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LA VERITÀ, TUTTA LA VERITÀ, NIENT’ALTRO CHE LA VERITÀ Nei film, i criminali messi sotto torchio dalla polizia mostra-

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 96-98)

no la loro colpevolezza in quanto sudano, tremano, impre- cano o hanno tic nervosi in volto. Quando poi vengono collegati al poligrafo (la macchina della verità), gli aghi bal- zano vistosamente su e giù sulla carta. È un’immagine sedi- mentata in noi dagli anni della Prima guerra mondiale, quan- do alcuni clinici diedero vita alla teoria secondo la quale una persona che mente mostra dei cambiamenti tipici e sistema- tici nella respirazione, traspirazione e battito cardiaco (Mar- ston, 1917).

Il rischio nell’affidarsi al test al poligrafo, secondo gli esper- ti, sta nel fatto che non funziona bene come dovrebbe (Ia- cono, 2008; Vrij, 2004). Si tratta di un fatto non noto all’opinione pubblica sino alla metà degli anni Ottanta, quando la American Psychological Association riferì ufficial- mente che i poligrafi erano spesso imprecisi e il Congresso degli Stati Uniti decise di limitarne l’uso nei processi penali e nei colloqui di assunzione (Krapohl, 2002). Secondo gli

studi, in media 8 risposte sincere su 100 sono definite men- zogne al test con la macchina della verità (Raskin e Honts, 2002; MacLaren, 2001). Provate a immaginare, dunque, quante persone innocenti potrebbero essere condannate se i risultati al poligrafo fossero considerati prova valida nei processi penali.

In base a questi risultati, oggi il poligrafo è meno utilizzato e meno considerato di un tempo. Ad esempio, attualmente pochi tribunali ammettono i dati del poligrafo come prova di colpevolezza (Daniels, 2002). Tuttavia l’esame al poligra- fo è tutt’altro che caduto in disuso. La FBI continua a usarlo normalmente; le commissioni per il rilascio sulla parola e gli uffici per il rilascio in libertà vigilata lo utilizzano per decide- re se rilasciare persone condannate; infine, nel campo delle assunzioni nel settore pubblico (ad esempio per chi entra in polizia), l’uso del’esame al poligrafo può essere effettiva- mente in aumento (Kokish et al., 2005).

sono a volte in grado di rilevare piccole anomalie cere- brali.

I neurologi hanno pertanto messo a punto alcuni test neuropsicologici, meno diretti ma talora più sensibili,

che misurano la performance cognitiva, percettiva e mo- tramite RMF sono molto più chiare rispetto a quelle ri-

cavate con la PET, la risonanza magnetica funzionale ha trovato un enorme applicazione tra gli studiosi dell’atti- vità cerebrale sin da quando è stata inventata, nel 1990.

Sebbene ampiamente utilizzate, queste tecniche non

WAIS-R

Questo test di intelligenza, molto diffuso, è composto da 11 prove (6 verbali e 5 di performance), che valutano diverse aree del funzionamento cognitivo:

Informazione (prima prova verbale). Valuta le capaci-

tà generali del soggetto (background culturale e appren- dimento remoto) e l’estensione delle sue conoscenze, la curiosità intellettuale, l’adattamento all’ambiente sociale e la memoria a lungo termine.

Completamento di figure. Valuta la capacità di diffe-

renziare i dettagli essenziali da quelli non essenziali, alla base della formazione dei concetti (in questo caso visivi).

Memoria di cifre. Valuta l’attenzione, la memoria udi-

tiva a breve termine e indirettamente la capacità di non distrarsi e di mantenere la concentrazione, la flessibilità (o la rigidità) del soggetto di fronte alla richiesta di cam- biamento di strategia i memorizzazione.

Riordinamento (o organizzazione) di storie figurate.

Valuta la capacità di anticipare e pianificare le conseguen- ze di atti e di situazioni sociali, la capacità di selezionare, organizzare e attribuire enfasi appropriata a fatti e rela- zioni; la capacità di comprendere i nessi causa-effetto.

Vocabolario. Valuta il background culturale, l’appren-

dimento remoto, la curiosità intellettuale e la memoria a lungo termine. Fornisce inoltre informazioni sulle ca- pacità linguistiche, sia espressive sia ricettive, e di ver- balizzazione.

