2.2 «Un tutto classificato razionalmente e per ordine cronologico»: il Museo Lapidario Bruzza e l'archeologia vercellese
4.5 Donare per educare: le raccolte scientifiche e di viagg
4.5.3 Storia naturale e musei: il ruolo del CA
A partire dal 1859 la normativa per la pubblica istruzione prevedeva che nei licei la cattedra di storia naturale fosse fornita di piccoli musei (nel 1885 la norma fu estesa anche alle scuole tecniche di secondo grado). Il collezionismo di scienze naturali divenne fenomeno diffuso fin nei più piccoli centri, in parte per la valenza didattica strettamente legata alla conoscenza del luogo, in parte per la rete fitta di scambi e corrispondenze che caratterizzò questa felice stagione della ricerca naturalistica214. Grazie anche all'evoluzione degli studi mineralogici e paletnologici, musei di
carattere scientifico/archeologico sorsero in particolare in area alpina, favoriti anche da una comunione di intenti e di interessi che animava le nascenti sezioni del Club Alpino Italiano215.
Federico Craveri per esempio, che tra i meriti ebbe anche quello di aver dato inizio all'alpinismo extraeuropeo italiano, fu tra i duecento firmatari che sancirono la fondazione del CAI nel 1863. Un altro socio e attivista del Club era don Pietro Calderini (1824-1906), direttore della Regia Scuola Tecnica di Varallo, che nel 1867 inaugurò il museo grazie al contributo di amici collezionisti (tra cui Bartolomeo Gastaldi) e di concittadini viaggiatori e migranti. Indice di un rigore disciplinare ancora di là da venire, ma anche della vastità degli interessi del fondatore, il Museo si componeva di una sezione di storia naturale dedicata alla flora e alla fauna valsesiana, di raccolte ornitologiche, mineralogiche, paleontologiche, etnografiche, ma comprendeva anche oggetti egizi, ceramiche cinquecentesche, vetri, armi antiche, bronzi e avori216.
Bartolomeo Gastaldi ebbe un ruolo importante nello sviluppo degli studi e delle iniziative di carattere scientifico e museale piemontesi. Un ulteriore esempio della sua influenza è riscontrabile a Mondovì, dove don Carlo Bruno (1831-1916), ordinario di Fisica e Storia Naturale nel Seminario Vescovile e professore presso il Regio Istituto Tecnico, ne dirigeva il Museo di Storia Naturale217.
L'istituto, fondato nel 1854 e ospitato insieme ad altre scuole presso l'antico convento francescano detto di Nostra Donna, si era dotato di un Gabinetto di Storia Naturale, ove si raccolsero campioni mineralogici, zoologici, botanici e «oggetti antichi» (come i resti di un mosaico, un'urna, un
214 Un quadro d'insieme delle raccolte scientifiche nelle scuole del cuneese è dato da L. Mano, Collezionisti d'ossa. I
gabinetti di storia naturale e le raccolte paleontologiche nelle scuole del cuneese, in M. Venturino Gambari, D. Gandolfi (a cura di), Colligite fragmenta..., op. cit., 2009, pp. 157-164.
215 G. Garimondi, Il Club Alpino Italiano, la scienza, i musei, in A. Audisio, D. Jalla, G. Kannès (a cura di), I Musei delle
Alpi..., op. cit., 1992, pp. 21-25.
216 M. Cometti, Varallo Museo di storia naturale «Don Pietro Calderini», in A. Audisio, D. Jalla, G: Kannès, Musei delle
Alpi..., op. cit., 1992, pp.106-109.
217 A. De Marchi, Il "Lascito Serra" e le collezioni didattiche dell'Istituto Tecnico "Giuseppe Baruffi" di Mondovì, op. cit., 2006; A. De Marchi, Don Carlo Bruno, in M. Venturino Gambari, D. Gandolfi (a cura di), Colligite fragmenta..., op. cit., 2009, pp. 395-396.
