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2.2 «Un tutto classificato razionalmente e per ordine cronologico»: il Museo Lapidario Bruzza e l'archeologia vercellese

4.1 L'«avere io sempre cercato, in tutti i modi, di essere utile al mio

4.1.4 Due esempi di collezionismo a confronto

Della raccolta dell'Ospedale facevano parte due coccodrilli, che Leone inviò in dono al concittadino Antonio Borgogna (1822-1906): l'avvocato vercellese riuniva nelle sale della sua abitazione una collezione eterogenea, d'impianto ben diverso rispetto alla meticolosa ricomposizione storica di Palazzo Langosco. Dipinti e sculture, mobili e arredi, arti applicate e curiosità erano il frutto dei viaggi di Borgogna in Europa e in Medio Oriente, delle sue appassionate incursioni alle esposizioni universali, delle amicizie coltivate tra gli artisti e a partire dagli anni '90 del suo interesse per l'arte antica, mediato dalla frequentazione di Gustavo Frizzoni e dei conoscitori di area lombarda62. L'ambizioso progetto di "Galleria" perseguito da Borgogna

richiamava quel modello di collezionismo privato che nel 1881 portava Poldi Pezzoli ad aprire le proprie raccolte al pubblico, all'insegna di una predilezione eclettica che caratterizzava le case museo dell'epoca.

L'alta borghesia europea si misurava allora non solo nell'adesione a criteri estetici e di gusto, ma nella sfera del comportamento sociale gareggiava in iniziative filantropiche, in un clima di positivistica fiducia nell'istruzione e nell'educazione popolare. L'avvocato Borgogna era ricordato a Vercelli per essere stato nella vita «esempio di virtù e di bontà», che «sa di avere in terra fatto il suo dovere, e di aver professata con tutto il cuore la legge dell'amore e della solidarietà»63. Figlio

del geometra Francesco, che aveva costruito l'agiatezza economica della famiglia con una fortunata attività nel campo dell'agricoltura, era stato consigliere comunale dal 1860 al 1870; nei decenni a seguire, trascorsi nel coltivare la passione per i viaggi e per l'arte, la città aveva continuato a beneficiare delle sue numerose elargizioni: aveva finanziato gli asili e l'istituto per i poveri ciechi, l'erezione del monumento a Umberto I, la pubblicazione illustrata sulla basilica di Sant'Andrea, il "premio di virtù" presso l'Associazione generale degli operai e l'erezione della Scuola professionale che volle intitolare alla memoria del padre. Intanto,

Dotato di fine gusto e di un giudizio sicuro, fatto di pratica esperienza, di studii e di raffronti,

61 C. Leone, Memorie 1876-1901, op. cit., 2007, pp. 218-222.

62 L. Berardi, Vercelli, Museo Francesco Borgogna, in G. C. Sciolla (a cura di), "...quei leggerissimi tocchi di penna o

matita...", Sesto San Giovanni 1996, pp. 224-237; L. M. Galli Michero, Il Museo Borgogna a Vercelli. Guida alle collezioni, Torino 1999; C. Lacchia, A. Schiavi, Museo Borgogna. Storia e collezioni, Cologno Monzese 2001; C. Lacchia, Gustavo Frizzoni (1840-1919) e la ricognizione del patrimonio artistico vercellese nel secondo Ottocento, in «Bollettino Storico Vercellese», n. 60, 2003, pp. 29-98; C. Lacchia, Orientamenti di gusto nel collezionismo privato a Vercelli: Antonio Borgogna e la formazione delle raccolte d'arte moderna, in V. Natale (a cura di), Arti figurative a Biella e a Vercelli..., op. cit., 2006, pp. 129-142.

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egli raccolse pazientemente in quella collezione dei veri tesori: statue di celebrati autori, quadri dell'antica scuola pittorica vercellese, fra cui dei Giovanone, dei Lanino, degli Oldoni, dei Ferrari; quadri del Bazzi, del Tiziano, del Giorgione, del Lotto e di moltissimi altri; dipinti di scuola fiamminga, opere moderne di Stefano Ussi, di Gerolamo Induno, e di altri valenti; mosaici meravigliosi, ceramiche delle più celebrate fabbriche del mondo, oreficerie, avorii, armi antiche, stampe, libri preziosi, tappeti, mobili artistici, intagli...64

Il testamento di Antonio Borgogna ne confermava il forte impegno civico, non solo per le cospicue somme destinate agli istituti educativi e di assistenza e a opere pubbliche65, ma

soprattutto per il lascito del suo Museo (compresi il Palazzo Ferreri in cui aveva sede e una dotazione di 300 mila lire), con l'indicazione di farne un ente morale autonomo sotto il patronato del Municipio. Non era richiesto di mantenere inalterato l'aspetto della casa, ma è significativo che del piano terreno (quello che lo stesso collezionista aveva già trasformato in museo) il lascito comprendesse il mobilio dell'alloggio e dei giardini, «l'addobbo delle finestre i libri e la libreria, tavole, sedie, stipi, tappeti, stampe, disegni e simili, per quanto possano servire al creando Museo», secondo la traccia di un elenco predisposto dal medesimo testatore già nel 190366.

