti sì. Il DSM-IV-TR di- stingue fra disturbo di panico senza agorafobia e distur-

bo di panico con agorafobia. Circa il 2,8% di tutta la

popolazione degli Stati Uniti soffre ogni anno dell’uno o dell’altro tipo; quasi il 5% manifesta uno dei due distur- bi in qualche momento della vita (Kessler et al., 2009, 2006, 2005). Entrambi i tipi di disturbo di panico tendo- no a manifestarsi nella tarda adolescenza o all’inizio dell’età adulta e colpiscono le donne in misura perlome- no doppia rispetto agli uomini (APA, 2000). La preva- lenza del disturbo di panico negli Stati Uniti è simile in tutti i gruppi culturali e razziali. Le percentuali sono so- vrapponibili in tutte le culture del mondo, anche se in contesti specifici ci sono differenze tra un paese e l’altro (Nazarian, Craske, 2008). Le ricerche indicano che negli Stati Uniti circa il 35% dei soggetti con disturbo di pani- co è attualmente in terapia (P. S. Wang et al., 2005).

4.3.1 Prospettiva biologica

Negli anni Sessanta i clinici fecero una scoperta sorpren- dente: per il disturbo di panico i risultati migliori si ave- vano con alcuni farmaci antidepressivi, utilizzati per ri- durre i sintomi della depressione, anziché con la mag- gior parte dei benzodiazepinici, i farmaci usati nel tratta- mento del disturbo d’ansia generalizzato (D. F. Klein, 1964; Klein, Fink, 1962). Da questa osservazione si è giunti alle prime spiegazioni biologiche e ai trattamenti adeguati del disturbo di panico.

Tabella 4.8 Disturbo di panico. DSM Checklist

Attacchi di panico ricorrenti e inaspettati.

Un mese o più di uno dei seguenti sintomi dopo almeno un attacco:

Preoccupazione persistente di avere un altro at- tacco di panico.

Preoccupazioni di possibili implicazioni o conse- guenze degli attacchi di panico.

Significativo cambiamento di comportamento cor- relato agli attacchi.

anomalie nell’attività della noradrenalina, del funziona- mento del locus ceruleus e di altri elementi del circuito cerebrale del panico? Una possibilità è quella di una pre- disposizione ereditaria a sviluppare tali anomalie (Buri- jon, 2007; Torgersen, 1990, 1983); pertanto, se è impli- cato un fattore genetico, i consanguinei stretti dovrebbe- ro presentare un tasso di disturbo di panico superiore a quello dei parenti lontani. Gli studi confermano infatti che tra i gemelli identici (gemelli che hanno uguale pa- trimonio genetico), se uno dei due soffre di disturbo di panico, ne soffre anche l’altro circa nel 31% dei casi (Tsuang et al., 2004). Tra i gemelli fraterni (che hanno in comune solo alcuni geni), se un gemello soffre di distur- bo di panico, l’altro presenta lo stesso disturbo solo nell’11% dei casi (Kendler et al., 1995, 1993).

Terapie farmacologiche

Come abbiamo accennato più sopra, nel 1962 i ricerca- tori hanno scoperto che alcuni antidepressivi sono in grado di prevenire gli attacchi di panico o di ridurne la frequenza. Dall’epoca di questo imprevisto risultato, nu- merosi studi condotti in tutto il mondo hanno conferma- to l’osservazione iniziale (Julien, 2008; Burijon, 2007).

Sembra che tutti gli antidepressivi che ristabiliscono l’attività adeguata della noradrenalina nel locus ceruleus e in altre aree cerebrali siano in grado di contribuire a prevenire o a ridurre i sintomi di panico (Pollack, 2005; Redmond, 1985). Tali farmaci apportano perlomeno un miglioramento nell’80% dei pazienti con disturbo di pa- mandorla che elabora le informazioni emotive. L’amig-

dala stimola a sua volta le altre aree del circuito, attivan- do una reazione temporanea di «allarme e fuga» (au- mento di frequenza cardiaca, sudorazione, pressione sanguigna e così via) molto simile a una reazione di pa- nico (Gray, McNaughton, 1996). Oggi la maggior parte dei ricercatori ritiene che questo circuito cerebrale (com- presi i neurotrasmettitori attivi in tutto il circuito) abbia probabilmente un funzionamento improprio nelle perso- ne che soffrono di disturbo di panico (Burijon, 2007; Bailey et al., 2003).

