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FOBIE COMUNI E INSOLITE Acqua – idrofobia

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 122-126)

Alberi – dendrofobia Altezze – acrofobia Animali – zoofobia

Attraversare ponti – gefirofobia Bambole – pediofobia

Barbe – pogonofobia Buio – achluofobia, noctifobia Cadaveri – necrofobia Calore – termofobia Cani – cinofobia Carne – carnofobia Cavalli – ippofobia Chiese – eclesiofobia Chirurgia – ergasiofobia Demoni, diavolo – demonofobia Denaro – chrometofobia Denti – odontofobia Dio – teofobia Fantasmi – phasmofobia Farmaci – farmacofobia Feci – coprofobia

Ferite e traumi – traumatofobia Ferrovie – siderodromofobia Fiori – antofobia Fiumi – potamofobia Folla – oclofobia Fuoco – pirofobia Germi – spermofobia Ghiaccio, gelo – criofobia Gravidanza – maieusiofobia Inondazioni – antlofobia Insetti – entomofobia Libri – bibliofobia Macchine – meccanofobia Matrimonio – gamofobia Nebbia – homiclofobia Neve – cionofobia Notte – noctifobia Occhi – omatofobia Odori – osmofobia Ombra – sciofobia Omosessualità – omofobia Paura del furto o dei ladri –

harpaxofobia

Paura di aver paura – fobofobia Paura di viaggiare – hodofobia Paura di volare – aerofobia Pellicce – dorafobia Piacere – edonofobia Pioggia – ombrofobia Povertà – peniafobia Pungiglioni – cnidofobia Ragni – aracnofobia

Rapporti sessuali – coitofobia, cipridofobia

Rumore o parlare ad alta voce – fonofobia Sangue – ematofobia Satana – Satanofobia Serpenti – ofidiofobia Sole – eliofobia Sonno – ipnofobia Spazi chiusi – claustrofobia Specchi – eisoptrofobia Stranieri – xenofobia Tombe – tafofobia Topi – musofobia Veleno – toxifobia Velocità – tacofobia Vento – anemofobia Vermi – elmintofobia Vespe – sfecsofobia

(Van Wagner, 2007; Melville, 1978)

Approfondimento

Modellamento: processo di apprendimento in cui

una persona osserva e quindi imita gli altri. Indica an- che un approccio terapeutico basato sullo stesso prin- cipio.

Generalizzazione dello stimolo: fenomeno in cui le reazioni a un determinato stimolo vengono prodotte anche da altri stimoli simili.

Predisposizione: tendenza a sviluppare determinate paure.

persona che ha il terrore delle altezze, per esempio, può salire su una sedia o su una scala a pioli. Oppure il con- fronto può essere immaginario, un processo detto desen-

sibilizzazione immaginaria; in questo caso la persona

immagina l’evento ansiogeno mentre il terapeuta lo de- scrive. Il paziente percorre via via l’intera lista, abbinan- do il proprio stato di rilassamento a ciascun elemento ansiogeno.

TRA LE RIGHE

Le paure delle persone famose Napoleone Bonaparte Gatti

Johnny Depp Clown, ragni, fantasmi

Justin Timberlake Serpenti

Elisabetta I Rose

Billy Bob Thornton Mobili antichi

Edgar Allan Poe Spazi chiusi

Harry Houdini Spazi chiusi

Adolf Hitler Spazi chiusi

Nicole Kidman Farfalle

Howard Hughes Germi

Madonna Tuoni

John Madden Viaggi in aereo

Whoopi Goldberg Viaggi in aereo

Aretha Franklin Viaggi in aereo

Christina Ricci Piante d’appartamento

Cher Viaggi in aereo

(Szegedy-Maszak, 2005)

Poiché il primo elemento della lista è solo leggermen- te ansiogeno, in genere dopo pochissimo tempo la perso- na riesce a essere completamente rilassata in sua presen- za. Sono necessarie diverse sedute per risalire la gerar- chia delle paure, fino ad arrivare a superare quella che per loro è fonte di terrore.

