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L'amicizia di Vittorio Avondo: alle origini di un collezionista

2.2 «Un tutto classificato razionalmente e per ordine cronologico»: il Museo Lapidario Bruzza e l'archeologia vercellese

4.1 L'«avere io sempre cercato, in tutti i modi, di essere utile al mio

4.1.1 L'amicizia di Vittorio Avondo: alle origini di un collezionista

I diari di Camillo Leone registrano la progressiva formazione del museo, con resoconti di acquisti e perizie, l'annotazione di incontri, visite, ambiti di studio e battaglie condotte spesso quasi in solitaria per la salvaguardia dei monumenti vercellesi15. La sua attività collezionistica assunse un

peso consistente a partire dalla metà degli anni settanta, quando in seguito ai numerosi lutti familiari poté disporre di una cospicua eredità. All'insofferenza dei concittadini nei confronti di questo burbero difensore delle patrie memorie faceva da contrappeso una rete diffusa e autorevole su tutto il territorio nazionale di corrispondenti colti e influenti, miniera per gli studi e gli acquisti ma anche cassa di risonanza per sollecitare l'intervento del ministero a favore della tutela sul territorio.

Le origini dell'attività collezionistica di Leone si devono al rapporto di lunga amicizia con il torinese Vittorio Avondo: artista e conoscitore di caratura internazionale, figura di riferimento per il recupero del medioevo piemontese e protagonista nella creazione del Museo Civico di Torino, di cui sarà direttore per un lungo e decisivo ventennio (dal 1890 al 1910), Avondo entrò in contatto con Leone nei primi anni sessanta, quando il vercellese, compiuti i primi studi presso il collegio del padri somaschi a Casale Monferrato, si era trasferito a Torino per completare la formazione giuridica. In questo intenso e duraturo rapporto Leone trovò il primo interlocutore per i propri interessi collezionistici, orientati inizialmente alla raccolta di ceramiche e oggetti medievali16. Nel

tempo Avondo rimase uno degli intermediari più fidati per gli acquisti e uno dei consiglieri più ascoltati. Le pagine del diario annotavano con orgoglio le sue numerose visite, come per esempio nel settembre del 1877, quando gli procurò alcune preziose figuline romane provenienti dal sito archeologico di Industria, o ancora nella lunga sosta del 23 luglio 1889, quando i due amici visitarono insieme diverse collezioni vercellesi.

Avondo si mostrava osservatore colto e curioso, e soprattutto attento al tema della conservazione pubblica: nelle sale dell'Arcivescovado, notata la berlina di gala settecentesca

14 La biografia di Camillo Leone fu segnata da vicende affettive e familiari desolanti, rimarcate dai diversi contributi sulla sua figura, sulla sua attività collezionistica e sul suo ruolo attivo della difesa del patrimonio storico e artistico vercellese: F. Arborio Mella, Camillo Leone. Note biografiche, in Museo Camillo Leone - Vercelli. Illustrazioni e cataloghi, Vercelli 1910, pp. 5-26; G. Sommo, Camillo Leone, in Idem, Vercelli e la memoria..., op. cit., 1982, pp. 81-110; A. Cambitoglou, M. Harari,

The Italiote red-figured vases in the Museo Camillo Leone at Vercelli, Roma 1997; A. Rosso, Il Museo del notaio Camillo Leone, op. cit., 2007; M. Gallo, Camillo Leone: lettere dal Collegio, in G. Baldissone (a cura di), Camillo Leone..., op. cit., 2007, pp. 507-528.

15 G. Baldissone (a cura di), Camillo Leone..., op. cit., 2007.

16 G. Sommo, Ceramiche medievali e post-medievali nelle raccolte del Museo Leone di Vercelli, in «Archeologia Uomo Territorio», n. 5, 1986, pp. 53-77.

107 dell'arcivescovo Carlo Filippa di Martiniana, ne suggerì l'acquisizione da parte del Municipio17,

mentre al museo lapidario «molto deplorò e con ragione del modo non troppo regolare in cui sono piazzati certi monumenti e, più di tutto, del come sono mantenuti, suggerendo che sarebbe bene, anzi necessario, che si leggessero le indicazioni indispensabili della provenienza di varii bassorilievi molto antichi ivi esistenti e per conseguenza molto interessanti sia per la storia, che per l'archeologia»18. La documentazione del contesto di provenienza e dell'aspetto originale dei

manufatti era tema caro ad Avondo, che di lì a poco nel riallestire il Museo Civico di Torino avrebbe infatti collocato nelle sale di via Gaudenzio Ferrari un adeguato supporto didascalico (gli stalli del coro dell'Abbazia di Staffarda erano accompagnati da un disegno di sua mano19).

