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Etnografia e folclore in museo: il Civico di Cuneo

6.1 «Istruendo si educa»: Euclide Milano e i musei cunees

6.1.3 Etnografia e folclore in museo: il Civico di Cuneo

Concluso il proprio mandato presso l'amministrazione civica nel 1920, Milano si trasferiva a Cuneo, città dove era insegnante fin dal 1909 e dove dal 1913 era entrato a far parte della commissione per la biblioteca civica. Nonostante l'allontanamento dalla città avesse reso ancora più difficile la gestione del museo Bra, nel 1925 furono inaugurate le sale di arte antica e scultura e tra il 1925 e il 1928 lo studioso lavorò sulle carte manoscritte di Federico Craveri, mentre rimasero inascoltate le sue richieste di ampliamento della sede e le sue proposte per la realizzazione di sale cieche fornite di lucernario per la collocazione delle raccolte d'arte44.

Nel capoluogo Milano immaginava da tempo la realizzazione di un progetto museale analogo a quello braidese. La frequentazione della città gli aveva infatti consentito di mettere a fuoco i materiali già a disposizione, come per esempio la collezione di monete conservata in biblioteca o le lapidi antiche murate in vari edifici della città. Già nel 1920 Milano era in grado di presentarsi alla giunta municipale con un'accurata relazione, che ribadiva la sua concezione del museo e il ruolo che doveva assumere nella società:

41 Per un panorama delle collezioni artistiche del Museo di Bra: C. Barelli, G. Cravero (a cura di), Il Museo Civico di

Archeologia Storia Arte di Palazzo Traversa, Bra 2001.

42 G. Masoero (a cura di), Giovanni Piumati: pittore (1850-1915), Bra 1997.

43 Sulle opere del Cottolengo e sul rapporto di Milano con il pittore e amico Filippo Omegna (1881-1948): G. Cravero,

Appendice. Spigolature sulle collezioni artistiche, in R. Comba, E. Forzinetti (a cura di), Euclide Milano..., op. cit., 2004, pp. 138-144. Le scelte operate da Milano per le sezioni dell'ottocento e del novecento, così come la raccolta dei ritratti di uomini illustri, sono riprese dall'allestimento attuale, per cui si rinvia a C. Barelli, G. Cravero, Il Museo Civico..., op. cit., 2001. 44 Per risolvere l'insufficienza degli spazi, nel 1837 Milano sottoponeva al Podestà la proposta di trasferire le collezioni di arte e storia presso il quattrocentesco Palazzo Traversa, che nel 1935 era stato donato alla città dalla famiglia Boglione con il vincolo della destinazione museale. La soluzione sarà attuata solo con il nuovo allestimento della sezione archeologica nel 1991.

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V'è sete di soddisfazioni spirituali [...]; v'è necessità di istruzione alle masse [..]; v'è urgenza di più salda coscienza nazionale e di più compita educazione morale, a formare le quali nulla più giova che una miglior conoscenza del nostro passato e il culto del bello, giacché quella ci fa più forti e questo ci rende più buoni. Istruendo si educa: e per tal via gli uomini sono condotti a comprendere e ad amare.45

Il concorso dei cittadini per l'incremento delle raccolte era indispensabile, e Milano faceva appello alla loro sensibilità e al loro orgoglio portando a esempio numerosi casi italiani. Opportunamente le citazioni non comprendevano musei di città "capitali", né luoghi tradizionalmente noti per eccellenze artistiche o culturali; piuttosto si guardava ai centri medio piccoli più paragonabili alla realtà di Cuneo, come per esempio alcune località emiliane (Imola, Carpi, Mirandola, Colorno, Faenza, Cesena, Rimini). Per il Piemonte gli esempi a cui guardare erano individuati in Novara (di cui si ricordava il ricco museo civico distribuito in 15 sale, con un ricco patrimonio di dipinti e cimeli unito all'archivio storico), Domodossola, la piccola Pallanza, con il suo Museo del Paesaggio «opera del chiaro collega ed amico Prof. A. Massara»46, Varallo, Asti,