La notizia non era sfuggita all'ufficio regionale di Alfredo d'Andrade, soprattutto là dove i giornali riferivano delle 20 mila lire destinate al compimento del campanile dell'ex chiesa di San Marco67. Venne così informato anche il Ministero, cui il Direttore torinese si premurava di ricordare

come la collezione Borgogna comprendesse «ben 24 quadri di primo ordine», tra cui il dipinto del Ghirlandaio, la tavola cinquecentesca di Pietro degli Ingannati, i dipinti di Boniforte Oldoni, Giovanni Battista Giovenone, Sodoma, Tiziano e Gaudenzio Ferrari68. Con il Borgogna siamo di

64Ibidem.

65 Il testamento di Antonio Borgogna prevedeva ingenti somme di denaro destinate all'educazione e al sostegno economico della popolazione vercellese; nell'ambito delle opere pubbliche stanziava 5000 lire per l'impianto di edicole meteorologiche, 40000 per un monumento a Carlo Alberto, 30000 per una fontana di fronte all'ospedale, 20000 per il campanile dell'ex chiesa di San Marco: ibidem.

66 Il brano del testamento è tratto da una parziale trascrizione che si trova in: Sindaco di Vercelli a Sotto Prefetto di Vercelli, Vercelli 24 settembre 1906 (copia), in SBAP, FdA, fasc. 1310.

67Avv. Antonio Borgogna, necrologio, op. cit., 1906; C. Bertea a Sotto Prefetto di Vercelli, Torino 31 agosto 1906 (bozza), in SBAP, FdA, fasc. 1310. Qualsiasi intervento sul campanile necessitava dell'approvazione ministeriale, essendo San Marco monumento nazionale; secondo l'art. 100 del Regolamento 17 luglio 1904, n. 431, il Comune era tenuto a informare il Ministero anche della donazione Borgogna. D'Andrade farà da tramite tra il Sindaco di Vercelli e il Ministero della pubblica istruzione per l'approvazione dello statuto, avvenuta con Regio Decreto del 23 maggio 1907.

68 Le opere ricordate al Ministero sono copiate da un elenco a matita conservato tra gli atti dell'Ufficio Regionale (A.

d'Andrade a Ministero della Pubblica Istruzione, Torino 12 ottobre 1906, in SBAP, FdA, fasc. 1310: «Un quadro del Ghirladaio.

Uno di Degli Ingannati. Non si conoscono che due quadri di questo autore. Questo della Galleria Borgogna ed un altro a Berlino.

Uno di Bonofonti [sic] Oldoni. Questo è il solo quadro conosciuto di quest'autore. Uno di Giov. Batt. Giovenone. Anche il solo conosciuto di questo Giovenone. Uno del Sodoma.

Un Tiziano.

Un Defendente Deferrari».

117 fronte a uno dei rari casi in cui l'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti di Torino si fece partecipe della progettazione e dell'allestimento di un museo69; al contempo, il rapporto di

fiducia instaurato con il sindaco permise a d'Andrade di suggerire un diverso utilizzo del denaro messo a disposizione per il San Marco. Anziché affidare il completamento del campanile alla «fantasia di un qualche nostro moderno architetto, il che non appagherebbe certo le aspirazioni degli studiosi dell'arte e dell'antichità» e «non verrebbe ad accrescere di un solo grado il pregio storico del campanile stesso», il direttore proponeva di sfruttare le risorse per migliorare le condizioni statiche della chiesa, particolarmente compromesse in corrispondenza dell'abside70.

I commenti sferzanti e denigratori di Camillo Leone a proposito di Antonio Borgogna, dei suoi acquisti e delle sue collezioni, pur frutto di una malcelata invidia coltivata da un animo burbero e solitario, confermano due approcci differenti al tema del collezionismo e della costruzione di un museo. Leone fu per anni quotidianamente impegnato nello studio dei propri oggetti e nella compilazione di un loro catalogo; gli acquisti a Torino comprendevano armi, ceramiche, vetri, monete ma specialmente libri:

