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THE PSYCHODYNAMIC DIAGNOSTIC MANUAL (PDM) Il PDM sistematizza il funzionamento di personalità sano e

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 102-106)

disturbato, il funzionamento mentale (Pattern relazionali, modalità di coping e osservazione emotiva e sul comporta- mento) e il Pattern sintomatico e di esperienza soggettiva. Fa riferimento a dimensioni e alla teoria psicoanalitica. Indica una «Tassonomia di persone» per una pianificazione individualizzata del trattamento.

È suddiviso in due parti: la prima è dedicata alla classifica- zione dei disturbi mentali degli adulti, la seconda alla classi- ficazione dei disturbi mentali di bambini e adolescenti. Vi è poi una classificazione dei disturbi mentali e dello sviluppo in neonati e bambini piccoli.

Il PDM considera tre assi:

a. l’Asse P, che valuta Pattern e disturbi di personalità: Rap- presentazione di un continuum di funzionamento; b. l’Asse M, che valuta il Funzionamento mentale: Informa-

zioni, relazioni, affetti, coping e meccanismi di difesa; c. l’Asse S, che valuta Sintomi e preoccupazioni manifeste;

sintomi come descrittori di esperienze emozionali; Sull’Asse P è rappresentato il livello di organizzazione della personalità, in rapporto a diversi punti concettuali: a. Continuum tra personalità e disturbo;

b. Funzionamento psicologico e sofferenza verso se stessi o verso gli altri, stabile nel tempo e nell’esperienza. c. Gravità dei disturbi come fattore specifico; d. Personalità sana;

disturbi di personalità di livello nevrotico; disturbi di personalità di livello borderline.

Sull’Asse P sono indicati diversi Pattern e disturbi di perso- nalità:

a. Disturbi schizoidi di personalità; b. Disturbi paranoidi di personalità;

c. Disturbi psicopatici (antisociali) di personalità; d. Disturbi narcisistici di personalità;

e. Disturbi sadici e sadomasochistici di personalità; f. Disturbi masochistici (autofrustranti) di personalità; g. Disturbi depressivi di personalità;

h. Disturbi somatizzanti di personalità; i. Disturbi dipendenti di personalità; l. Disturbi fobici (evitanti) di personalità; m. Disturbi ansiosi di personalità;

n. Disturbi ossessivo-compulsivi di personalità o. Disturbi isterici (istrionici) di personalità; p. Disturbi dissociativi di personalità; q. Misti/altro.

L’Organizzazione mentale è individuata attraverso: a. Pattern costituzionali – maturativi;

b. Tensione / preoccupazione principale; c. Affetti principali;

d. Credenza patogene; e. Modalità difensive.

Sull’Asse M è rappresentato il Profilo del funzionamento mentale, individuato attraverso:

a. Capacità di regolazione, attenzione e apprendimento b. Capacità di regolazione e intimità

c. Qualità dell’esperienza interna

d. Esperienza, espressione e comunicazione degli affetti e. Capacità di autosservazione

f. Capacità di formare rappresentazioni interne g. Pattern e capacitàdifensive

h. Capacità di differenziazione e integrazione

i. Capacità di costruire o ricorrere a standard e ideali interni Sull’Asse S sono rappresentati i pattern sintomatici: a. Disturbi dell’adattamento

b. Disturbi d’ansia c. Disturbi somatoformi d. Disturbi dell’alimentazione e. Disturbi psicogeni del sonno

f. Disturbi sessuali e dell’identità di genere g. Disturbi dissociativi

h. Disturbi dell’umore i. Disturbi fittizzi

l. Disturbi del controllo degli impulsi m. Disturbi da uso/ dipendenza da sostanze n. Disturbi psicotici

o. Disturbi mentali basati su una condizione medica gene- rale.

Sul funzionamento mentale dei bambini e adolescenti l’im- postazione è analoga, a partire però dall’Asse MCA (MCA, PCA, SCA).

Approfondimento

clinici diagnosticano ad Angela un disturbo depressivo maggiore, essi presumono che un po’ di tempo dopo avrebbe presentato qualche problema del sonno, anche

se al momento non ne ha. Inoltre si aspettano che ri- sponda a trattamenti che si sono rivelati efficaci in altri casi di depressione. Più spesso sono veritiere queste

nalità ci saranno dei cambiamenti nella nuova edizione (Regier et al., 2009), come vedremo nei Capitoli 4 e 13. Il nuovo sistema di classificazione non sarà pubblicato, co- munque, prima del 2012 o forse dopo (Garber, 2008).

