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I NEURONI MIRROR

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 34-36)

All’inizio degli anni Novanta l’Istituto di Fisiologia dell’Uni- versità di Parma diretto da Giacomo Rizzolatti ha rilevato, attraverso una serie di ricerche, la presenza, nella corteccia premotoria dei macachi (F5), di una classe di neuroni che si attiva non solo quando la scimmia afferra o manipola un oggetto, ma anche quando osserva le stesse azioni eseguite da altri (G. Rizzolatti et al., 1996). È stato evidenziato che l’azione osservata dal macaco doveva consistere nell’intera- zione tra la mano dell’agente e un oggetto poiché la sem- plice osservazione visiva di un oggetto non evocava alcuna risposta neuronale.

In una prima serie di esperimenti (C. Umiltà et al., 2001) i neuroni specchio dell’area F5 sono stati studiati in due con- dizioni sperimentali diverse:

1. La scimmia poteva vedere l’azione nella sua interezza: una mano che afferra un oggetto.

2. La stessa azione era oscurata nella sua parte terminale, quella cioè in cui la mano dello sperimentatore interagi- va con l’oggetto. La scimmia sapeva che l’oggetto ber- saglio dell’azione era nascosto dietro uno schermo, ma non poteva materialmente vedere la mano che afferrava l’oggetto.

In questa seconda situazione sperimentale, nonostante l’im- pedimento visivo, più della metà dei neuroni registrati ha continuato a rispondere anche nella condizione oscurata. Attraverso la simulazione dell’azione nel cervello del macaco che osservava, anche la parte non vista dell’azione ha potu- to essere ricostruita e il suo scopo essere compreso implici- tamente.

Da questi esperimenti emerge che l’osservazione di un’azio- ne induce l’attivazione dello stesso circuito nervoso deputa- to a controllarne l’esecuzione e quindi l’automatica simula- zione della stessa azione nel cervello dell’osservatore. Questo meccanismo dunque potrebbe essere alla base di una com- prensione implicita delle azioni altrui. Studi successivi (E. Kohler et al., 2002; P. F. Ferrari et al., 2003) hanno dimostra- to l’attivazione di neuroni specchio durante l’ascolto di un

suono prodotto da una determinata azione, o durante l’os- servazione di movimenti della bocca ed espressioni facciali eseguite dallo sperimentatore di fronte alla scimmia (neuro- ni specchio audio-visivi e comunicativi).

Nonostante nell’uomo non siano mai state registrate attivi- tà di singoli neuroni appartenenti al sistema mirror, una serie di dati convergenti derivanti da esperimenti neurofisio- logici, comportamentali e di brain imaging, può essere con- siderata una prova indiretta dell’esistenza di questo sistema anche nel cervello umano. In particolare recenti studi di ri- sonanza magnetica funzionale (fMRI) condotti su soggetti adulti hanno dimostrato che i neuroni specchio sarebbero attivati, oltre che dall’osservazione di azioni eseguite con la mano, anche dall’osservazione di movimenti eseguiti da al- tri organi effettori come la bocca e il piede (G. Buccino et al., 2001). L’osservazione di azioni semplici eseguite con le dita (M. Iacoboni et al., 1999), ma anche l’apprendimento imitativo di complesse sequenze di atti motori (G. Buccino et al., 2004) implicherebbe l’attivazione di questo sistema neuronale.