Tutto ben calcolato mi accorgo che in questi scorsi mesi ho di molto accresciuto la mia prediletta raccolta di libri, specialmente riguardanti storie dei nostri Municipj d'Italia. [...] Secondo il mio modo di vedere, non basta il raccogliere, continuar a raccogliere e sempre raccogliere oggetti antichi più o meno preziosi, ma è pur cosa indispensabile studiare tutte queste anticaglie e per conseguenza ci vogliono libri, e poi libri e libri ancora.71

Lo studio era lo strumento che Leone considerava indispensabile per poter mettere a segno gli acquisti, e lo indispettivano i consigli di Borgogna, che lo invitava invece a far «colorire le muraglie e dare la vernice alle porte e far tappezzare e fare qua e creare là ecc... ma se sapesse, dissi io parlando del Borgogna col pittore Rossaro, che il lavoro fatto da me esternamente non è altro che un superficialismo, un divertimento, forse riuscirebbe a capire che il lavoro che io faccio chiuso nel mio studiolo è ben altra cosa»72. L'ordinamento e l'allestimento delle collezioni

corrispondevano per Leone a una ricomposizione tutt'altro che effimera, come dichiarava nel 1892 all'amico Rossaro in visita presso la sua abitazione, dove aveva appena terminato di far appendere alle pareti del cortile e dell'atrio di ingresso «tutti gli oggetti antichi in marmo, pietra e terracotta [...]. La fatica non fu leggera [...] ma però ho avuto e ho la soddisfazione di avere raggiunto lo scopo che mi ero previsto, quello cioè di salvare, dalla completa rovina e senza dispersione, tanti oggetti interessanti per la storia, l'arte e l'archeologia».

Borgogna, nei momenti di pausa tra i viaggi all'estero e la partecipazione alle aste più prestigiose di fine secolo, dedicava risorse ed energie all'allestimento di opere e arredi all'interno della propria abitazione. Fin dal 1882 aveva chiesto all'amico ingegnere Ettore Tartara di

69 La vicenda, oltre a d'Andrade coinvolse anche Corrado Ricci.

70A. d'Andrade a Sindaco di Vercelli, Torino 23 gennaio 1908, in SBAP, FdA, fasc. 1310.

71 A. Rosso, Il Museo del notaio Camillo Leone.., op. cit., 2007, p. 75 (il brano, del 30 giugno 1877, è tratto dalle memorie inedite).

118 prolungare le due ali della villa verso il cortile e di unirle mediante un loggiato aperto, che avrebbe permesso il passaggio dal patio appena concluso, su cui affacciavano le sale museali, allo spazio del giardino. Le colonne del loggiato, impreziosite da rampicanti a spirale, facevano da sfondo alle sculture collocate all'aperto, secondo un impianto decorativo e scenografico cui faceva eco anche la sistemazione interna delle sale. L'accostamento di oggetti così come la successione dei nomi delle stanze (sala araba, sala dei vasi grandi, sala di Tiziano e Bianca Capello, camera verde del pianoforte...) creavano un'atmosfera suadente e ammiccante al lusso, sull'onda di un compiacimento estetico che, tra richiami all'esotico, alla cultura classica e alla produzione moderna, era veicolo prestigioso per l'immagine del collezionista e della sua residenza.

Uno sforzo di questo tipo era molto distante dalle corde di Camillo Leone, che si scagliava sulle ostentazioni del Borgogna mettendo in dubbio le sue qualità di conoscitore:

Diffatti in vari anni è riuscito ad acquistare la casa che attualmente occupa, di farvi costruire altre due maniche laterali, che tra parentesi costarongli varie migliaja di lire, proprio gettate dalla finestra, e con enormi spese ha acquistato un mucchio di roba, cioè statue in marmo ed in bronzo, quadri, stoffe, pellicce, libri, vasi moderni, e siccome ha visto che nelle raccolte fanno bella figura le armi antiche, per la tema di essere minchionato perché non se ne intende, fece la grande coglioneria di acquistare in Germania due panoplie in armi antiche, che fanno bella figura nelle sue sale, ma che un raccoglitore di cose antiche si vergognerebbe di tenerle esposte perché false, essendo di ghisa e, per conseguenza, ripudiate da qualunque raccoglitore anche principiante. E sì che all'Avv. Borgogna gliele fecero pagare saporitamente. E come di queste, così dicasi di altri oggetti di sua raccolta, da Esso Lui acquistate a capriccio e senza quell'indispensabile criterio artistico, come più di una volta ho sentito a ripetere da quelle poche persone intelligenti in materia, principiando dal pittore Rossaro e da altri73.