3.3.4 Diagnosi ed etichette possono essere dannose?

Anche con dati di valutazione attendibili e categorie di classificazione valide e affidabili, i clinici possono giun- gere a conclusioni erronee (Rohrer, 2005). Come tutti gli esseri umani, sono elaboratori di informazioni difettosi. Gli studi mostrano che sono fortemente influenzati dalle prime informazioni raccolte all’inizio del processo di valutazione (Dawes et al., 2002; Meehl, 1996, 1960). Talvolta attribuiscono troppa importanza ad alcune fonti di informazioni, come ciò che un genitore riferisce su suo figlio, e troppo poca ad altre, come il punto di vista del bambino stesso (McCoy, 1976). Inoltre, il loro giudi- zio può essere falsato da numerosi pregiudizi: di genere, età, razza e condizione socioeconomica, per nominarne solo alcuni (Vasquez, 2007). Considerati i limiti degli strumenti di valutazione, degli esaminatori e dei sistemi di classificazione, non meraviglia che talora vengano scoperti errori sconvolgenti nelle diagnosi, particolar- mente negli ospedali (Caetano, Babor, 2007).

Al di là della potenziale diagnosi errata, l’atto stesso di classificare le persone può portare a risultati non volu- ti. Come abbiamo spiegato nel Capitolo 2, ad esempio, molti studiosi di orientamento socio-familiare ritengono che le etichette diagnostiche possano diventare profezie che si autorealizzano. Quando una persona ha una dia- gnosi di malattia mentale, cambia la visione che ne hanno gli altri e la loro reazione nei suoi confronti. Se gli altri si aspettano che si comporti da malato mentale, il soggetto può iniziare a considerarsi veramente tale e a comportarsi di conseguenza. Inoltre nella nostra società l’anormalità psicologica viene fortemente stigmatizzata (Spagnolo et al., 2008; Corrigan, 2007). Chi ha una diagnosi di malat- tia mentale può avere difficoltà a trovare lavoro, specie una posizione di responsabilità, o ad avere relazioni so- ciali normali. Una volta che l’etichetta è stata applicata può resistere per diverso tempo.

A causa di questi problemi, alcuni clinici preferireb- bero fare a meno delle diagnosi; altri non sono d’accor- do. Essi ritengono che si debba semplicemente lavorare per aumentare le conoscenze sui disturbi psicologici e migliorare le tecniche diagnostiche; per loro, la classifi- cazione e la diagnosi sono essenziali per comprendere e curare le persone con problemi.

Sintesi Diagnosi

Dopo avere raccolto informazioni dalla valutazione, i clinici stabiliscono un quadro clinico e decidono per una diagnosi, che viene elaborata in base a un sistema previsioni, maggiore è la validità predittiva di una ca-

tegoria.

Gli autori del DSM-IV-TR hanno cercato di garantire la validità della loro nuova versione del DSM attraverso una revisione accurata e conducendo diversi studi sul campo. Ne è risultato che i suoi criteri e categorie sem- brano avere maggiore validità rispetto alle prime versio- ni del repertorio (Reeb, 2000). Eppure, anche in questo caso alcuni teorici clinici sostengono che nel DSM-IV- TR ci sono certi criteri e categorie basati su ricerche in- sufficienti, mentre altri riflettono pregiudizi razziali o di genere (Löwe et al., 2008; Vieta, Phillips, 2007).

Oltre alle critiche sull’affidabilità e validità di certe categorie, sono sempre di più i teorici clinici convinti che vi siano due problemi fondamentali a indebolire l’edizione attuale del DSM (Widiger, 2007). Il primo è l’assunto di fondo del DSM-IV-TR, ossia che i disturbi clinici siano qualitativamente diversi dal comportamen- to normale: probabilmente l’assunto non è corretto. Ad esempio, può accadere che il senso di abbattimento che chiunque prova di tanto in tanto sia diverso dalla depres- sione solo per intensità. Se certi disturbi psicologici dif- feriscono dal comportamento normale per intensità e non per tipo, molti dei criteri e categorie attuali possono essere definiti come minimo fuorvianti.