154 mattone, un sepolcreto, alcune monete...): essendo l'unico museo monregalese, vi confluiva infatti ogni tipo di donazione. Le conoscenze di don Bruno dovettero favorire il prestigio del Gabinetto, in particolare grazie alla frequentazione di Gastaldi, che accompagnava i suoi studi e le sue ricerche in ambito naturalistico, scientifico e archeologico, e a cui don Bruno aveva inviato alcuni esemplari locali di asce in pietra verde per le raccolte torinesi.
Altri esponenti della comunità scientifica fecero doni importanti al museo, come il già citato don Pietro Calderini, il paleontologo torinese Giovanni Michelotti (di fama internazionale, cui si deve la collezione donata nel 1880 al Museo di Paleontologia della Sapienza) e il professor Giovanni Battista Amerano, padre superiore della Missione a Mondovì, che donò armi e oggetti preistorici, frutto di scavi e ricerche da cui ebbe origine il primo nucleo del museo civico di Finale Ligure e un nucleo di reperti confluiti alla sua morte, nel 1918, al Museo di Antichità. Il Municipio di Mondovì aveva ricevuto intanto due lasciti significativi, quello del notaio Francesco Felice Serra (1792-1867), che donava il suo intero patrimonio immobiliare insieme a libri, stampe e litografie, monete antiche, medaglie e oggetti di storia naturale, e il personale «Museo di Storia Naturale» che Giovanni Garelli (1825-1881) consegnava alla città nel 1881 con l'intento di incoraggiare gli studi. I fratelli Garelli erano due personaggi noti alla città per l'impegno pubblico: Felice Garelli (1831-1903), insegnante come don Bruno, fu deputato e poi senatore del Regno dal 1892; Giovanni era invece laureato in medicina (fu anche medico del re), amico di Cavour e Rattazzi, fu anch'egli deputato e si impegnò in particolare per favorire i collegamenti ferroviari della zona. Entrambe i fratelli erano coinvolti nel CAI: Felice era stato presidente della sezione monregalese, mentre Giovanni nel 1875 aveva dedicato la prima edizione delle sue Escursioni da Mondovì alla caverna ossifera di Bossea al protagonista della fondazione del Club, Quintino Sella.
Sono noti l'impegno politico, scientifico e culturale del celebre statista218, di cui si registra
l'influenza su numerose iniziative territoriali piemontesi. Un'attenzione speciale segna le sue iniziative in ambito biellese, sua terra d'origine, che poté godere della sua ampia rete di contatti personali e istituzionali219. Nel 1864 aveva donato al municipio una raccolta, classificata e descritta,
di rocce del circondario, che erano state presentate in occasione della prima riunione straordinaria della Società di Storia Naturale Italiana. L'assemblea si era tenuta in quello stesso anno proprio a Biella, e nell'occasione Sella era andato ben oltre la divulgazione dei dati scientifici, segnalando ai convenuti le testimonianze artistiche presenti in città (oggetto anche di una mostra temporanea) e gli ornati in terracotta che si potevano osservare sugli edifici passeggiando per le vie. Con l'occasione auspicava il sorgere di un museo patrio, e in quest'ottica avviava in quegli stessi anni la formazione di un archivio storico dedicato a Biella e al suo circondario.
Lo studio del territorio travalicava infatti i soli dati delle scienze positive ma si qualificava secondo una visione più organica e complessiva, che coniugava i caratteri dello spazio fisico e dell'ambiente con quelli delle attività umane nel loro svolgimento lungo i secoli. Alla base di questo approccio stava la convinzione che la conoscenza dei luoghi e delle loro testimonianze, nell'ambito
218 C. Vernizzi (a cura di), Quintino Sella tra politica e cultura, 1827-1884, atti del convegno nazionale di studi (Torino 1984), Torino 1986; P. L. Bassignana, Quintino Sella tecnico, politico, sportivo, Torino 2006.
155 della natura e insieme della storia, fosse il veicolo più efficace per la costruzione di un sentimento identitario. Ne derivava un legame stretto con l'istruzione e la formazione dei cittadini, prevalentemente attraverso il canale delle scuole.