Un altro trattamento comportamentale per le fobie specifiche è l’immersione, o flooding. I terapeuti che la

applicano ritengono che il soggetto fobico cessi di teme- re le cose che gli fanno paura dopo ripetute esposizioni a esse e dopo essersi convinte che in realtà sono abbastan- za innocue. I soggetti sono costretti ad affrontare oggetti o situazioni ansiogene senza prima essersi sottoposti a tecniche di rilassamento e senza alcuna gradualità. La procedura di immersione, come la desensibilizzazione, può avvenire in vivo o essere immaginaria.

Quando il terapeuta guida il soggetto a immaginare oggetti o situazioni ansiogene, spesso esagera la sua de- scrizione, in modo che il soggetto provi un intenso stato di allarme emotivo. Riportiamo il caso di una donna con la fobia dei serpenti, in cui il terapeuta la conduce a im- maginare tra le altre la scena descritta nel Caso 4.5.

Nel modeling, o modellamento, è il terapeuta a con- frontarsi con l’oggetto o la situazione ansiogena mentre te sono le tecniche comportamentali, soprattutto nel caso

di fobie specifiche. Gli studi hanno dimostrato che tali tecniche sono molto più efficaci e si dimostrano migliori di altri approcci nella maggior parte dei confronti diretti. Esamineremo per prime le tecniche comportamentali.

Trattamenti per le fobie specifiche

Le fobie specifiche sono state tra i primi disturbi d’ansia a essere trattati con successo nella pratica clinica. Gli approcci comportamentali più usati sono la desensibiliz-

zazione, l’esposizione e il modeling o modellamento.

Nel loro insieme, si parla di trattamento di esposizione

perché gli individui che soffrono di fobie vengono espo- sti agli oggetti o alle situazioni temute.

TRA LE RIGHE

Recuperare il tempo perduto

Oggi molti parchi offrono programmi comportamenta- li per coloro che hanno il terrore delle montagne russe e delle attrazioni di nuovo tipo. Alla fine del «tratta- mento» alcuni riescono a salire sulle montagne russe e a divertirsi molto, altri invece possono approfittare solo della relativa tranquillità della ruota panoramica.

I soggetti trattati per mezzo della desensibilizzazione sistematica, tecnica sviluppata da Joseph Wolpe (1997,

1987, 1969), imparano a rilassarsi gradualmente ogni volta che sono messi di fronte agli oggetti o alle situazio- ni di cui hanno terrore. I terapeuti che utilizzano queste tecniche iniziano con un training di rilassamento, in cui i soggetti imparano a rilassare profondamente i muscoli con la volontà. I terapeuti guidano inoltre i soggetti nella creazione di una gerarchia delle paure, un elenco di og- getti o situazioni temute, dalle più lievi a quelle estrema- mente angosciose.

Trattamenti di esposizione: trattamenti comporta- mentali che prevedono l’esposizione del soggetto fobi- co all’oggetto o alla situazione temuti.

Desensibilizzazione sistematica: trattamento com- portamentale che impiega tecniche di rilassamento e una gerarchia di elementi ansiogeni per guidare il sog- getto fobico a reagire con calma di fronte agli oggetti o alle situazioni temuti.

Flooding: anche immersione, indica un trattamento delle fobie in cui il soggetto viene esposto ripetuta- mente e senza gradualità all’oggetto temuto, per fargli capire che esso è in realtà innocuo.

I soggetti imparano quindi ad associare il rilassamen- to con gli oggetti o le situazioni temute. Quando il pa- ziente è completamente rilassato, il terapeuta lo pone di fronte all’evento che si trova nel punto più basso della sua gerarchia. Questo può avvenire con un confronto re- ale, un processo detto desensibilizzazione in vivo. Una

zione, comunicare le proprie necessità e rispondere ai bisogni degli altri. Con questa nuova consapevolezza, oggi i clinici trattano le fobie sociali provando a ridurre l’ansia sociale, insegnando ai soggetti abilità specifiche per gestire le situazioni sociali o una combinazione dei due interventi.