È importante notare che il circuito cerebrale respon- sabile delle reazioni di panico sembra essere diverso da quello responsabile delle reazioni d’ansia (reazioni più sfumate, continuative e dominate dalla preoccupazione rispetto alle reazioni di panico) (si veda la Figura 4.4). Il

circuito cerebrale dell’ansia, che funziona impropria- mente nelle persone con disturbo d’ansia generalizzato, comprende l’amigdala, la corteccia prefrontale e la cor-

teccia cingolata anteriore (McClure et al., 2007).

Alcune delle aree cerebrali e dei neurotrasmettitori nei due circuiti sono ovviamente in comune (in particola- re l’amigdala, che sembra essere centrale in entrambi i circuiti), ma la scoperta che il circuito cerebrale del pani- co e dell’ansia sono diversi ha ulteriormente confermato l’ipotesi degli studiosi, ossia che il disturbo di panico è biologicamente diverso dal disturbo d’ansia generalizza- to e, peraltro, da ogni altro tipo di disturbo d’ansia.

Perché alcune persone potrebbero presentare delle

Figura 4.3 Origini biologiche del panico. Il circuito cere- brale che produce le reazioni di panico comprende l’amigdala, il nucleo ventromediale dell’ipotalamo, la sostanza grigia cen- trale e il locus ceruleus.

Amigdala Amigdala

Nucleo ventromediale

dell’ipotalamo Sostanza grigia centrale

Locus ceruleus

Figura 4.4 Origini biologiche dell’ansia. Il circuito cerebra- le collegato alle reazioni d’ansia sembra essere distinto dal cir- cuito che produce le reazioni di panico. I due circuiti hanno in comune l’amigdala, ma il circuito d’ansia comprende anche la corteccia prefrontale e la corteccia cingolata anteriore.

Corteccia prefrontale Corteccia cingolata

è che i soggetti che tendono ad andare nel panico prova- no in genere, anche se non volontariamente, sensazioni fisiche più frequenti o più intense rispetto alla maggio- ranza delle persone (Nardi et al., 2001). In effetti, le sen- sazioni che più spesso vengono male interpretate nel di- sturbo di panico sembrano essere l’aumento di anidride carbonica nel sangue, le alterazioni della pressione san- guigna e l’aumento della frequenza cardiaca, tutte mani- festazioni fisiche che in parte sono controllate dal locus ceruleus e da altre aree del circuito cerebrale del panico. Quali che siano le cause precise di tali interpretazioni erronee, la ricerca indica che i soggetti che tendono a provare panico hanno un’elevata sensibilità all’ansia:

essi sono cioè concentrati sulle proprie sensazioni fisi- che per buona parte del tempo, sono incapaci di valutarle in modo logico e le interpretano come potenzialmente dannose (Wilson, Hayward, 2005). Uno studio ha rileva- to che le persone con elevata sensibilità all’ansia (deter- minata attraverso un’apposita indagine) avevano una probabilità quintupla rispetto agli altri di sviluppare un disturbo di panico (Maller, Reiss, 1992). Da altri studi è emerso che gli individui con disturbo di panico in genere hanno una sensibilità all’ansia maggiore rispetto agli al- tri (Dattilio, 2001; McNally, 2001).

Challenge test biologico: procedura utilizzata per produrre il panico nei partecipanti alla ricerca o nei pa- zienti sottoponendoli a intense attività fisiche o facen- do loro eseguire qualche altra attività potenzialmente in grado di indurre il panico, in presenza del ricercato- re o del terapeuta.

Sensibilità all’ansia: tendenza a fissarsi sulle sensa- zioni fisiche, a valutarle in modo illogico e a interpre- tarle negativamente.