La conoscenza storica e il possesso del dato materiale legato alle opere acquistate era elemento imprescindibile per Leone, che incrementava le sue raccolte sul filo degli studi e della formazione di nuclei omogenei, piuttosto che sull'onda o sul consiglio delle dinamiche di mercato. La scelta dei dipinti era supportata dal riconoscimento dei dati di autenticità e dalla ricerca documentaria. Il recupero delle tavole e delle tele da lui acquistate si offriva come ulteriore occasione di conoscenza dell'opera, e per questo era affidato ai più fidati interlocutori nel campo degli studi e della tutela. Oltre al già ricordato Avondo, in città il referente più autorevole era il già citato pittore Ferdinando Rossaro (Vercelli, 1846-1927)74: consulente per il Comune e per l'Istituto

di Belle Arti in occasione di stime, perizie e valutazioni di dipinti, era tra i consiglieri più vicini a Borgogna nell'acquisto delle opere e nell'allestimento del museo (di cui sarà tra i primi componenti del comitato direttivo) e praticava al contempo l'attività di restauratore. Leone gli affidò il recupero

73 C. Leone, Memorie 1876-1901, op. cit., 2007, pp. 350-51 (24 aprile 1892).

74 Su Rossaro (1846-1927), allievo di Enrico Gamba e Francesco Hayez, avremo modo di tornare per il suo impegno nell'ambito del restauro. Per un profilo dell'artista: G. Rosso, Ferdinando Rossaro pittore (1846-1927), Vercelli 1978; C. Lacchia, Gustavo Frizzoni..., op. cit., p. 67 e nota 109, con bibliografia; S. Rebora, Le arti figurative a Vercelli dopo l'Unità d'Italia, in V. Natale (a cura di), Arti figurative a Biella e a Vercelli..., op. cit., 2006, pp. 95-112.

119 di svariate pitture, come testimoniano per esempio le pagine di diario dell'agosto del 1897, quando scriveva di aver messo in ordine vari dipinti su tavola restaurati dal pittore vercellese, o ancora le annotazioni, ancora inguaribilmente malevole, del giugno del 1901:

A differenza del mio vecchio amico, il Signor Avv. Antonio Borgogna il quale, colla smania che ha di acquistare quadri e di volere ad ogni costo intendersene, e mentre Lui li vuole che siano belli sia nel dipinto che nelle rispettive cornici, io invece cerco più volontieri quadri quasi sempre logori e stracciati, per cui mi succede di poterli avere per pochi soldi, mentre al Borgogna, che vuol essere intelligente, glieli fanno pagare varie migliaja di lire, ed il più delle volte, per voler troppo intendersene, gli appioppano certi cerotti che spaventano ed ha poi la pretesa che il pittore Rossaro glieli ristori, al che il Rossaro certe volte non vuole assolutamente saperne. Io invece, ancorchè siano logori e stracciati, me li ripara e bene, perché non stati impiastricciati da altri, come sono quelli dell'Avv. Borgogna75.

Le opere acquistate da Leone non erano certo esenti dall'intervento degli "impiastricciatori", ma dietro le brontolose memorie consegnate ai diari si può comunque leggere quella distanza che separava i due collezionisti vercellesi. Una distanza intenzionale e non casuale, dettata soprattutto da orizzonti e gusti diversi, dalla passione profusa nell'uno verso gli studi e la conservazione, nell'altro verso l'adesione al gusto contemporaneo e allo sviluppo delle arti, e rimasta tale fino al momento della consegna dei due musei alla fruizione pubblica. Del resto già nel 1881 Leone ricordava le parole con cui Borgogna aveva commentato una visita alle sue collezioni:

[...] io non sono del parere che convenga, sotto tutti i rapporti, spendere dei denari in oggetti, li quali stanno bene nelle raccolte pubbliche e nei musei, perocché chi volesse vedere, osservare, esaminare raccolte di oggetti antichi, può benissimo farlo nei pubblici musei e ve ne sono tanti che io credo non convenga a un particolare, anche danaroso, di gettar via dei denari in siffatte cianfrusaglie76.

Un'opinione che siamo certi dovette cambiare: Borgogna negli anni successivi dedicherà importanti risorse all'acquisizione di opere "da museo", e si affermerà l'idea che un museo potesse essere anche altro, per esempio la casa di un raffinato collezionista.

75 C. Leone, Memorie 1876-1901, op. cit., 2007, p. 495. A dicembre dello stesso anno Leone registra di aver «fatto riparare varii quadri dall'amico pittore Rossaro Ferdinando, per cui ho pagato un discreto gruzzolo di monete» e di aver fatto riparare lo stendardo avuto mesi prima in consegna dalla Giunta Municipale dalla signorina Lorenza Giacometti, per poi sistemarlo nel salone delle armi «fra le mani di uno dei due guerrieri, o meglio, una delle due armature colà esistenti, a far bella e veneranda mostra di sé» (ibidem, p. 500).

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4.2 Donare al Municipio: anticamera del museo e memoria della storia

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