Nelle sale dell'Istituto di Belle Arti i due collezionisti si soffermavano su

[...] un dipinto su legno molto bene conservato e da soli pochi giorni acquistato per mio suggerimento [...]. Dopo averlo lungamente esaminato, dissemi l'Avondo che detto dipinto appartiene indubbiamente alla Scuola di Leonardo da Vinci, vale a dire la scuola Lombarda, ma che ravvisa in detto dipinto un fare molto secco, secco, per cui non può essere che di uno degli allievi di Leonardo, non però dei suoi migliori allievi, perocché il fare di Leonardo è molto delicato, morbido e molto quasi aereo, mentre, in questo dipinto, si scorge una certa durezza di movenze20.

Leone annotava con cura le osservazioni dell'amico conoscitore, indicazioni che per lui costituivano una sorta di viatico nella comprensione delle opere. Nel suo disegno museale i dipinti, raccolti direttamente o suggerendone l'acquisto per la Pinacoteca patria dell'Istituto, rivestivano prima di tutto un valore di testimonianza storica, nell'ottica di ricomporre e documentare «la storia pittorica del nostro paese», come ebbe a scrivere nel 1893 in occasione dell'acquisto dello stendardo dipinto proveniente dalla raccolta di Don Altariva21. Rispetto ad altri tipi di manufatto,

come per esempio le monete o i codici manoscritti, nelle arti figurative Leone non sembra rivelare spiccate doti di conoscitore, ma piuttosto affidarsi alla verità delle fonti vagliate criticamente. Nel caso dello stendardo, per esempio, si era procurato la copia di un «documento irrefutabile» tolto dall'archivio della Confraternita dello Spirito Santo in cui si diceva che l'autore fosse Lanino: pur non convinto dell'autenticità del documento, si dichiarava felice di possederlo, «siccome il mio mestiere è proprio quello di conservatore delle cose antiche, specie quelle riguardanti in qualche modo il mio paese»22.

Con questo spirito Leone dovette interessarsi a quello che costituì il più importante nucleo

17 La carrozza si trova ora esposta nell'atrio di Palazzo Langosco.

18 C. Leone, Memorie 1876-1901, in G. Baldissone (a cura di), Camillo Leone. Una vita da museo..., op. cit., 2007, p. 285. 19 F. Ferro, La direzione di Vittorio Avondo, in S. Abram (a cura di), I direttori del museo civico di Torino fino al 1930,in corso di stampa.

20 Si tratta della tavola raffigurante La Madonna delle Rocce, replica del dipinto leonardesco acquistata dall'Istituto nel 1889 e ora conservata presso il Museo Borgogna (V. Viale, Civico Museo Francesco Borgogna. I dipinti, Vercelli 1969, cat. 107, con indicazione errata dell'anno di acquisto al 1899).

21 C. Leone, Memorie 1876-1901, op. cit., 2007, p. 383 (1 dicembre 1893). 22Ibidem, p. 385 (7 dicembre 1893).

108 di antichi dipinti da lui acquistato, ossia il gruppo di opere che l'Opera pia San Luigi aveva ereditato dal canonico Igino Martorelli, con importanti tavole del XV e XVI secolo prevalentemente di scuola piemontese23. Nel 1899, «onde avere una memoria della raccolta Gattinara», chiese all'amico

Ferdinando Rossaro di effettuare per lui alcuni acquisti all'asta milanese della galleria del marchese Mercurino24. Un'asta cui partecipò l'altro grande protagonista del collezionismo

vercellese, l'avvocato Antonio Borgogna, che con le ben maggiori disponibilità economiche poté aggiudicarsi opere di Gaudenzio Ferrari, una grande tavola di Battista Giovenone e la Madonna in trono di Boniforte Oldoni, firmata e datata 154825.

