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2.2 «Un tutto classificato razionalmente e per ordine cronologico»: il Museo Lapidario Bruzza e l'archeologia vercellese

4.3 Donare per creare un museo, tra promozione delle arti e ritratto di una classe borghese: la Pinacoteca Viecha

4.3.3 La consistenza della collezione

Il Civico di Torino, tradizionalmente considerato il primo museo d'arte moderna istituito in Italia, aveva in realtà un precursore nella Pinacoteca Viecha, cui il notaio impresse un forte indirizzo di promozione dell'arte contemporanea e di celebrazione delle glorie locali. Insieme ai dipinti di Giovanni e Teodolinda Migliara, il dono comprendeva un gruppo di disegni di Francesco Mensi con ritratti di cultori alessandrini delle arti e della storia patria, quasi a formare una galleria

134 Cenni di sentimentalismo accompagnano anche il riferimento a una delle opere incluse nel dono, Il ciarlatano Dulcamara

che vende l'Elisire, quando Viecha vi annotava accanto che «intorno a questo dipinto l'artista lavorava alle ore 4 pomerid.e del giorno 18 di Aprile 1837, e tre ore dopo spirava!»: Elenco dei dipinti di proprietà del Notajo Certificatore Antonio Maria Viecha donati al Municipio di Alessandria, 5 dicembre 1854, seguito da Altri oggetti donati dal sud.o Sig.r Notajo Antonio

Maria Viecha addì 20 giugno 1855, in ASAL, ASCAL, serie IV, b. 1771.

135 V. Lazari, Notizia delle opere d'arte e d'antichità della Raccolta Correr di Venezia, Venezia 1859; Museo Civico e

Raccolta Correr di Venezia. Doni fatti al Museo dalla sua fondazione fino al 1880 e cenni intorno al suo collocamento nel nuovo edificio, Venezia 1880.

136 Cfr. § 4.2.2. 137 Cfr. § 4.4.

134 degli alessandrini illustri: nel 1838 «quello del detto Cav. Migliara, l'altro dell'Esimio Giureconsulto e letterato Giacomo Antonio De Giorgi, il terzo dello scultore Canigia altro compatriota ed il quarto dello stesso Pittore Mensi», a cui si unirono nel testamento del 1839 il ritratto di Teodolinda Migliara, nel 1851 del civico bibliotecario Giuseppe Pellati e successivamente del professor Giovanni Antonio Scazzola. Alla biblioteca era destinata già dal 1838 «una collezione di scenari, coloriti in due volumi in Foglio, opera magnifica ed inedita dell'Egregio Pittore ed Architetto Alessandro Sanquirico nato in Milano ma oriundo del Bosco, e come tale anch'esso nostro Concittadino, dal medesimo donatami in pegno di sua verace amicizia»138. Viecha accresceva il

nucleo delle opere in dono aggiungendo nel 1848 l'apprezzatissimo dipinto a olio del Mensi raffigurante Zefiro e Psiche e nel 1851 il quadro di soggetto napoleonico dipinto dal Cav. Borroni di Voghera e oggi non più reperibile139. L'elenco completo delle opere, compilato tra il dicembre del

1854 e il giugno del 1855, comprendeva inoltre il Tramonto del sole sulla Jung Frau di Giacinto Corsi (appena esposto alla Promotrice di Torino) e acquerelli di Ferdinando Storelli, Federico Moja e Luigi Bisi, quasi a completare il panorama artistico coevo a Migliara, con particolare accento sui suoi diretti seguaci140.

Il nucleo costitutivo della Pinacoteca presentava un'indubbia coerenza e si mostrava in rimarchevole sintonia con le Notizie sui celebri pittori e su altri artisti alessandrini del De Giorgi, pubblicate nel 1836 con le integrazioni di Cristoforo Mantelli e che non a caso Viecha aveva voluto includere nella donazione141. Il volume, presentato come «un saggio di storia pittorica del

municipio»142, aveva lo scopo di rivalutare il ruolo di Alessandria nello sviluppo delle arti, facendo

leva non solo sulle recenti fortune dei suoi più celebri concittadini (Canigia, Migliara, Sanquirico) ma tentando anche l'abbozzo di una prima storia artistica del territorio, che avrebbe contribuito a smentire il tradizionale pregiudizio sull'inattitudine alle belle arti da parte dei piemontesi. L'intento

138 M. I. Biggi, M. R. Corchia, M. Viale Ferrero (a cura di), Alessandro Sanquirico: il Rossini della pittura scenica, Pesaro 2007. A tal proposito è interessante ricordare la passione per il teatro del notaio Viecha, che nei primi testamenti aveva lasciato disposizioni anche per la destinazione del proprio palchetto.