Una critica affine s’incentra sull’uso nel DSM-IV-TR delle categorie diagnostiche discrete, ossia con ciascuna categoria di patologia distinta da tutte le altre. Alcuni esperti ritengono che alcune di queste categorie siano in realtà il riflesso di variazioni di una singola dimensione fondamentale del funzionamento e non di patologie di- stinte. Prendiamo ad esempio la dimensione dell’emozio-

nalità negativa: forse questa dimensione andrebbe usata

per descrivere modelli anormali. In una persona l’emo- zionalità negativa estrema e maladattiva può assumere le sembianze di un’ansia elevata; in un’altra può presentar- si sotto forma di depressione. In breve, anziché distin- guere tra due disturbi diversi, tra un disturbo d’ansia e un disturbo depressivo, potrebbe essere utile se nel reperto- rio ciascun modello fosse riportato come variazione della dimensione fondamentale, l’emozionalità negativa. A sostegno di questa teoria dimensionale, nella prassi si sono riscontrati spesso livelli di ansia elevati tra le perso- ne clinicamente depresse ed elevati livelli di depressione tra le persone clinicamente ansiose. Se questa teoria di- mensionale è corretta, ancora una volta si può dire che il DSM-IV-TR è fuorviante per i clinici quando chiede loro di determinare se il soggetto che hanno di fronte manife- sta un disturbo d’ansia oppure un disturbo dell’umore.

Considerate le varie critiche, vi sono pochi dubbi sul fatto che il DSM-V, la prossima edizione del DSM, vedrà alcuni cambiamenti fondamentali. Il gruppo di lavoro del DSM-V è già all’opera e sta considerando attivamente una serie di argomenti e risultati della ricerca; vi sono for- ti indicazioni sul fatto che per i disturbi d’ansia e di perso-

numerosi teorici clinici. Anche basandosi su dati di valutazione attendibili e categorie di classificazione affidabili e valide, i clinici non giungono sempre alla conclusione corretta. Inoltre, i pregiudizi legati alle definizioni possono essere dannosi per le persone che ricevono determinate diagnosi.

di classificazione. Negli Stati Uniti, il sistema più dif- fuso è il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM). Nella versione più recente del manua- le, il DSM-IV-TR, sono descritti circa 400 disturbi e sono compresi cinque assi. L’affidabilità e la validità di questa edizione sono oggetto di critica da parte di

1. Punti di forza e punti di debolezza di un percorso diagnostico. Perché da sempre l’uso della diagnosi e di un’etichet- ta diagnostica è così dibattuto e criticato?

2. All’interno del campo della salute mentale, molti sono i sostenitori i un approccio del tipo «la persona prima di tutto» rispetto al tema della diagnosi e della categorizzazione clinica: ad esempio, raccomandano l’uso della frase «persona con schizofrenia» anziché «schizofrenico». Perché tale approccio sarebbe preferibile?

3. Vantaggi e svantaggi dell’utilizzo dei test proiettivi rispetto agli inventari di personalità. Quali potrebbero essere le indicazioni cliniche più specifiche per utilizzare uno o l’altro e quali i contesti di cura che incoraggiano i metodi proiettivi o gli inventari?

4. Come si potrebbero utilizzare in modo errato i punteggi QI nelle scuole da parte dei genitori, di insegnanti o di altre persone? Pensate che la nostra società attribuisca grande importanza al concetto di intelligenza e ai punteggi QI?

Rifl essioni critiche

Affidabilità, p. 64

Comprensione idiografica, p. 63 Diagnosi, p. 83

Esame dello stato mentale, p. 66 Inventari reattivi, p. 80 Inventario di personalità, p. 71 Metodica neurologica, p. 81 Quoziente intellettivo, p. 83 Sindrome, p. 84 Sistema di classificazione, p. 84 Standardizzazione, p. 64 Tecniche di neuroimaging, p. 81 Test di intelligenza, p. 83 Test neuropsicologico, p. 83 Test proiettivo, p. 66 Test psicofisiologico, p. 80 Test, p. 66 Validità, p. 64 Valutazione, p. 63

Parole chiave

1. Quale forma di affidabilità e validità dovrebbero avere gli strumenti di valutazione clinica? 2. Quali sono i punti di forza e i punti deboli dei colloqui strutturati e non strutturati?

3. Quali sono i punti di forza e i punti deboli dei test proiettivi, degli inventari di personalità e di altri tipi di test clinici? 4. In che modo i clinici stabiliscono se un problema psicologico è legato a un danno cerebrale?

5. Qual è lo scopo delle diagnosi cliniche?

6. Descrivete il DSM-IV-TR. Quali problemi possono presentarsi nell’uso dei sistemi di classificazione e del processo della diagnosi clinica?

corrugata. Allora mi limito ad andare a casa, accendo la TV o leggo le notizie sportive sul giornale, ma non riesco a concentrami neanche su questo.