TRA LE RIGHE I limiti della parola

Nel 2004 la scrittrice austriaca Elfriede Jelinek, premio Nobel per la letteratura, presenziò alla consegna del prestigioso titolo tenendo la sua lezione magistrale in videoconferenza. La scrittrice soffre di fobia sociale che le impedì di partecipare personalmente alla ceri- monia di Stoccolma.

Come si può ridurre l’ansia sociale? Diversamente

dalle fobie specifiche, che in genere non rispondono ai farmaci psicotropi, l’ansia sociale spesso viene attenuata dalla terapia farmacologica (Julien, 2008). Sorprende in qualche modo che siano i farmaci antidepressivi a rive- larsi più utili per questo disturbo, spesso più delle benzo- diazepine o di altri tipi di farmaci antiansia (Burijon, 2007).

TRA LE RIGHE Il giovane dottor Ellis

All’inizio della sua carriera, per combattere la propria ansia sociale (e anche per testare le sue teorie), Albert Ellis sedette per un anno intero, giorno dopo giorno, su una panchina di Central Park, chiedendo a tutte le donne che gli passavano accanto di uscire con lui.

Esistono allo stesso tempo diversi tipi di psicoterapia che si sono rivelati efficaci al pari della terapia farmaco- logica nel ridurre l’ansia sociale; le persone trattate in questo modo sembrano meno inclini alle recidive rispet- to ai soggetti trattati con i soli farmaci (Rodebaugh et al., 2004). Questi risultati suggeriscono che nel trattamento dell’ansia sociale andrebbe sempre incluso un approccio psicologico.

Tra questi vi è la terapia di esposizione, un intervento comportamentale molto efficace già visto per le fobie specifiche. Il terapeuta invita il soggetto con ansia socia- le a esporsi alle situazioni sociali temute e a rimanervi finché le paure non si placano. In genere si tratta di un’esposizione graduale e spesso sono compresi esercizi da fare in autonomia nelle situazioni sociali ansiogene. Inoltre la terapia di gruppo costituisce uno sfondo ideale per i trattamenti di esposizione, consentendo alle perso- ne di affrontare le situazioni sociali in un’atmosfera ac- cogliente e di sostegno (McEvoy, 2007). In un gruppo, per esempio, un uomo che temeva gli tremassero le mani in presenza di altre persone doveva scrivere su una lava- è osservato dal soggetto fobico (Bandura, 2004, 1977,

1971; Bandura et al., 1977). Il terapeuta comportamenta- le agisce come un modello per dimostrare che la paura di quella persona è infondata. Dopo numerose sedute molti soggetti sono in grado di affrontare in piena calma gli oggetti o le situazioni ansiogene. In una versione parti- colare di modeling, detto partecipante, il soggetto viene attivamente incoraggiato a imitare ciò che sta facendo il terapeuta.

TRA LE RIGHE

Modeling partecipante

Utilizzando la tecnica di esposizione del modeling par- tecipante, il terapeuta Pete Cohen tratta le persone con la fobia del serpenti, o ofidiofobia, maneggiando dapprima egli stesso un rettile e quindi incoraggiando i soggetti a fare altrettanto.

La ricerca clinica ha più volte confermato che ognuno di questi trattamenti di esposizione si rivela utile per le persone con fobie specifiche (Farmer, Chapman, 2008; Pull, 2005). La chiave del successo per tutte queste tera- pie sembra essere il contatto effettivo con l’oggetto o la situazione ansiogena. La desensibilizzazione in vivo è più efficace rispetto a quella immaginaria, l’esposizione in vivo più efficace di quella immaginaria e il modeling partecipante più utile della versione strettamente osser- vativa. Inoltre, oggi sono sempre di più i terapeuti che utilizzano la realtà virtuale (computer grafica in 3D che simula oggetti e situazioni del mondo reale) come utile mezzo di esposizione (Winerman, 2005).