Casale e Torre Pellice, sede del Museo Valdese. La stessa provincia di Cuneo annoverava realtà ormai consolidate, come Casa Cavassa di Saluzzo, i musei archeologici di Alba e Benevagienna, il Museo Adriani e infine il Museo Craveri di Bra, dove Milano stesso aveva da poco fondato il Museo di Arte e Storia. Occorreva poi non dimenticare come la città avesse annoverato importanti collezionisti, come nel caso del «ricchissimo museo privato» dell'antiquario e amatore d'antichità Carlo Caissotti di Chiusano, un tempo comprendente «centinaia e centinaia di bronzi antichi (statue, gruppi, busti, lucerne, bassorilievi, vasi, ecc.) e marmi e musaici e pietre dure incise e monete, ecc.» ma che al momento risultava ormai disperso47. Ma per Cuneo «quella che ora si

dovrebbe volere e fare ad ogni costo è una collezione pubblica, accessibile a tutti, allo stesso modo che la scienza, un dì ristretta a poche classi privilegiate e quasi loro monopolio, tende ora a volgarizzarsi, a diventare patrimonio comune»48.

La visione didattica del museo implicava per Milano la considerazione non di raccolte disomogenee e affastellate, ma di un insieme organico e ordinato, che nella sua mente già prevedeva specifiche sezioni: archeologia, storia di Cuneo, cuneesi illustri, archivio storico, biblioteca storica e antiquaria, arte antica, arte moderna, etnografia e storia paesana. Per le collezioni mostrava di possedere una buona mappatura delle risorse a disposizione e contatti su tutto il territorio della provincia: per il settore archeologico, per esempio, ipotizzava il deposito delle numerose lapidi sparse per le chiese della diocesi, operazione su cui aveva ricevuto sostegno da

45 E. Milano, Per un civico museo di storia e d'arte. Relazione all'on. Giunta Comunale, Cuneo 1920, p. 6; il testo si trova ora riprodotto con note critiche in E. Milano, Un giardino di folklore. Tradizioni, leggende e canti popolari della Provincia di Cuneo, a cura di Agostino Borra, Rocca de' Baldi 2001.

46Ibidem, p. 8.

47Ibidem, p. 9. Sulla collezione di Carlo Caissotti (1749-1831) si rinvia a: P. Gerbaldo, La "Société d'Agriculture": vicende

storiche e culturali, in P. Gerbaldo, I. Bruno, Acque e agricoltura. Dalla "Société d'Agriculture" alle bonifiche Calandra, Torino 1998, pp. 17 e ss.

197 parte del canonico albese Alfonso Maria Riberi49, che insieme a Giuseppe Assandria era uno dei

suoi principali referenti. Al contempo non tralasciava di esporre soluzioni museografiche orientate a fornire un quadro generale della storia del territorio, provvedendo ove necessario alla realizzazione di copie, calchi in gesso e riproduzioni fotografiche. Nel solco di una dichiarata celebrazione della romanità, proponeva inoltre la realizzazione di una mappa dei ritrovamenti e delle sedi di conservazione dei resti (pubbliche e private), comprendente tutto il territorio della provincia ma non solo.

La sezione storica su Cuneo era costruita sul doppio binario del ricordo e della documentazione della forma urbana, mentre le sale destinate ai concittadini illustri sollecitavano l'orgoglio civico e lasciavano spazio all'ancor viva commemorazione dei caduti in guerra.