A partire dal 1864, presso il Ginnasio di Biella era stata avviata la formazione di una Biblioteca e di un Gabinetto scientifico. Nel 1869 Sella promuoveva l'apertura della Scuola Professionale, a cui lui e il fratello donarono gran parte delle loro biblioteche scientifiche; i documenti raccolti, che comprendevano la collezione geognostica ma anche le terrecotte lavorate raccolte dallo stesso Quintino, non erano prerogativa degli allievi ma oggetto di pubblica esposizione. Come in altri casi, l'iniziativa stimolò ulteriori donazioni da parte di collezionisti privati: tra queste quella giunta nel 1896 da parte del Cav. Giuseppe Masserano, che lasciava alla Scuola Professionale della città una raccolta di «quadri sopra tavole e tele giudicati di classici pennelli» con l'obbligo di garantirne la pubblica esposizione e con lo scopo di educare il gusto dei giovani studenti220.
Nel 1887 intanto il CAI aveva radunato materiali naturalistici, mineralogici ed etnografici, insieme a documentazioni fotografiche e cartografiche, nel Museo Locale Biellese. Nel 1908 il Sindaco di Biella, su consiglio del direttore del Museo di Antichità di Torino Ernesto Schiapparelli, aveva avviato con l'acquisto di un primo nucleo la formazione di una raccolta archeologica. Nel 1932 tutti questi materiali confluirono nel Museo Civico, seguendo un progetto a cui aveva a lungo lavorato Alessandro Roccavilla (1865-1929), studioso di storia locale e promotore delle iniziative culturali del territorio221. Autore nel 1905 di un volume dedicato all'Arte nel biellese, su incarico di
Lamberto Loria a partire dal 1909 aveva assunto il compito di recuperare le testimonianze piemontesi e lombarde da presentare alla Mostra di etnografia italiana di Roma del 1911, secondo un'accezione degli studi etnografici ancora vicina alla ricerca antiquaria e folklorica222.
Nelle raccolte di area alpina la presenza di testimonianze sulla tradizione dei luoghi erano motivo di rivalutazione delle attività produttive che caratterizzavano il territorio, in particolare sul fronte dell'artigianato, con lo scopo di favorire il rilancio economico dei piccoli paesi di vallata. Con questi intenti l'imprenditore Gian Giacomo Galletti aveva dato vita nel 1873 all'omonima Fondazione, che si proponeva di «provvedere all'istruzione ed educazione morale, all'incremento dell'industria, ai fini della beneficenza e in genere al miglioramento delle condizioni economiche degli abitanti dell'Ossola». Pur originato da intenti di carattere prevalentemente economico, l'ente fu portatore di importanti iniziative culturali, malviste da una parte degli organi direttivi votata invece
220 La collezione, che riflette le scelte del gusto di corte tra sei e settecento (con opere di B. Guidobono, G. Crosato e V. A. Cignaroli) fu ceduta alla Città di Biella nel 1939: V. Natale, La collezione Giuseppe Masserano, in «Rivista biellese», 1997, n. 1, pp. 24-28. In occasione della mostra presso il Museo del Territorio Biellese "I modelli del bello. Classici pennelli della collezione Masserano" (giugno-settembre 2007), Vittorio Natale ha identificato il nucleo originario della collezione con l'antica raccolta del pittore e scenografo Bernardino Galliari.
221 U. Gulmini, A. Quazza, Un "Museo in formazione": per una storia del Museo Civico di Biella, in G. Romano (a cura di),
Museo del Territorio Biellese. Ricerche e Proposte I, Biella 1990, pp.15-39.
222 D. Albera, C. Ottaviano, Un percorso biografico e un itinerario di ricerca: a proposito di Alessandro Roccavilla e
dell'esposizione romana del 1911, Quaderni della ricerca della Regione Piemonte n. 3, Torino 1989; gli studi di Roccavilla sull'arte e la cultura del territorio confluirono in una serie di interventi pubblicati sui periodici locali, per cui si rinvia a P. Bellardone, G. Cavatore (a cura di), Alessandro Roccavilla e "La Rivista Biellese", Biella 1991.
