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11 SETTEMBRE 2001: RIPERCUSSIONI PSICOLOGICHE L’11 settembre 2001 gli Stati Uniti hanno subito l’atto d

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 152-156)

terrorismo più catastrofico della loro storia, quando quattro aerei commerciali furono sequestrati e dirottati: due di essi si abbatterono sulle torri gemelle del World Trade Center di New York e uno sul Pentagono, a Washington. Gli studi condotti a partire da quel tragico giorno hanno confermato ciò che, secondo gli psicologi, sarebbe accaduto: nel periodo successivo all’11 settembre molte persone riportarono dan- ni psicologici immediati e a lungo termine, da reazioni allo stress di breve durata come shock, terrore e rabbia, fino a disturbi psicologici persistenti, come il disturbo post-trauma- tico da stress (Galea et al., 2007; Tramontin, Halpern, 2007). In uno studio condotto la settimana successiva all’attacco terroristico furono intervistati 560 adulti selezionati in tutto il Paese in modo casuale. Il 44% di essi riferì considerevoli sintomi da stress (Schuster et al., 2001). Le reazioni da stress

maggiori furono riferite da coloro che abitavano più vicini al luogo del disastro, ma milioni di altre persone che erano rimaste incollate al televisore per tutta la giornata hanno riferito a loro volta reazioni e disturbi da stress.

Gli studi di follow-up indicano che molte di queste persone continuano a lottare con le proprie reazioni da stress causa- te da quell’atto (Tramontin, Halpern, 2007; Adams, Bosca- rino, 2005; Blanchard et al., 2005). In realtà anche a distan- za di anni dall’attacco, il 42% di tutti gli adulti degli Stati Uniti e il 70% di tutti gli abitanti adulti di New York riferisce di avere molta paura degli atti di terrorismo; il 23% di tutti gli americani adulti afferma di sentirsi meno sicuro in casa propria; il 15% di tutti gli americani adulti consuma più al- colici di prima come conseguenza dell’attacco; e il 9% degli abitanti adulti di New York manifesta un DSPT, rispetto a una media nazionale del 3,5%.

ra, delle vittime di stupro, dei sopravvissuti ai campi di concentramento e ad altre gravi situazioni di stress (Bu- rijon, 2007; Delahanty et al., 2005).

Gli studi sull’encefalo hanno rivelato che una volta che si è instaurato un disturbo da stress, gli individui col- piti percepiscono un ulteriore stato di allarme biochimi- co, e tale continua sollecitazione può col tempo danneg- giare certe aree del cervello (Carlson, 2008; Mirzaei et al., 2005). In particolare vengono colpite due aree cere- brali, l’ippocampo e l’amigdala. Di norma l’ippocampo è implicato nei processi della memoria e nella regolazio- ne degli ormoni dello stress. Chiaramente un ippocampo disfunzionale può avere un ruolo nella produzione di ri- cordi intrusivi e lo stato di allarme costante che si ritro- vano nel disturbo post-traumatico da stress (Bremner et al., 2004). In modo analogo, come abbiamo osservato nel Capitolo 4, l’amigdala entra nel controllo dell’ansia e di altre reazioni emotive. Assieme all’ippocampo, è attiva inoltre nella produzione delle componenti emotive della memoria. Ecco quindi che un’amigdala disfunzio- nale può essere implicata nella produzione dei sintomi emotivi ripetuti e degli intensi ricordi emotivi provati da chi ha un disturbo post-traumatico da stress (Protopope- scu et al., 2005). In breve, lo stato di allarme prodotto da eventi traumatici eccezionali può portare al disturbo da stress in alcune persone, e il disturbo da stress può pro- vocare ulteriori alterazioni cerebrali, fissando ancora di più il disturbo.

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Disturbo di adattamento

In un punto intermedio tra il coping efficace e i disturbi da stress si colloca una categoria diagnostica detta di-

sturbo di adattamento.

Sebbene il disturbo di adattamento non presenti i livel- li estremi di malessere che caratterizzano i disturbi da stress, esso provoca un notevole disagio e interferisce in modo significativo con il funzionamento quotidiano della persona.