Le recenti ricerche sono concordi nel considerare il sistema

mirror, sia nell’ambito dello sviluppo infantile che delle neu-

roscienze, come il substrato neuronale dell’intersoggettività, intesa nella sua accezione più ampia come l’insieme com- plesso dei modi in cui due menti si relazionano, si sintoniz- zano, rompono e riparano la sintonizzazione. Se ipotizziamo l’esistenza del sistema mirror anche nel cervello umano, pos- siamo considerare la comprensione di azioni altrui e l’attri- buzione d’intenzioni come due fenomeni collegati, sostenu- ti dallo stesso meccanismo funzionale, definito da V. Gallese simulazione incarnata:

In contrasto con quanto affermato dalla scienza cogniti- va classica, la comprensione di un’azione e l’attribuzione d’intenzioni – almeno d’intenzioni semplici – non sem- brano appartenere a domini cognitivi diversi, ma entram- bi concernono meccanismi di simulazione incarnata so- stenuti dall’attivazione di catene di neuroni specchio lo- gicamente collegate (Ibidem, p. 553).

dello per attivare i propri circuiti cerebrali secondo sche- mi che andranno a stratificarsi nella sua memoria impli- cita, non dichiarativa. Questo tipo di memoria, teorizza- to dagli autori dell’Infant Research, è specifico delle aree subcorticali (amigdala, regioni limbiche, nuclei del- la base, corteccia motoria e percettiva) e immagazzina le protoconversazioni in cui ancora non è presente il lin- guaggio; al «cosa» si sostituisce il «come» avviene una relazione, in termini di ritmo, intensità e forma, grazie alla memorizzazione delle rappresentazioni degli stati viscerali, somatici e delle sensazioni corporee e delle loro variazioni interne in base ai cambiamenti dell’am- biente.

Secondo questo modello evolutivo gerarchico il siste- ma limbico, organizzato in tre livelli (amigdala, cingolo anteriore, insula orbitofrontale), permette un tipo di ela- borazione soggettiva degli stimoli emotivi provenienti dal mutevole ambiente esterno. Una regolazione affetti- va funzionale e affettivamente significativa garantisce il passaggio dell’informazione a livelli sempre più com- plessi d’integrazione: inizialmente sperimentati come rappresentazioni corporee, in forma di sensazioni disor- ganizzanti, gli affetti vengono successivamente interna- lizzati nei sistemi superiori e percepiti come stati sogget- tivi condivisibili a livello relazionale e modulabili in termini di durata e intensità. L’elaborazione di tipo se- mantico avverrà, a questo punto, grazie alla trasmissione dell’informazione emotiva all’emisfero sinistro, me- diante le interconnessioni del corpo calloso.

Tutte queste informazioni sensoriali, connotate affet- tivamente e integrate come stati soggettivi discreti, an- dranno a formare una mappa comprensiva e integrata dello stato del corpo che indurrà condizioni di consape- volezza più coerenti e complessi: un adeguato conteni- mento da parte del caregiver dei contenuti pre-simbolici caratterizzanti i vissuti emotivi del bambino, è fonda- mentale per il passaggio da forme di rappresentazione basate esclusivamente sul corpo a rappresentazioni ge- neralizzate, proprie e dell’altro, presupposto fondamen- tale per la formazione del Sé. Durante la fase d’intersog- gettività secondaria, infatti, che si sviluppa intorno ai sei mesi del bambino, questi contenuti sempre più organiz- zati e consapevoli andranno a formare la memoria di ti- po esplicito, semantica e autobiografica o episodica, in concomitanza con la maturazione di specifiche aree ce- rebrali (ippocampo, corteccia orbito-frontale).

Un’insufficiente stimolazione dell’emisfero destro e un basso e disorganizzato livello di sintonizzazione af- fettiva, tutti fattori dovuti a un ambiente carente, inade- guato o traumatizzante, non permettono un funzionale processo di elaborazione dei contenuti emotivi impliciti nella relazione e non consentono la formazione della ca- pacità di autoregolazione, in termini di modulazione d’intensità e durata degli affetti. Anche la mentalizzazio- ne, intesa come capacità di rappresentare internamente Il significato delle esperienze altrui è compreso non

in virtù di una spiegazione ma grazie a una compren- sione diretta, per così dire, dall’interno (Gallese, 2006, p. 543).