Trattamenti per le fobie sociali

Solo negli ultimi anni i clinici sono riusciti a trattare con successo le fobie sociali (Rosenberg et al., 2010; Ruscio et al., 2008). Questo recente successo è in parte dovuto al diffuso riconoscimento del fatto che le fobie sociali hanno due caratteristiche distinte che s’innestano una sull’altra: (1) le persone con questo tipo di fobie possono avere dei timori sociali dai quali si sentono sopraffatte, e (2) possono non essere capaci di avviare una conversa-

CASO 4.5

Chiuda di nuovo gli occhi. Immagini il serpente di fronte a lei. Adesso lei lo prende in mano. Allunga il braccio, lo solleva, se lo posa in grembo. Sente che si muove sulle sue gambe, ma lei lascia la mano su di esso e sente come si muove. Ne tasta il corpo con le dita e la mano. Non le piace, ma si costringe a farlo. Lo tiene saldamente con una mano. Lo stringe un po’, ne sente la forza. Adesso il serpente comincia ad avvolgersi sulla sua mano. Lo lasci fare. Non muova la mano, lo lasci strisciare sulla sua pelle e avvolgersi sul suo polso (Hogan, 1968, p. 423).

per aiutare le persone a migliorare le proprie abilità so- ciali. In genere essi modellano i comportamenti sociali appropriati per i loro pazienti e li incoraggiano a provare a metterli in pratica. I soggetti avviano quindi un gioco

di ruolo con il terapeuta, provando il nuovo comporta-

mento finché non lo hanno acquisito. Nel corso del pro- cesso, il terapeuta fornisce un feedback costante e rinfor-

za (loda) il soggetto quando ha eseguito l’esercizio nel

modo giusto.

TRA LE RIGHE Playlist ansiogena

Molte persone, nell’era della musica digitale, oggi si scambiano in rete elenchi di brani e non è quindi sor- prendente che gli psicologi abbiano osservato una cer- ta diffusione dell’«ansia da playlist», ossia un’intensa preoccupazione riguardo all’immagine che viene con- vogliata dalla musica resa disponibile agli altri. Si tratta di un problema ormai comune tra gli studenti universi- tari e i colleghi di ufficio. In uno studio, un ragazzo ha rivelato «Ho appena esaminato la mia playlist e mi so- no detto “Chissà che razza di immagine sto dando di me”. L’ho analizzata a fondo per vedere se c’erano brani che non volevo che gli altri sapessero che ho» (CHI Conference, 2005).

Spesso il rinforzo da parte di persone con difficoltà sociali analoghe è più efficace del solo rinforzo del tera- peuta. Nei gruppi di addestramento alle abilità sociali e nei gruppi di addestramento alla comunicazione asserti-

va i membri provano e mettono in pratica i nuovi com-

portamenti sociali con gli altri membri del gruppo. Il gruppo può inoltre fornire una guida su ciò che è consi- derato socialmente appropriato. La ricerca indica che l’addestramento alle abilità sociali, sia nella forma indi- gna di fronte al gruppo e servire il tè agli altri membri

del gruppo (Emmelkamp, 1982).

Anche le terapie cognitive sono ampiamente usate per il trattamento dell’ansia sociale, spesso in abbina- mento alle tecniche comportamentali (Rosenberg et al., 2010; McEvoy, 2007). Nel dialogo riportato di seguito (Caso 4.6), Albert Ellis utilizza la terapia razionale-

emotiva con un uomo che teme di essere ignorato e re- spinto se prende la parola durante un incontro con amici. La discussione era avvenuta dopo che l’uomo si era esercitato in autonomia a identificare le proprie aspetta- tive sociali negative e a sforzarsi di dire la prima cosa che gli passasse per la mente nelle situazioni sociali, an- che se poteva sembrargli stupido.