La diagnosi riguarda fino al 30% di tutti i pazienti in trattamento ambulatoriale. Esso riguarda un numero di richieste di risarcimento tramite assicurazione sani- taria [negli Stati Uniti] superiore rispetto a qualsiasi al- tro disturbo psicologico, forse perché tale diagnosi è meno stigmatizzante di molte altre categorie.

Può anche accadere che il disturbo post-traumatico da stress porti alla trasmissione di anomalie biochimiche nei figli delle persone con questo disturbo. Un gruppo di ricercatori ha studiato il livello di cortisolo nelle donne che all’epoca degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 erano in stato di gravidanza e avevano sviluppato un DSPT (Yehuda, Bierer, 2007). Queste donne non pre- sentavano soltanto livelli di cortisolo superiori alla me- dia, ma questi erano presenti anche nei loro bambini, comprendono le diverse migliaia di vittime che sono ri-

maste nei rispettivi Paesi anche dopo essere state sotto- poste a tortura.

Gente di ogni ceto sociale viene sottoposta a tortura in tutto il mondo, dai sospetti terroristi agli studenti atti- visti politici, fino ai membri di diversi gruppi di mino- ranza religiosa, etnica e culturale. Le tecniche utilizzate possono comprendere la tortura fisica (le persone ven- gono picchiate in vario modo, sottoposte a waterboar-

ding, ossia tenute in una posizione con i piedi rialzati ri-

spetto alla testa, legate a una tavola, con il volto coperto da un pezzo di tessuto: in queste condizioni, viene fatta scorrere acqua su bocca e naso per dare la sensazione di essere sul punto di affogare; oppure ancora torturate con scosse elettriche), la tortura psicologica (minacce di morte, false esecuzioni, abuso verbale, umiliazione),

tortura sessuale (stupro, atti di violenza sui genitali,

umiliazione sessuale) e tortura tramite deprivazione (del sonno, sociale, nutrizionale, medica o dell’igiene).

Le vittime di tortura spesso escono da queste prove riportando danni a vari livelli, da cicatrici e fratture fino a problemi neurologici e dolore cronico. Molti teorici ritengono però che gli effetti psicologici latenti della tor- tura siano ancora più problematici (Okawa, Hauss, 2007; Basoglu et al., 2001). Sembra che fra il 30 e il 50% delle vittime di tortura manifesti un disturbo post-traumatico da stress (Basoglu et al., 2001). Anche in coloro che non sviluppano un disturbo conclamato, sono comuni sinto- mi più sfumati come incubi, flashback, ricordi repressi, spersonalizzazione, difficoltà di concentrazione, attacchi di collera, tristezza e pensieri suicidi (Okawa, Hauss, 2007; Okawa et al., 2003; Ortiz, 2001).

5.2.2 Perché si sviluppa un disturbo da stress psicologico?

È naturale che un trauma eccezionale possa causare un disturbo da stress. L’evento stressante, di per sé, non è sufficiente a spiegare del tutto ciò che accade. Chiunque sperimenti un trauma grave ne rimarrà certamente colpi- to in qualche modo, ma solo alcune persone sviluppano un disturbo da stress (Koch, Haring, 2008). Per com- prendere meglio come si instaurano questi disturbi, gli studiosi hanno osservato i processi biologici dei super- stiti, le loro personalità, le esperienze nell’infanzia, il sistema di supporto sociale, il retroterra culturale e la gravità dei rispettivi traumi.

Fattori biologici e genetici

Dagli studi è emerso che gli eventi traumatici provocano alterazioni fisiche nel cervello e nell’organismo che pos- sono causare gravi reazioni da stress e, in alcuni casi, veri e propri disturbi da stress. Ad esempio è stata ri- scontrata un’attività anomala dell’ormone cortisolo e dell’ormone/neurotrasmettitore noradrenalina nell’uri- na, nel sangue e nella saliva dei soldati sui teatri di guer-

ro che hanno avuto familiari con disturbi psicologici; coloro che da bambini hanno subito aggressioni, abusi, hanno vissuto un evento catastrofico o avevano meno di dieci anni all’epoca della separazione o del divorzio dei genitori (Koch, Haring, 2008; Koopman et al., 2004).