Bob ha aggiunto di avere smesso di giocare a softball, perché lo trovava stancante e non riusciva a concentrarsi. Nelle ultime due settimane si è assentato più volte dal lavoro perché era «troppo nervoso» (Spitzer et al., 1983,

pp. 11-12).

Non è necessario essere agitati come Bob per sentirsi an- siosi e preoccupati. Provate a ripensare a una volta in cui vi siete trovati a respirare rapidamente, i muscoli tesi e il cuore che vi batteva forte, con un improvviso senso di terrore. Forse è stato quella volta che stavate per uscire di strada con l’auto, sbandando sotto la pioggia? Oppure quando il professore ha annunciato una verifica a sorpre- sa? O forse quando la persona di cui eravate innamorati è uscita con qualcun altro, o quando il vostro capo ha commentato che il vostro rendimento sul lavoro sarebbe dovuto migliorare? Ogni volta che ci si trova di fronte a quella che appare una grave minaccia al nostro benesse- re, si può reagire con uno stato di allarme immediato, la paura (Garrett, 2009). A volte si riesce a identificare la causa precisa della paura, pur continuando a sentirsi tesi e nervosi, come se ci aspettasse che stia per accadere qualcosa di spiacevole. La vaga sensazione di trovarsi in pericolo è detta in genere ansia, e ha le stesse caratteri- stiche (stesso aumento della frequenza respiratoria, ten- sione muscolare, traspirazione ecc.) della paura.

In linea generale, l’ansia è un’attivazione emozionale che ha la funzione di preservare la sopravvivenza psico-fisica dell’individuo, essa rappresenta infatti la naturale risposta alla percezione di un pericolo o di una minaccia. Occorre ricordare che di per sé l’ansia rappresenta una condizione fisiologica e psicologica non anormale, una risposta adat-

tiva legata alla paura che precede un’azione difensiva

(attacco o fuga), essa ha lo scopo di preservare l’incolu- mità dell’individuo, mettendolo in guardia rispetto a si- tuazioni che possono essere considerate pericolose, for- nendo così la possibilità alla persona di reagire e struttu- rare risposte agli stimoli ambientali. Tuttavia, laddove l’ansia diventa particolarmente intensa e persistente, può

B

ob, 22 anni, di professione falegname, è stato in- viato ai servizi psichiatrici esterni di un ospedale locale. […] Durante il colloquio iniziale Bob era visi- bilmente a disagio. Appariva teso, preoccupato e spaven- tato. Stava seduto sul bordo della sedia, batteva ritmica- mente un piede e giocherellava con una matita sulla scrivania dello psichiatra. Sospirava spesso, inspirava a fondo tra una frase e l’altra, di tanto in tanto espirava sonoramente, cambiando spesso posizione mentre cerca- va di parlare della sua storia:

Bob: Sto passando un mese orribile. Mi sembra di non riuscire a fare niente. Non capisco da dove vengo o dove sto andando. Temo di stare diventando pazzo, o qualcosa del genere.

Medico: Cosa glielo fa pensare?

Bob: Non riesco a concentrarmi. Il mio capo mi dice di fare una cosa e io comincio a farla, ma appena dopo aver iniziato, già non so più che cosa sto facendo. Mi gira la testa, il cuore mi batte a mille e tutto mi sembra abbagliante oppure lontanissimo, cose così. È incredi- bile.

Medico: A cosa pensa quando si sente in quel mondo? Bob: Penso solo «Oh Gesù, il cuore mi batte fortissimo,

mi gira la testa, le orecchie mi ronzano. Sto per morire, oppure sto diventando pazzo.

Medico: E poi che cosa succede?

Bob: Beh, dura solo pochi secondi, intendo quella sensa- zione fortissima. Poi ritorno con i piedi per terra, ma allora comincio a pensare tutto il tempo a cosa mi sta succedendo, oppure sto lì a controllarmi il polso per sentire se mi sono calmato, o a tastarmi le mani per capire se sto sudando.

Medico: Le altre persone si accorgono di quello che le sta capitando?

Bob: In realtà non ci penso. Ultimamente non esco più con gli amici. Ad esempio se loro dicono «Fermiamoci a bere una birra» o qualcosa del genere dopo il lavoro, io trovo sempre qualche scusa, tipo che ho qualcosa da fare a casa o un problema alla macchina che devo si- stemare. E anche se sto con loro, in realtà non sono lì con la testa, me ne sto lì seduto e continuo a preoccu- parmi. La mia amica Pat dice che ho sempre la fronte

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