156 alla realizzazione concreta e immediata di utili e profitti223. Non secondario per l'esito delle vicende
era stato il ruolo del più importante tra i potenziali donatori per un futuro museo, il collezionista e storico locale Giacomo Pollini (1827-1902)224, che con le sculture lignee e i dipinti di scuola
vigezzina di sua proprietà avrebbe potuto garantire un solido nucleo di partenza per una raccolta storico-artistica, da affiancare a quella già consolidata di stampo scientifico. La strada verso l'avvio di un museo a Domodossola infatti era stata segnata già da precedenti esperienze, in particolare presso il Collegio Mellerio, dove fin dagli anni '40 i rosminiani coltivavano gli studi naturalistici, e con la creazione nel 1870 dell'osservatorio meteorologico del CAI, aperto alla raccolta di oggetti tipici e fotografie e a cui il pittore Federico Ashton aveva presto donato alcune sue vedute225.
La Fondazione Galletti nel 1874 aveva accolto questi primi nuclei e aveva cominciato ad affiancarvi raccolte di numismatica, arte e archeologia, seguite da un lapidario e da una galleria di dipinti226; intanto prevedeva l'avvio di una scuola di disegno e intaglio rivolta alle classi popolari. La
crescita delle collezioni anche in questo caso convogliava la generosità dei cittadini, vicini e lontani: nel 1881 per esempio, grazie al gran numero di ossolani che erano emigrati oltreoceano, all'interno delle raccolte scientifiche (che nel frattempo erano state trasferite in Palazzo San Francesco, acquistato apposta) fu creata una specifica sezione "americana". Per la sede delle collezioni d'arte si presentava invece l'opportunità di acquistare Palazzo Silva, una delle residenze storiche di Domodossola che nel 1880 venne posta in vendita insieme a tutti gli oggetti che conteneva, con l'inevitabile rischio di una dispersione sul mercato antiquario.
Pollini ebbe un ruolo significativo sia per la deliberazione di acquisto, sia per la conversione dell'edificio all'utilizzo museale: in particolare, si dovette a lui la chiamata di Vittorio Avondo, che per le sue qualità di «artista archeologo» ebbe l'incarico di sovrintendere ai lavori di restauro, cui impresse un orientamento filologico allineato al più recente dibattito nazionale e a quel recupero degli stili del medioevo piemontese che guidava in quegli stessi anni la concezione del Borgo torinese. Da parte sua, Pollini era impegnato nella costruzione di un museo che riflettesse la fisionomia artistica e culturale locale, con un occhio di riguardo a quella "Valle dei pittori" che era stata oggetto anche dei suoi studi storici; le sue donazioni di opere d'arte affiancavano il procedere dei lavori di recupero di Palazzo Silva e il suo contributo si sarebbe protratto anche dopo la scomparsa: le volontà testamentarie attribuivano infatti alla Fondazione Galletti una rendita annua che doveva servire «per fare acquisto coi suoi redditi di pregievoli Opere d'Arte di artisti Vigezzini, da collocarsi poi nel Museo d'Antichità del Palazzo Silva nella sala dei medesimi da me iniziata; perciò sarebbe anche mio desiderio che venisse chiamata Sala Pollini»227.
223 G. Kannès, Vittorio Avondo e il restauro di palazzo Silva a Domodossola, in R. Maggio Serra. B. Signorelli (a cura di),
Tra verismo e storicismo..., op. cit., 1997, pp. 175-189.
224 D. Gnemmi, Giacomo Pollini storico, patriota, benefattore, Milano 1995.
225 V. Moro, Domodossola Museo Galletti, in A. Audisio, D. Jalla, G: Kannès, Musei delle Alpi..., op. cit., 1992, pp. 133-138; G. Moro, I musei della Fondazione Galletti di Domodossola 1875-1982, Domodossola 2000.
226 Come ricorda Kannès, dietro le iniziative di acquisizione occorre riconoscere il ruolo avuto dal segretario della fondazione Giacomo Trabucchi, che nel 1877 era stato nominato Ispettore agli scavi e musei del Regno.
227 La citazione è tratta dal testamento olografo del 3 aprile 1900, pubblicato in: http://www.antichefamiglie.net/testamento 3aprile1900.htm.
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