Supporto sociale

Le persone che non hanno una rete di supporto sociale e familiare solida tendono più di altre a sviluppare un di- sturbo da stress in seguito a un evento traumatico (Cha- ruvastra, Cloitre, 2008; Ozer, 2005). Le vittime di vio- lenza sessuale che si sentono amate, accudite, apprezza- te e accettate da amici e familiari recuperano più facil- mente. Lo stesso si può dire delle persone trattate con dignità e rispetto dal sistema di giustizia penale (Mur- phy, 2001). Viceversa, dagli studi clinici condotti in me- rito è emerso che uno scarso supporto sociale contribui- sce allo sviluppo di disturbi post-traumatici da stress in alcuni veterani di guerra (Charuvastra, Cloitre, 2008).

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Genere e disturbo post-traumatico da stress Molti studiosi ritengono che il tasso di disturbo post- traumatico da stress, più diffuso tra le donne, sia colle- gato al tipo di traumi violenti, ossia aggressioni inter- personali come lo stupro o l’abuso sessuale (Russo, Tartaro, 2008; Olff et al., 2007).

Fattori multiculturali

I ricercatori clinici sono sempre più convinti che negli Stati Uniti il tasso di disturbo post-traumatico da stress variabile presenti delle differenze tra un gruppo etnico e l’altro. Sembra, in particolare, che gli ispanoamericani abbiano una vulnerabilità maggiore rispetto a tutti gli altri gruppi culturali (Koch, Haring, 2008; Galea et al., 2006). Alcuni dati al riguardo: (1) Gli studi sui veterani della guerra del Vietnam e in Iraq hanno riscontrato un tasso maggiore di disturbo post-traumatico da stress tra i veterani ispanoamericani che tra i veterani americani bianchi e afroamericani (RAND Corporation, 2008; Kulka et al., 1990). (2) Nelle indagini sugli agenti di po- lizia, gli agenti ispanoamericani presentano in genere sintomi da stress riferiti al proprio lavoro più gravi ri- spetto ai colleghi non ispanici (Pole et al., 2001). (3) Dai dati sulle vittime degli uragani è emerso che gli ispanoa- mericani tendono ad avere un tasso di DSPT significati- vamente maggiore rispetto alle vittime di altri gruppi etnici (Perilla et al., 2002). (4) Le indagini condotte sugli abitanti di New York nei mesi successivi agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 hanno rilevato che il 14% degli abitanti ispanoamericani ha sviluppato un DSPT, rispetto al 9% degli afroamericani e al 7% degli americani bianchi (Galea et al., 2002).

Ma perché gli ispanoamericani sarebbero più vulne- nati successivamente all’attacco; questo fa pensare che i

bambini abbiano ereditato una predisposizione a svilup- pare lo stesso problema.

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Allenarsi alla resilienza

Sapendo che una personalità «forte», con capacità di adattamento, è d’aiuto nell’evitare di sviluppare un di- sturbo da stress, oggi esistono molti corsi dedicati all’allenamento alla resilienza.

Molti studiosi ritengono che gli individui che mostra- no reazioni biochimiche allo stress particolarmente forti abbiano più probabilità di sviluppare disturbi da stress (Carlson, 2008; Burijon, 2007). Ma perché alcune perso- ne sarebbero più soggette di altre a tali reazioni biologi- che? È possibile, per prima cosa, che tale tendenza sia ereditaria, come indicano gli studi madre-figlio a cui ab- biamo accennato più sopra. Ciò sembra trovare confer- ma negli studi condotti su migliaia di gemelli impegnati in missioni di guerra: se un gemello sviluppa sintomi da stress in seguito a un combattimento, un gemello identi- co ha più probabilità rispetto a un gemello fraterno di sviluppare lo stesso problema (Koenen et al., 2003; True et al., 1993).