L'arte antica, assunta secondo una visione idealistica e contemplativa quale sollievo dalle miserie del quotidiano, era intesa anche come stimolo al perfezionamento del gusto e modello da applicarsi alle varie industrie. Per sgombrare il campo da complessi di inferiorità, Milano suggeriva di tralasciare i grandi centri come Torino, già provvisti di ricche pinacoteche, ma di guardare piuttosto alla Francia, dove anche le più piccole località coltivavano i propri musei, sostenuti tra l'altro dagli acquisti governativi. E sebbene al momento non si potessero annoverare numerose opere di proprietà del municipio, il museo avrebbe potuto documentare con fotografie e disegni i principali cicli affrescati del territorio e assumere nei confronti di queste testimonianze un ruolo di vigilanza e tutela (per esempio richiedendo autorizzazione e concorso del Ministero di fronte a dipinti isolati o in cattive condizioni espositive, che avrebbero potuto essere prelevati e trasferiti in museo). L'arte moderna, pensata anch'essa in una dimensione prevalentemente piemontese, assumeva invece un compito di educazione morale per tutte le fasce della popolazione:

[...] è chiaro che mentre una mostra d'arte antica giova a dare una coltura superiore, ma richiede anche la conoscenza delle diverse età della storia, una mostra d'arte moderna riesce per l'educazione delle masse molto più opportuna, e tanto più facile ad essere compresa in quanto s'ispira alla vita presente [...] Di questo profondo rinnovamento sociale e morale che si va compiendo attraverso scosse inevitabili le arti figurative risentono nell'incertezza delle forme, sì da parere smarrire in molte innovazioni estetiche, per le quali si direbbe che vogliano rinnegare gli elementi ond'era costituita l'arte del passato: ma ad un tempo negli artisti migliori è tutto l'ardore di un'identità nuova [...]. L'arte moderna, così avviata, è perciò ogni giorno più un elemento indispensabile alla vita: l'arte diventa un bisogno per tutti.50

La novità rispetto alle iniziative già presenti in provincia era rappresentata dalla sezione etnografica, riflesso degli studi in cui Milano era impegnato da diversi anni e «dai quali ricevono luce la filosofia sociale, la storia, l'arte, la letteratura, le scienze in generale»51. Lo studioso, che si

49 P. Camilla, Alfonso Maria Riberi: il Museo Civico e la storia di Cuneo, in AAVV, Il Museo Civico di Cuneo. Cronache,

personaggi, collezioni, estratto dal BSSSAA, n. 95, 2° semestre 1986, pp.43-57. 50Ibidem, pp. 37-38.

51Ibidem, p. 41. Sull'esempio del Museo etnografico siciliano di Palermo fondato da Giuseppe Pitrè (1841-1916), nel 1930 Milano proponeva al podestà di Torino la creazione di un museo dedicato al folclore regionale.

198 era già confrontato con i materiali cuneesi e con le possibilità di allestimento, avendo curato nel 1912 la mostra del folclore annessa all'esposizione dei prodotti della montagna52, aveva chiara in

mente la necessità di contestualizzare gli oggetti e di collegare ambiente, paesaggio e abitudini di vita:

Come cornice al quadro converrebbe anzitutto ornare la sala di fotografie dei più bei paesaggi della regione, specialmente di scene delle Alpi nostre [...] offrendo quadri pittoreschi – di cascate, di laghi, di villaggi – pieni di silenzio e di poesia e abbelliti dai fiori della leggenda. Entro questo contorno, che ci farebbe conoscere i luoghi ove specialmente i costumi antichi hanno gli ultimi loro rifugi, codesti costumi dovrebbero essere riprodotti o con

mannequins, o con disegni ad acquarello, o almeno almeno con altre grandi fotografie.53

A completamento della sezione etnografica Milano inseriva una «mostra della piccola e anonima arte popolare, che è l'intima, antica e silenziosa anima della nostra regione»54, una

espressione dell'identità locale che in quegli anni sollecitava studi e attenzioni in tutta la penisola: lo confermavano la raccolta suddivisa per regioni intrapresa dal direttore delle Belle Arti Arduino Colasanti, l'associazione costituita da Raffaello Giolli e Antonio Massara, l'esposizione romana della raccolta etnografica di Lamberto Loria e gli interessi nei confronti della tradizione popolare coltivati dall'architetto Giulio Ulisse Arata55.