La possibilità di acquistare quest'ultimo dipinto aveva suscitato l'interesse anche di Alessandro Baudi di Vesme, direttore della Regia Pinacoteca di Torino, che nei primi giorni di maggio si era recato a Vercelli e, ospite di Camillo Leone, aveva indagato sulle intenzioni del Borgogna26. Non è l'unico caso in cui Leone registra le visite del Vesme, che per esempio

soggiornò da lui per diversi giorni nel luglio del 1900, «per fare certi suoi studi nell'archivio del nostro Municipio, onde poter scrivere una storia più dettagliata e vera sugli antichi pittori Vercellesi e così correggere varie inesattezze stampate dal P. Barnabita G. Colombo, nelle sue memorie sui Pittori Vercellesi»27.

Le scelte di Leone, orientate a testimoniare gli episodi più significativi della storia culturale della città, erano compiute sempre con scrupolo, grazie al costante aggiornamento negli studi e al dialogo costantemente intrattenuto con artisti ed esperti. Questo rendeva Leone tutt'altro che impreparato di fronte alla valutazione dei dipinti, su cui prestava particolare attenzione anche sul fronte dello stato di conservazione28. Nel caso dell'acquisto della tavola leonardesca da parte

dell'Istituto, per esempio, fu lo stesso Leone a sollecitare nei colleghi del consiglio di direzione l'importanza dell'acquisizione, funzionale al progetto di pinacoteca patria e rafforzata tra l'altro anche dal fatto che l'opera si era ben conservata:

I Congregati, intese le informazioni del Riferente [il Direttore, Alberto Arborio Mella] e del Consigliere Leone sul pregio di tale dipinto, che si ritiene della scuola di Leonardo da Vinci, e sullo stato suo di perfetta conservazione, come pure sul probabile prezzo che ne verrebbe accettato, e ritenuta la convenienza di trattare per l'acquisto di tale oggetto d'arte per arricchire la piccola raccolta iniziata dall'Istituto di dipinti dell'antica Scuola Vercellese,

23 Cfr. V. Viale, Civico Museo Francesco Borgogna..., op. cit., 1969, cat. n. 18 e tav. 11, n. 20 bis, n. 31 e tav. 37, n. 46 bis, n. 47 e tav. 51, n. 91 tav. 96; P. Astrua, G. Romano (a cura di), Bernardino Lanino, catalogo della mostra (Vercelli, aprile- luglio 1985), Milano 1985, scheda n. 34 di Anna Rosso.

24 «Mi acquistò diffatti due piccoli quadretti di scuola Olandese del pittore Jean Fest», e terminato l'incanto Leone si procurò ancora «un bel dipinto su legno di scuola Lombarda di Bernardino Luini»: C. Leone, Memorie 1876-1901, op. cit., 2007, p. 467.

25 V. Viale, Civico Museo Francesco Borgogna..., op. cit., 1969, cat. n. 53 e tav. 58, n. 56 e tav. 60, n. 58 e tav. 62, n. 59 e tav. 63.

26 C. Leone, Memorie 1876-1901, op. cit., 2007, p. 466. 27Ibidem, p. 479; cfr. § 2.2.2.

28 Il tenore delle valutazioni compiute sui dipinti acquistati è per esempio quello registrato sui diari nel 1889, quando Leone acquistò da un parrucchiere un dipinto creduto del Moncalvo, «molto bello e ben conservato e munito di una bellissima cornice antica, artisticamente lavorata»: C. Leone, Memorie 1876-1901, op. cit., 2007, p. 465 (30 aprile 1899).

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rampollo non degenere della nobilissima scuola pittorica Lombarda, incaricano il Segretario di avviare in proposito trattative col signor Bigo in base al prezzo approssimativo Lire mille, con mandato di fiducia anche per qualche ulteriore aumento, quando ciò si rendesse necessario per evitare imminente pericolo che il quadro trovasse altro acquirente fuori di questa città29.

Anche per le scelte relative al restauro dei dipinti e alla disposizione delle raccolte Avondo costituiva un punto di riferimento. Nella stessa visita del 1889 Leone riferiva infatti che l'«antichissimo quadro su legno, che esso crede dipinto dal Macrino d'Alba, in riparazione a Torino, riusciva molto bello e benissimo riparato, con un metodo da esso lui suggerito e stato adottato»30.