Personalità

Alcuni studi indicano che certe personalità, atteggia- menti e stili nell’affrontare i problemi hanno una mag- giore tendenza a sviluppare disturbi da stress (Burijon, 2007; Chung et al., 2005). Nel periodo successivo all’uragano Hugo, nel 1989, i bambini che erano stati particolarmente ansiosi prima dell’uragano tendevano a manifestare reazioni da stress gravi in misura maggiore rispetto ad altri coetanei (Hardin et al., 2002). La ricerca ha rilevato inoltre che coloro i quali ritengono in genere di non essere in grado di controllare gli eventi negativi della vita, dopo una violenza sessuale o un altro tipo di aggressione violenta tendono a sviluppare disturbi da stress più gravi rispetto a coloro che pensano di avere maggiore controllo sulla propria vita (Taylor, 2006; Bremner, 2002). Analogamente, coloro che in generale trovano difficoltà nell’individuare qualcosa di positivo nelle situazioni spiacevoli hanno meno capacità di adat- tamento rispetto alle persone dotate di resilienza e che in generale riescono a trovare qualcosa di utile anche negli eventi negativi (Bonanno, 2004).

Esperienze infantili

La ricerca ha rilevato che alcune esperienze avute nell’infanzia sembrano favorire il rischio a sviluppare in età adulta disturbi acuti e post-traumatici da stress. Chi ha avuto un’infanzia caratterizzata dalla povertà sembra abbia una maggiore tendenza a sviluppare tali disturbi in presenza di traumi in età adulta. Lo stesso accade a colo-

rare con maggiore distacco le esperienze dolorose e tor- nare a un modo di vivere costruttivo (Taylor, 2010; Ehlers et al., 2005). I programmi d’aiuto per i veterani di guerra con DSPT sono utili per capire come si può af- frontare tale problema.

Trattamento per i veterani di guerra di combattimento

Esistono diverse tecniche terapeutiche utilizzate per ri- durre i sintomi da stress post-traumatico: terapia farma-

cologica, tecniche di esposizione comportamentale, in- sight terapeutico, terapia familiare e terapia di gruppo.

Generalmente si utilizzano approcci combinati, in quan- to nessuno di essi, preso singolarmente, è in grado di ri- durre significativamente tutti i sintomi (De Angelis, 2008; Munsey, 2008).

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Tsunami: una ricaduta socioculturale

Dal 2004 c’è stato un calo dell’afflusso turistico nel Sud-Est asiatico, soprattutto a causa dei timori sul veri- ficarsi di un altro tsunami. Tuttavia, molti villeggianti asiatici si tengono lontani dalle spiagge per una ragio- ne diversa: secondo una superstizione cinese, se i ca- daveri non vengono recuperati e seppelliti degnamen- te, il loro spirito può vagare per il mondo senza posa e addirittura trascinare gli esseri viventi nel regno delle anime, il limbo spirituale (Foreman, 2005).

Per controllare la tensione che molti veterani provano vengono impiegati farmaci antiansia. Inoltre, i farmaci antidepressivi possono ridurre la frequenza di incubi, attacchi di panico, flashback e senso di depressione (Koch, Haring, 2008; Davidson et al., 2005).

Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (EMDR): terapia di esposizione comportamentale in cui il soggetto compie movimenti oculari ritmici (saccadici) laterali mentre nella sua men- te vengono riversate immagini di oggetti e situazioni che normalmente cerca di evitare.

Anche le tecniche di esposizione comportamentale aiutano a ridurre sintomi specifici e hanno spesso porta- to a un miglioramento nell’adattamento generale (Koch, Haring, 2008). Alcuni studi indicano infatti che la tera- pia di esposizione è l’intervento più utile per le persone con disturbi da stress (Wiederhold, Wiederhold, 2005). Questa scoperta ha indotto molti teorici clinici ad affer- mare che qualche tipo di esposizione dovrebbe sempre entrare a far parte del quadro terapeutico. In un caso, l’esposizione intensa o flooding, abbinata al training di rilassamento, è servita a liberare un ex militare trentu- nenne da flashback e incubi che lo riempivano di terrore (Fairbank, Keane, 1982). Il terapeuta ha isolato assieme al veterano alcune scene di combattimento che il sogget- rabili al disturbo post-traumatico da stress rispetto ad