L'attenzione dedicata agli oggetti di folclore era particolarmente viva nelle aree di montagna, dove la permanenza di culti e tradizioni aveva modo di riscattarsi dalla tradizionale immagine di ritardo e confluire nell'avanguardia degli studi. A Varallo, per esempio, ci fu intorno alla metà degli anni '20 un richiamo alla raccolta di memorie e testimonianze, su stimolo di Giulio Romerio e della Società di Conservazione, che nel 1925 lavorò a un catalogo degli elementi valsesiani caratteristici nel costume, nel paesaggio e nella natura56. Un punto di riferimento in

regione era rappresentato dal citato Massara, che collaborava alla rivista «Archivio per lo studio della tradizioni popolari» diretta da Giuseppe Pitrè (1841-1916), di cui era corrispondente, e che aveva rivolto i propri studi all'area novarese: tra il 1913 e il 1915 aveva dato alle stampe Tipi e canti della campagna novarese, con illustrazioni ed un'appendice di canti della risaia, e si era inoltre dedicato alla produzione drammatica popolare e agli usi nuziali. Lo stimolo offerto dai suoi contributi fu colto da Alessandro Viglio, che in occasione del Congresso delle Tradizioni Popolari

52 A. Borra, L'etnografia nel primo Museo Civico di Cuneo, in R. Comba, E. Forzinetti (a cura di), Euclide Milano..., op. cit., 2004, pp. 153-162.

53Ibidem, pp. 41-42. 54Ibidem, p. 45.

55 Come ricordava Milano, i volumi di Arata dedicati all'arte popolare sarda erano stati recensiti da Ugo Ojetti sul «Corriere della Sera» il 21 febbraio 1920.

199 del 1929 a Firenze gli riconobbe il ruolo di «vero banditore dell'importanza di tali studii»57. Nel 1931

la Società Storica novarese ospitava una relazione della prof. Cesare Rosa e cercava di impostare un discorso organico sul tema degli studi di folclore, affiancandosi all'Opera del Dopolavoro che «tende a risuscitare o a conservare il folklore sotto l'aspetto delle feste caratteristiche, delle adunate di costumi, delle cerimonie particolari, delle gare di canto, per allontanare le folle dalla pedissequa e servile imitazione delle usanze straniere e ricondurle alla bella tradizione paesana». La Società aveva il compito di riunire, ordinare e interpretare i frutti delle ricerche, «un immane materiale che può costituire una documentazione storica, diversa da quella delle pergamene, delle carte, di tutte le svariate fonti, e che ha pure la sua importanza», rilanciando accanto all'idea di un corpus sistematico anche quella di un museo che accogliesse mobili, utensili, vasellami, gioielli, merletti, abiti, adornamenti e «arte ingenua»58.

Nel 1929 Euclide Milano risultava tra i primi iscritti alla Società per gli Studi Storici, Archeologici e Artistici per la Provincia di Cuneo59. Con lui l'amico e collaboratore Alfonso Maria

Riberi60 e Attilio Bonino (1889-1970): prima sindaco e poi podestà di Cavallermaggiore, in qualità di

presidente della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti vi organizzò nel 1932 il primo congresso; autore tra il 1929 e il 1935 della Miscellanea Artistica della Provincia di Cuneo in tre volumi, studioso del barocco e autore di monografie su alcuni dei suoi protagonisti piemontesi (come Giovanni Antonio Molineri e Francesco Gallo), nonostante l'appartenenza al direttorio nazionale del partito fascista dal 1935 cadde in disgrazia e fu emarginato, subendo lo stesso destino che toccherà a Milano61. La donazione al comune di Savigliano, sua città di origine, della

sua collezione di dipinti e della sua biblioteca consentì di avviare le operazioni di recupero e riallestimento della sede museale per la riapertura del 197062.