Terapia cognitiva

I terapeuti cognitivisti provano a correggere le interpre- tazioni erronee delle sensazioni fisiche di chi tende a provare panico (McCabe, Antony, 2005). Il primo passo è quello di informare i pazienti sulla natura generale de- gli attacchi di panico, sulle cause reali delle sensazioni fisiche e sulla tendenza a fraintendere tali sensazioni. Nella fase successiva, ai pazienti viene insegnato ad ap- plicare sistemi di interpretazione più precisi durante le situazioni stressanti, bloccando così all’inizio la sequen- za del panico. I terapeuti possono inoltre insegnare ai pazienti ad affrontare l’ansia, ad esempio attraverso tec- niche di rilassamento e di respirazione, e a distrarsi dall’ascolto delle sensazioni, magari avviando una con- versazione con qualcuno.

I terapeuti cognitivisti possono utilizzare challenge test biologici per indurre le sensazioni di panico, in mo- do che i pazienti possano applicare le abilità appena ac- quisite sotto la supervisione attenta dell’esperto (Meuret et al., 2005). Alle persone in cui l’attacco di panico vie- nico, stato che perdura fino a che continua l’assunzione

del farmaco (McNally, 2001). Negli ultimi anni il princi- pio attivo alprazolam (Xanax) e altri potenti farmaci benzodiazepinici si sono dimostrati efficaci nel tratta- mento del disturbo di panico (Julien, 2005; Pollack, 2005). Sembra che le benzodiazepine agiscano indiret-

tamente sul disturbo, influenzando l’attività della nora-

drenalina a livello cerebrale. I clinici hanno scoperto inoltre che gli stessi antidepressivi e i benzodiazepinici sono d’aiuto nei casi di disturbo di panico con agorafo- bia (Clum, Febbraro, 2001).

4.3.2 Prospettiva cognitiva

I teorici di orientamento cognitivo riconoscono che i fat- tori biologici sono solo una delle cause degli attacchi di panico. Nella loro visione, le vere reazioni di panico av- vengono esclusivamente nelle persone che fraintendono gli eventi fisiologici che si verificano a livello fisico. I trattamenti di tipo cognitivo mirano quindi a correggere questi fraintendimenti.

La spiegazione cognitiva: fraintendere le sensazioni fisiche

I teorici cognitivisti ritengono che le persone che tendo- no a farsi prendere dal panico potrebbero essere ipersen- sibili nei confronti di alcune sensazioni fisiche; quando provano tali sensazioni all’improvviso le interpretano erroneamente come segnali di una catastrofe medica (Casey et al., 2004). Anziché attribuire la causa probabi- le di tali sensazioni a «qualcosa che ho mangiato» o a «una discussione con il mio capo», le persone inclini al panico sono sempre più angosciate e temono di perdere il controllo, la catastrofe, non riescono a vedere le cose con obiettività e precipitano rapidamente nel panico. Per esempio, molte persone con disturbo di panico sembrano respirare rapidamente ma in modo superficiale, ossia vanno in iperventilazione nelle situazioni di stress. La respirazione anomala li porta a pensare di essere in peri- colo di soffocare e vanno nel panico (Dratcu, 2000). Ta- li soggetti sono quindi portati a pensare che queste e al- tre sensazioni «pericolose» possano ripresentarsi in qualsiasi momento e sono quindi costantemente in allar- me riguardo a futuri attacchi di panico.

Nei challenge test biologici i ricercatori producono

un’iperventilazione o altre sensazioni biologiche tramite la somministrazione di farmaci o dando istruzioni ai par- tecipanti di respirare, fare attività fisica o semplicemente di pensare in certo modo. Non sorprende che i parteci- panti con disturbo di panico provino durante questi test maggiore angoscia dei partecipanti che non hanno que- sto disturbo, in particolare quando pensano che le sensa- zioni fisiche che provano siano pericolose o al di là del loro controllo (Masdrakis, Papakostas, 2004).

Perché alcune persone tendono a dare interpretazioni erronee delle proprie sensazioni fisiche? Una possibilità

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 126-130)

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