Disegno con i cubi. Valuta la capacità di astrazione, di

analisi e di sintesi delle relazioni spaziali e la coordina- zione visuo-motoria.

Ragionamento aritmetico. Valuta la concentrazione.

Dà informazioni sul background culturale e l’appren- dimento remoto, sulla memoria di lavoro, sul pensiero astratto e sulla capacità di ragionamento su base nu- merica e sulla velocità di manipolazione dei concetti nu- merici, il ragionamento logico, la capacità di astrazione e di analisi.

Ricostruzione di oggetti (o di figure). Valuta la capaci-

tà di anticipazione delle relazioni tra le parti, la possibilità di beneficiare del feedback sensomotorio e la coordina- zione visivo-motoria (insieme a Disegno con i cubi e ad Associazione di simboli a numeri), in particolare l’appren- dimento di tipo produttivo.

Comprensione. Valuta il grado di padronanza dell’in-

dividuo sull’ambiente sociale, la capacità di analizzare concettualmente una situazione concreta (capacità sot- tesa alla funzione di giudizio).

Associazione di simboli a numeri (o simboli numeri- ci). Valuta la coordinazione visuo-motoria e in particolare

l’apprendimento di tipo imitativo di materiale nuovo. È una buona stima della capacità del soggetto di passare da un pattern cognitivo a un altro.

Analogie. Valuta la formazione dei concetti verbali, il

grado in cui il soggetto ha assimilato somiglianze e dif- ferenze tra oggetti e la sua capacità di categorizzarli. L’analisi della WAIS-R prevede la considerazione di alcuni elementi essenziali, fra cui: il Quoziente Intellettivo Totale (QIT), il QI verbale (QIV) e quello di performance (QIP) e l’analisi della discrepanza.

Il concetto di QI è stato formulato per la prima volta da Stern nel 1914. Tale QI veniva però calcolato attraverso il rappor- to tra Età Mentale/Età cronologia X 100 e pertanto non permetteva di effettuare confronti tra livelli diversi di età. Per questo motivo Wechsler ha successivamente introdotto il concetto di QI di deviazione. Tale QI si basa sul presupposto che l’intelligenza sia distribuita normalmente in una popo- lazione. Ha media di 100 e deviazione standard di 15 per ogni gruppo di età così da rendere costante la variabilità dei QI da una classe di età all’altra e da permettere il confronto tra la prestazione di un soggetto e quella dei soggetti della stessa età.

Oltre il QI totale occorre prendere in considerazioni anche il QI verbale e quello di performance (con le relative conside- razioni sull’eventuale discrepanza fra i due).

Nello specifico il QI verbale riflette la capacità di compren- sione e apprendimento, la fluidità verbale e la possibilità di utilizzare il background culturale ed educativo; il QI di per-

formance offre invece un’indicazione dell’integrità e dell’ef-

ficienza dell’organizzazione percettiva, dell’abilità di elabo- razione del materiale visivo e della possibilità di utilizzare immagini visive nel pensiero.

La differenza tra il QI verbale e quello di performance, defi- nita discrepanza, permette di descrivere il tipo d’intelligenza in relazione all’età, alla cultura e all’attività professionale. Sono da ritenere significative solo le differenze uguali o su- periori ai 10 punti.

re anche un’elevata validità: nei bambini, i punteggi di QI spesso rispecchiano i loro risultati scolastici, ad esempio.

I test di intelligenza hanno comunque anche alcuni limiti essenziali. Certi fattori che nulla hanno a che fare con l’intelligenza, come la bassa motivazione o l’ansia elevata, possono fortemente influenzare la performance nei test (Gregory, 2004). Inoltre, i test intellettivi posso- no contenere dei pregiudizi culturali nel linguaggio usa- to, o contenere delle prove che favoriscono chi appartie- ne a un determinato ambiente sociale piuttosto che a un altro (D. Y. Ford, 2008; Edwards, Oakland, 2006). Ana- logamente, i membri di certe minoranze possono avere scarsa esperienza con questo tipo di prove o possono tro- varsi a disagio di fronte a esaminatori appartenenti al gruppo etnico dominante. In ogni caso, i loro risultati nel test ne possono risentire.

3.3

DIAGNOSI: LA SINDROME DEL

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