Cuneo avrebbe inaugurato il suo Museo solo nel 1930 e temporaneamente, conferendo a Milano la direzione nel 1932. Il quotidiano locale «Sentinella d'Italia» registrava intanto le numerose donazioni e la crescita delle collezioni, cui fece seguito nel 1933 la ristrutturazione di tre

57 A. Viglio, Relazione per l'incremento degli studi di "Folklore" nella Provincia di Novara, in BSPN, a. XXIV, fasc. II-III, aprile-settembre 1930, pp. 332-333. Lo studioso novarese proponeva di diramare a maestri, amici e collaboratori delle «istruzioni» per la raccolta di racconti, novelle e leggende da sottoporre a una commissione di esperti per la creazione di un volume.

58 Le citazioni sono tratte da Proposte per l'incremento degli studi di folklore nella provincia di Novara, in BSPN, A. XXV, fasc. IV, ottobre-dicembre 1931, pp. 511-514. Il progetto museale non ebbe seguito; le collezioni di tipo demoantropologico presenti oggi nel museo novarese si devono al collezionismo di Alessandra Rognoni, per cui si rinvia a: M. L. Tomea Gavazzoli, 1985: La casa-museo Rognoni Salvaneschi, in Eadem (a cura di), Museo Novarese, op. cit., 1987, pp. 108-109; Eadem, "In regola colle convenienze". Abiti e pizzi fra Otto e Novecento nel Museo Rognoni, catalogo della mostra, Novara 1996, pp. 11-24.

59 E. Forzinetti, G. Griseri (a cura di), 70 anni per la "Granda". La Società per gli Studi Storici della Provincia di Cuneo dal

1929 al 1999, II ed., Cuneo 2002.

60 P. Camilla, Alfonso Maria Riberi..., op. cit., 1986.

61 Attilio Bonino era anche collezionista: nel 1970 il Museo di Savigliano inaugurò con una galleria a lui dedicata dove furono esposti dipinti e sculture da lui donati.

62 Bonino, che morì poco dopo l'inaugurazione del museo civico di Savigliano, ebbe modo di vederne il nuovo allestimento, che comprendeva nella "Galleria Bonino" il nucleo di oltre duecento tra dipinti e sculture da lui donato, comprendente opere piemontesi dell'otto e novecento: A. Olmo, Guida al Museo Civico..., op. cit., 1981.

200 nuove sale dello storico Palazzo Audifreddi. Conscio comunque dell'inadeguatezza degli spazi, l'anno successivo il direttore sollecitava l'abbattimento di due ali dell'edificio a favore della costruzione di una loggetta sormontata da sale con illuminazione a lucernari da destinare a pinacoteca63. Tra le due guerre Milano aveva infatti sollecitato l'acquisizione di dipinti, sculture,

calchi e copie per la formazione di una galleria di pittura moderna64.

La creazione di ambienti ciechi, illuminati da luce zenitale, per la collocazione dei dipinti, veniva proposta anche a Bra, dove però la mancanza di un sostegno politico adeguato impedì l'ampliamento del Museo Craveri. A Cuneo invece Milano godeva all'epoca del sostegno da parte del podestà e del senatore Giovanni Imberti, contro i quali nulla poterono le obiezioni sollevate da Giovanni Vacchetta e dal mondo culturale cittadino in merito alla manomissione di palazzo Audifreddi65. Intanto gli intellettuali di regime (come Marpicati e Pavolini) cominciarono a

contrastare gli studi di folclore, in cui vedevano un invito alla frammentazione dell'identità nazionale che si preferiva invece ricondurre alla comune impronta latina66. In seguito alla nuova apertura del

museo di Cuneo nel 1934, Milano continuò a sollecitare la raccolta di ulteriori documenti67 e nel

1936 si apprestò al riordino delle collezioni, operazione che dovette interrompere l'anno successivo a causa del coinvolgimento in uno scandalo che ne determinò l'allontanamento forzato e il trasferimento a Rovigno d'Istria.

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