Nel settembre del 1891, di rientro dalla Svizzera dove si era recato per incontrare alcuni antiquari, Avondo aveva fatto sosta a Vercelli e aveva raccontato all'amico quanto fatto in quegli ultimi mesi per la sistemazione del museo torinese31; Leone gli mostrava i lavori compiuti nel cortile di casa,

«tappezzato con stemmi, iscrizioni, colonne, bifore e altri disegni più o meno originali», e ne riceveva graditissimi elogi: «esaminate le poche cose che io avevo fatto piazzare sotto il mio atrio di casa, dissemi che, senza che io fossi architetto, pittore o che so io, avevo però col fatto dimostrato che, nel mio cervello, eravi dell'artistico»32.

Le amicizie torinesi annoveravano altri importanti esponenti del mondo culturale sabaudo, come Vincenzo Promis, direttore della Biblioteca e del Medagliere regi, e il maggiore Angelo Angelucci, direttore del Museo di Artiglieria33: mentre del primo Leone dovette sicuramente cogliere

l'idea di museo quale strumento di tutela dell'arte e di salvaguardia della memoria storica34,

l'interesse per le armi era per Leone passione di lunga data, coltivata fin dai primi anni '60 con l'Avondo, «allora tutto intento a risuscitare con Giacosa la vita medioevale dei castelli della Valle d'Aosta» e che nel 1861 gli diede «incarico di procurargli certe antiche alabarde, che poi gli regalò

29 IBAV, Verbali delle adunanze, m. 99, 8 luglio 1889, § 5 "Acquisto di dipinto antico".

30 C. Leone, Memorie 1876-1901, op. cit., 2007, p. 294. In altra occasione Leone ebbe anche a lamentarsi dei restauri effettuati tramite Avondo, come nel caso delle due tavole quattrocentesche raffiguranti San Paolo e un Santo Vescovo, acquistate dallo stesso pittore che li fece restaurare «dal solito impiastricciatore»: V. Viale, Civico Museo Francesco Borgogna..., op. cit., 1969, p. 25 (cat. n. 17 e tav. 10).

31 Riferiva Leone che Avondo «in questi ultimi mesi aveva molto lavorato attorno al Museo Civico di Torino, al quale aveva dato un altro indirizzo, per cui aveva fatto un inventario di cui mancava»: ibidem, p. 339.

32Ibidem.

33 Il maggiore Angelo Angelucci (1816-1891) fu anche autore del catalogo illustrato dell'Armeria Reale (A. Angelucci,

Catalogo della Armeria Reale, Torino 1890): P. Manchinu, L'Armeria Reale da Umberto I a Vittorio Emanuele III, in P. Venturoli (a cura di), L'Armeria Reale nella Galleria Beaumont, Torino 2008, pp. 235-240; F. Maria Gambari, "La terra dell'armi". Angelo Angelucci e la collezione d'armi antiche in Piemonte, in M. Venturino Gambari, D. Gandolfi (a cura di),

Colligite fragmenta..., op. cit., 2009, pp. 229-240. Utile ricordare la sua amicizia con Carlo Boni, di cui fu corrispondente per la creazione del Museo Industriale di Modena: R. Franchini, Museo e industria, in E. Pagella (a cura di), Le raccolte d'arte del Museo Civico di Modena, Franco Cosimo Panini Editore, Modena 1992, pp. 77-92.

34 M. di Macco, Avondo e la cultura della sua generazione: il tempo della rivalutazione dell'arte antica in Piemonte, in R. Maggio Serra, B. Signorelli (a cura di), Tra verismo e storicismo: Vittorio Avondo (1836-1910) dalla pittura al collezionismo, dal museo al restauro, atti del convegno (Torino 1995), in «Atti della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti», Nuova Serie, vol. IV, Torino 1997, pp. 49-60.

110 con altre, arricchendo così il primo suo nucleo di oggetti antichi»35. L'interesse per le armi si

mantenne nei decenni, fino ancora allo scadere del secolo, quando Leone acquistò a Torino, ancora con il tramite di Avondo, una partita di armi antiche all'incanto della Casa ducale della Cisterna36. Nel gennaio del 1901 la sala destinata alla raccolta delle armi antiche, danneggiata

dalle nevicate degli ultimi anni, fu oggetto di una risistemazione complessiva, con la decorazione della volta affidata al pittore Bosso di Vercelli37.

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