Nel box I neuroni mirror viene trattata la genesi di

questa scoperta e le sue possibili applicazioni nell’ambi- to della ricerca.

Un altro contributo all’area d’interdisciplinarietà fra le teorie psicoanalitiche e le ricerche neuroscientifiche è costituito dal corpus teorico di Allan Schore, autore che recentemente si è occupato di indagare i correlati neuro- biologici della sintonizzazione affettiva in atto tra madre e bambino durante la fase d’intersoggettività primaria.

L’attenzione di Schore è principalmente focalizzata sull’emisfero destro del cervello che, secondo gli studi recenti che indagano le specificità funzionali dei due emisferi, le loro asimmetrie e lateralizzazioni, è quello deputato all’elaborazione olistica e parallela, mentre quello sinistro è analitico e lavora con modalità sequen- ziali. L’emisfero destro è definito «cervello emotivo» e raggiunge la sua massima crescita durante i primi diciot- to mesi di vita del bambino (è noto come la corteccia destra si sviluppi più precocemente di quella sinistra), assumendo un ruolo dominante nei primi tre anni. Allo stesso modo il cervello della madre, a causa delle modi- ficazioni ormonali in atto durante la gravidanza e il puerperio, subendo una sorta di regressione, tende a usa- re in questa fase soprattutto la sua parte destra.

L’emisfero destro del bambino sarebbe così sintoniz- zato, dal punto di vista psicobiologico con l’output che deriva dall’emisfero destro della madre, determinando l’elaborazione delle informazioni emotive e nella comu- nicazione non verbale.

Holding: termine introdotto da Winnicott per definire la capacità della madre di fungere da contenitore delle angosce del bambino.

In sintonia con il concetto winnicottiano di holding, possiamo infatti evidenziare come molti primati e la maggior parte delle donne umane tendano a tenere in braccio i loro piccoli dalla parte sinistra del corpo: in questo modo l’immagine del bambino è collocata nell’emiretina visiva dell’emisfero destro.

Durante le interazioni faccia a faccia e nelle proto- conversazioni caratteristiche dell’intersoggettività pri- maria, l’emisfero destro del bambino – dominante nel riconoscimento del volto materno e nell’elaborazione delle informazioni visivo-emozionali e prosodiche – si sincronizza con l’emisfero destro della madre, a sua vol- ta deputato alle comunicazioni affettive non verbali e alla produzione di una gestualità improntata alla cura spontanea del piccolo. L’output del cervello della madre è così interiorizzato e utilizzato dal bambino come mo-

operato da parte del caregiver dei loro vissuti percetti- vi e affettivi, non riescono a raggiungere, dal punto di vista evolutivo, un’organizzazione psichica in grado di generare complesse rappresentazioni simboliche di sé e dell’altro (A. Granieri, 2011, p. 80).

Il box L’inconscio tra psicoanalisi e neuroscienze è

dedicato, per concludere, all’esplorazione bifocale del concetto psicoanalitico d’inconscio: l’intrecciarsi fra psicoanalisi e neuroscienze nello studio di questo con- cetto apre prospettive ricche e fruttuose per l’evoluzione della clinica, in termini di ricerca e soprattutto d’inter- vento terapeutico.

gli stati mentali propri e altrui, risulta compromessa dal- la relazione con una figura di accudimento non adegua- tamente sintonizzata con gli stati emotivi del bambino, negligente o disorganizzante:

Nei casi in cui il rispecchiamento emotivo del caregi- ver è deficitario o addirittura contraddittorio (come nei casi di diniego da parte dell’adulto del vissuto emotivo del bambino), si assiste a una marcata diffi- coltà a riconoscere e rappresentare dal punto di vista simbolico i vissuti affettivi che, pertanto, vengono percepiti come eventi angosciosi e altamente disorga- nizzanti. Questi bambini, a causa del disconoscimento

L’INCONSCIO TRA PSICOANALISI E NEUROSCIENZE

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 34-36)

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