Il modello cognitivo ha avuto origine nei primi anni Ses- santa (Beck, 1967; Ellis, 1962); secondo tale modello una caratteristica tipica dell’uomo è quella di elaborare le informazioni costruendo delle rappresentazioni di sé, de- gli altri e del mondo. Tali rappresentazioni sono alla base dei processi cognitivi che comprendono interpretazioni, credenze, pensieri e comportamenti, a loro volta valuta- bili e modificabili. A partire dalle informazioni sensoriali ricevute e dai processi legati alla memoria autobiografica a lungo termine e al ragionamento di ordine superiore, l’individuo costruisce le proprie interpretazioni della re- altà in forma di schemi cognitivi che influiranno sui suoi comportamenti rendendoli più o meno adattativi. Secon- do questo approccio, il cambiamento sia emotivo sia comportamentale si originerebbe tramite il cambiamento
citi e verbalizzabili, a discapito degli stati emotivi e dei meccanismi impliciti sostenuti dalle relazioni interper- sonali.
A partire dagli anni Ottanta, infatti, il cognitivismo clinico ha conosciuto nuovi sviluppi che hanno contribu- ito a generare una nuova ondata di terapie cognitive at- tente in modo particolare al rapporto tra pensiero e dina- miche emozionali. Mentre la terapia cognitiva standard, in particolare la Rational-Emotive Therapy (RET, Ellis, Dryden, 2007), mirava a modificare le credenze patoge- ne intervenendo indirettamente sulle emozioni quali con- seguenze della cognizione, la nuova ondata della terapia cognitiva si propone di concentrarsi in primo luogo sulle emozioni dolorose del paziente come processi mentali impliciti, sul loro ruolo e sulla loro influenza sui processi espliciti. A un modello di intervento direttivo e psicope- dagogico se ne sostituisce uno più attento alle esperienze vissute e all’importanza del funzionamento interpersona- le. Tra le nuove forme di terapia cognitivo-comporta- mentale è da menzionare la Dialectical-Behavior The- rapy (DBT), introdotta da Marsha Linehan (1993) per il trattamento del disturbo borderline di personalità corro- borata da numerosi e solidi studi di out-come.
L’attenzione alle esperienze vissute e all’importanza del funzionamento interpersonale è alla base degli studi teorici sui processi metacognitivi e sulle disfunzioni ad essi legati (Wells, 2000, 2008). In ambito clinico tali stu- di si sono rivelati utili nell’indagare i processi cognitivi di attribuzione di significato all’esperienza e alle rela- zioni interpersonali, cogliendo i meccanismi disfunzio- nali e patologici. In particolare, nel contesto italiano, la
terapia metacognitiva-interpersonale (Dimaggio, Seme-
rari, 2003), applicata al trattamento dei disturbi di perso- nalità, si propone di potenziare le abilità metacognitive del paziente attraverso l’identificazione e la gestione dei processi mentali problematici e delle dinamiche relazio- nali disfunzionali.
Un ulteriore sviluppo del modello cognitivo ha preso piede a partire dall’incontro con la Teoria dell’Attacca- mento (Bowlby, 1988), ispirata alle scienze empiriche, agli studi etologici e alle teorie evoluzioniste. Tale aper- tura in psicoterapia cognitiva ha permesso di approfon- dire lo studio della storia di sviluppo e delle dinamiche interpersonali della persona, di focalizzare l’attenzione sui processi mentali impliciti alla base delle rappresenta- zioni cognitive e di riflettere dunque, su questa base, in modo più specifico sulla modulazione della relazione terapeutica.
In Italia i contributi di diversi autori hanno permesso di ampliare la cornice concettuale della terapia cogniti- vo-comportamentale in senso costruttivista ed evoluzio- nista. La prospettiva post-razionalista di Guidano (1987, 1991) ha messo in luce, tra i vari concetti, l’esistenza di organizzazioni della conoscenza individuale che si strut- turano a partire dai primi scambi interpersonali con le pagnano all’incremento del disagio emotivo, alimentan-
do, in un circolo vizioso, convinzioni distorte e aspetta- tive negative su di sé e sugli altri. Una delle conseguenze di tale meccanismo è proprio l’incapacità di regolare adeguatamente le emozioni e di monitorare i propri stati mentali, nonché di riflettere sugli stati mentali altrui.
È importante sottolineare che l’atteggiamento del te- rapeuta cognitivo non è tanto interpretativo delle creden- ze e delle rappresentazioni cognitive del paziente, quan- to piuttosto cooperativo nell’incoraggiare un’esplorazio- ne degli schemi prevalenti di significato e nel negoziare gli obiettivi della terapia. La creazione di una buona al- leanza terapeutica è, infatti, fondamentale per concorda- re gli scopi dell’intervento e per assicurare il rispetto dei compiti stabiliti legati, ad esempio, all’esposizione gra- duale agli stimoli temuti, come avviene nel trattamento di fobie specifiche e disturbi di panico.
TRA LE RIGHE Hanno detto
«La vita stessa resta sempre la terapia più efficace». Karen Horney, I nostri conflitti interni, 1945.
2.4.3 Valutare il modello cognitivo
Il modello cognitivo ha trovato un vasto riscontro e negli ultimi decenni si è consolidato divenendo un forte para- digma concettuale sia per la ricerca sia per la terapia. Nel complesso, circa il 28% degli psicologi clinici negli Stati Uniti attuali definiscono cognitivo il loro approccio (Prochaska, Norcross, 2007).
Uno dei punti di forza di questo modello consiste nell’aver riportato al centro dell’attenzione i processi cognitivi quali mediatori delle risposte emotive e com- portamentali dell’individuo e responsabili dell’adatta- mento o disadattamento all’ambiente.
Un ulteriore fattore che concorre alla sua validità è la ricerca empirica la quale, grazie a numerosi studi speri- mentali volti a chiarire il ruolo dei meccanismi di distor- sione cognitiva sottostanti i disturbi psicopatologici (In- gram et al., 2007), ha contribuito a mostrare l’efficacia di svariati protocolli di trattamento terapeutico. Infatti, i metodi e le tecniche della terapia cognitivo-comporta- mentale si sono dimostrati utili ed efficaci in una grande varietà di condizioni psicopatologiche (Beck, Weishaar, 2008), quali ad esempio i disturbi di personalità, l’abuso di sostanze, il disagio da dolore cronico, evidenziando la versatilità di questo tipo di procedure.
Tuttavia, il modello cognitivo standard ha riscontrato alcuni limiti che hanno costituito motivo di insoddisfa- zione tra i suoi esponenti. È stata rilevata la mancanza di unitarietà tra le teorie sul funzionamento mentale e sulla pratica clinica, nonché uno sbilanciamento nel focaliz- zare l’attenzione su razionalità e processi cognitivi espli-
2.5