altri gruppi razziali o etnici? Sono state avanzate diverse ipotesi al riguardo. La prima spiegazione è che, come parte del loro sistema di credenze culturali, gli ispanoa- mericani tendono a considerare gli eventi traumatici co- me qualcosa di inevitabile e immodificabile, una rispo- sta di coping che può favorire il rischio di disturbo post- traumatico da stress (Perilla et al., 2002). Una seconda ipotesi suggerisce che l’importanza attribuita nella loro cultura ai rapporti sociali e al sostegno sociale può com- portare un rischio particolare per le vittime ispanoameri- cane quando eventi traumatici le privano, temporanea- mente o per sempre, di rapporti importanti e di reti di sostegno sociale. Infatti, uno studio condotto oltre vent’anni fa ha rivelato che tra i veterani ispanoamerica- ni della Guerra del Vietnam con disturbi da stress, i più gravi erano quelli con rapporti sociofamiliari difficili. (Escobar et al., 1983).

Gravità del trauma

È piuttosto intuitivo che la gravità e la natura degli even- ti traumatici contribuiscono a determinare se verrà svi- luppato un disturbo da stress. Certi eventi possono an- nullare anche un’infanzia rassicurante, un atteggiamento positivo e una rete valida di rapporti sociali (Tramontin, Halpern, 2007). In uno studio sono stati esaminati 253 ex prigionieri durante la Guerra del Vietnam cinque anni dopo il loro rilascio. Circa il 23% rientrava nei criteri della diagnosi clinica, pur essendo tutte persone ben adattate prima della prigionia (Ursano et al., 1981).

In generale, più è grave il trauma e più l’esposizione a esso è diretta, maggiore è la probabilità di sviluppare un disturbo da stress (Burijon, 2007). In particolare, la mutilazione e le gravi ferite fisiche sembrano aumentare il rischio di reazioni da stress, come pure essere testimo- ni del ferimento o dell’uccisione di altre persone (Koren et al., 2005; Ursano et al., 2003).

5.2.3 Come viene trattato dal punto di vista clinico un disturbo da stress psicologico?

Il trattamento può essere molto importante per coloro che sono stati colpiti da un evento traumatico (Taylor, 2010; De Angelis, 2008). In totale, circa la metà di tutti i casi di disturbo post-traumatico da stress migliora entro sei mesi (Asnis et al., 2004). Nei casi restanti i disturbi possono perdurare per anni e, in realtà, più di un terzo dei soggetti con DSPT non risponde al trattamento an- che dopo molti anni (Burijon, 2007).

Le procedure di trattamento attuali per i superstiti che presentano disturbi psicologici dipendono dal tipo di trauma. Si è trattato di combattimento, atto di terrori- smo, molestia sessuale o incidente grave? Tutti i pro- grammi hanno comunque degli obiettivi comuni: aiutare le persone a mettere fine alle reazioni di stress, conside-

ziente compie movimenti laterali e ritmici degli occhi mentre nella sua mente vengono riversate immagini di oggetti e situazioni che normalmente cerca di evitare. Dai case study e dagli studi controllati è emerso che si tratta di una terapia che può rivelarsi utile per le persone con disturbo post-traumatico da stress (Luber, 2009). Molti teorici sostengono che sia la caratteristica di espo- sizione dell’EMDR e non i movimenti oculari a spiegar- ne il successo se applicato a questo disturbo (Lamprecht et al., 2004).

to rivedeva di continuo nella mente. Quindi l’ha aiutato a immaginare nei minimi particolari una di queste scene, incoraggiandolo a soffermarsi sull’immagine fino a che smetteva di provare ansia. Dopo ciascuno di questi eser- cizi di esposizione intensa, il terapeuta chiedeva al vete- rano di passare a un’immagine positiva e lo guidava at- traverso alcuni esercizi di rilassamento.

Un tipo particolare di terapia di esposizione ampia- mente usato è la desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (EMDR), in cui il pa-

IL TRAUMA DA COMBATTIMENTO IN TRIBUNALE

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