139 Il dipinto raffigurava «la Vittoria, che offre la Corona d'Italia a Napoleone, dopo la battaglia di Marengo». La celebrazione dell'epopea napoleonica, viva nell'alessandrino per i riferimenti alla battaglia di Marengo e che nella prima metà dell'ottocento veniva consacrata dal grandioso progetto museale di Villa Delavo (M. Tomiato, Villa Delavo: la rivisitazione del mito napoleonico nella prima età risorgimentale, in V. Castronovo (a cura di), Alessandria dal Risorgimento all'Unità, op. cit., 2008, pp. 70-75), è presente nella donazione di Viecha anche con il volume di «ritratti incisi dei Marescialli di Francia, comminciando da Napoleone» inseriti nella donazione a partire dal testamento del 1848.

140 Elenco dei dipinti di proprietà del Notajo Certificatore Antonio Maria Viecha..., cit. Viecha elenca un acquerello per ciascun autore, senza indicazione di titoli; nell'inventario del 1877 (cfr. nota 14) Mensi riporta al n. 25 la Piccola chiesa ottagona e frati di Federico Moja (che in E. Filippelli, Catalogo della Pinacoteca Viecha di Alessandria, Alessandria 1915, cat. n. 45, diventa Duomo di Lugano di Angelo Moia, cui si attribuisce un secondo acquerello, Grotta, anch'esso indicato come dono di Viecha), al n. 30 il Portico con acqua sottostante: lavandai ed una barca di Luigi Bisi (che sembra corrispondere all'acquerello pubblicato in F. Grana, La civica amministrazione alessandrina a sostegno degli artisti locali: notizie di alcuni pensionati artistici da Francesco Mensi a Giovanni Battista Rossi, in V. Castronovo (a cura di), Alessandria dal Risorgimento all'Unità d'Italia, op. cit., 2008, p. 57 con attribuzione a Federico Moja) e al n. 34 un «acquarello a bistro» di Storelli (che in Filippelli 1915, cat. n. 46, è indicato come Paesaggio alpestre).

141 Nel 1827 Viecha e De Giorgi, insieme a Giuseppe Casalini Mantelli, erano iscritti alla Società di Lettura sorta in Alessandria: ASAL, Archivio Civalieri di Masio, b. 43, fasc. 16.

135 era rafforzato con il cenno esplicito alla Lettera al Conte Giuseppe Franchi di Pont di Costanzo Gazzera del 1820, ma anche con il richiamo ad alcuni dei più autorevoli esponenti della storiografia artistica, come Leopoldo Cicognara e Seroux d'Agincourt. Un riferimento quest'ultimo di un certo interesse, se ricordiamo come fin dal 1848 Viecha avesse disposto di donare alla biblioteca civica i sei volumi di testo e i tre di incisioni proprio della Storia dell'arte dimostrata coi monumenti.

L'edizione del 1836 presentava, accanto alle Notizie, un altro inedito del De Giorgi dedicato alla biografia di Giovanni Migliara, che secondo una consueta sovrapposizione tra virtù umane e qualità artistiche era additato quale esempio per i «giovanetti alessandrini», chiamati a onorare la patria «coll'indefesso studio, e con tutte le forze del vostro ingegno»143. Più avanti nel testo, una

nota redatta da Mantelli a proposito del fratello di Giovanni, l'intagliatore Giuseppe Migliara (di cui Viecha donava al municipio una piccola testa in avorio), forniva lo spunto per elogiare la qualità dell'ebanisteria e più in generale dell'artigianato locale, e soprattutto per una lunga arringa a favore della creazione in città di scuole di disegno, di ornato, di geometria e di meccanica applicate alle arti. L'esortazione ai giovani e l'attenzione alla loro istruzione richiamano le parole con cui Viecha nel testamento del 1838 esprimeva le ragioni che l'avevano spinto al dono, ossia «la speranza che animerà qualche altro mio concittadino ad arricchire questa picciolissima raccolta di qualche buon dipinto, onde poter poi col tempo formare una piccola sì, ma scelta Pinacoteca, che servirà d'istruzione a quei giovani, che si dedicano alle Belle Arti, e di sprone a seguire l'esempio di que' sommi che hanno illustrato colle opere loro la patria, dalla quale vennero generosamente rimunerati, e per cui la loro memoria è tramandata ai posteri più lontani». Il tema dell'educazione era caro al notaio alessandrino, che tra le sue prime disposizioni destinava una somma cospicua alla fondazione di un asilo di carità, visto come il solo mezzo capace di migliorare le sorti delle classi indigenti, fornendo loro strumenti di conoscenza e di educazione morale, sull'esempio degli istituti già da qualche tempo introdotti nel Lombardo Veneto, in Toscana e in altre città italiane144.