Addestramento alle abilità sociali: approccio tera- peutico che insegna ad acquisire o a migliorare le pro- prie abilità sociali e la comunicazione assertiva attra- verso il gioco di ruolo e la messa in pratica di compor- tamenti desiderabili.

Dagli studi condotti al riguardo è emerso che la tera- pia razionale-emotiva e altri approcci cognitivi sono re- almente efficaci nel ridurre l’ansia sociale (Rosenberg et al., 2010; Hollon et al., 2006). I benefici in genere persi- stono per anni. D’altra parte, le ricerche indicano inoltre che se la terapia cognitiva si rivela spesso utile nel ridur- re l’ansia sociale, non è altrettanto efficace nell’aiutare le persone ad acquisire le abilità necessarie per affronta- re le situazioni sociali temute. In questo caso è necessa- rio anche un insegnamento delle abilità sociali.

Come possono essere migliorate le abilità sociali?

Nell’addestramento alle abilità sociali il terapeuta usa

una combinazione di diverse tecniche comportamentali

CASO 4.6

Dopo due settimane di questo esercizio, il paziente si pre- sentò alla seduta di terapia successiva e disse: «Ho fatto quello che lei mi ha detto di fare. […] Ogni volta, come ha detto lei, che mi sono ritrovato a isolarmi dalle persone, mi sono detto: “Ora, anche se non riesci a trovarle, devono esserci delle frasi da dire. Quali sono?”. E le ho finalmente trovate. E ce n’erano anche tante! Tutte sembravano espri- mere la stessa cosa.»

«Che cosa?»

«Che io, beh, sarei stato comunque emarginato. […] Se avessi parlato, sarei stato emarginato. E se questo fosse successo sarebbe stato per me orribile. E non c’era ragione perché io, mmm, facessi, mmm, quel genere di cosa, e dovessi essere respinto in quella maniera orribile.» […] «Ha eseguito la seconda parte dell’esercizio assegnato?» «Sforzarmi di parlare e di esprimermi?»

«Sì, proprio quello.»

«Quello è stato ancora peggio. Molto più difficile di quan- to pensassi. Però ce l’ho fatta.»

«E com’è andata?»

«Oh, per niente male. Ho parlato più volte; più di quanto avessi mai fatto prima. Alcuni ne sono stati molto sorpresi. Anche Phyllis è stata molto sorpresa. Però ho parlato.» […] «E come si è sentito dopo che è riuscito a esprimersi?» «Benissimo! Non ricordo quand’è che mi sono sentito co- sì l’ultima volta. Mi sono sentito, beh, semplicemente in- credibile … bello, cioè, era veramente qualcosa che valeva la pena provare! Ma è stato così difficile. Pensavo di non farcela. Durante la settimana mi sono dovuto sforzare un altro paio di volte. Ma l’ho fatto. E ne sono stato felice!»

al., 2006); quelli però che hanno attacchi di panico ripe- tuti e improvvisi, senza alcuna ragione apparente, po- trebbero soffrire di disturbo di panico. Oltre agli attac-

chi di panico, gli individui ai quali è stato diagnosticato un disturbo di panico verificano dei cambiamenti disfun- zionali nel modo di pensare o di comportarsi provocati dagli attacchi stessi (si veda Tabella 4.8 alla pagina se-

guente). Ad esempio, può subentrare in loro la preoccu- pazione costante di avere altri attacchi e del significato di tali manifestazioni («Sto uscendo di senno?»), oppure la necessità di pianificare la loro vita in base alla possibilità di attacchi futuri.

Attacchi di panico: brevi accessi periodici di panico che si verificano all’improvviso, raggiungono un picco nell’arco di pochi minuti e gradualmente passano.

Nel documento Psicologia Clinica (pagine 122-126)

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