Le opere d'arte fin qui citate non dovevano rappresentare l'intera collezione di Viecha, che fin dal 1839, pur offrendo in eredità tutti i dipinti presenti nel suo gabinetto al momento del decesso, aveva escluso dalla devoluzione i ritratti di famiglia. Indice di un possibile ulteriore ambito collezionistico del notaio potrebbe essere la testa di marmo cinquecentesca, raffigurante una giovine donna, inclusa nel legato: la sua presenza avrebbe potuto stimolare l'incremento delle raccolte museali in direzione dell'arte antica ma anche porsi quale esempio di ispirazione classica per lo studio e l'esercizio dei giovani artisti.

I testamenti presentano inoltre una discreta quantità di oggetti e preziosi, lasciati in eredità agli amici più intimi145: brevi descrizioni che lasciano però intravedere predilezioni di gusto, affinate

143Ibidem, pp. 35-36.

144 La disposizione, inclusa nel testamento del 1838, nel 1848, fondato ormai il Pio Istituto degli Asili di Carità, fu mantenuta in forma di sostegno all'attività dell'istituto.

145 Accanto a Luigi Capasoni e Pietro Stura, al fratello Francesco, alla sorella Luisa, al cugino Giuseppe Pirattoni e al nipote Alfonso Balbi, compaiono colleghi (i notai Carlo Archini e Giovanni Sacco, il causidico Giuseppe Archini), professionisti (il protomedico Francesco Quaglia, l'avvocato Vincenzo Capriolo), alti funzionari (il Cavaliere Giuseppe Sacco Intendente Generale e Segretario di Stato, Gaspare Archini Segretario del Governo), insieme a Giuseppe Pellati e all'amico pittore Francesco Mensi.

136 nel corso dei viaggi in Italia e all'estero, e ulteriori interessi nel campo delle belle arti. Oltre ad alcuni oggetti d'uso e curiosità, come la «zucriera d'argento di forma antica» e la scatola di lava acquistata a Napoli, compaiono diversi gioielli (un piccolo anello d'oro con un rilievo rappresentante un Antinoo, una spilla di porcellana di Sevres «nel cui interno si vede un uccello e fiori» e un altro interessante anello «con piccola pietra antica rinvenuta nelle rovine dell'antica Luni nel cui interno vi è inciso un carro con cavalli»), diverse stampe incise dal Morghen146, una scatola d'oro avuta in

dono dal marchese Paulucci e due pendule in bronzo dorato, l'una denominata «La Meditativa» e l'altra, acquistata a Parigi, detta «Les Naturalistes». Un trattamento speciale era riservato al pittore Francesco Mensi, cui il notaio lasciava nel 1838 in attestato «della sincera amicizia e vivo attaccamento» il proprio orologio a ripetizione, «montato su pietre dure, con sua catenella d'oro», poi sostituito nel 1851 da «una spilla di diamanti composta di tre pietre, e due palme montate in piccoli diamanti». Un affetto manifestato anche dalla disposizione di annullare qualsiasi debito eventualmente in corso per lui così come per la sua famiglia.

Nei testamenti successivi l'erede universale di Viecha era indicato nel nipote Alfonso Balbi, figlio della sorella Luisa e impedito a svolgere la professione notarile per la salute cagionevole147.

Pur non essendo una condizione vincolante, il nipote accolse con favore la richiesta di aggiungere al proprio cognome quello del generoso zio, cui dimostrò la propria riconoscenza facendo erigere nella cappella di famiglia un monumento funebre degno di attenzione, e di cui ci si augura che futuri riscontri documentari possano chiarire la vicenda.

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