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2.2 «Un tutto classificato razionalmente e per ordine cronologico»: il Museo Lapidario Bruzza e l'archeologia vercellese

3.2 Il Museo di Antichità di Torino: accentramento dei saperi e dei repert

3.2.1 L'iniziativa regia

Nei decenni preunitari la promozione delle indagini archeologiche e la pubblica esposizione dei reperti erano state di sostegno al disegno politico con cui il Piemonte voleva affermare la propria egemonia sugli altri Stati italiani. Le campagne di scavo condotte in numerose località del regno intrecciavano così interesse collezionistico, intento educativo ed esaltazione dinastica, per fornire ai sudditi ma soprattutto agli altri stati della penisola i documenti che accertassero le lontane

69 e autorevoli origini dei Savoia e dunque la legittimità delle loro mire di governo34.

Le collezioni di antichità fin dalla prima metà del '700, quando Vittorio Amedeo II nel 1723 aveva chiamato a Torino Scipione Maffei per il loro ordinamento, avevano avuto sede nel Palazzo dell'Università35, sede della tutela e della ricerca. Gli sviluppi dell'archeologia torinese nel solco del

più generale disegno culturale sabaudo avevano ricevuto ulteriore conferma nell'ambito delle note riforme di Carlo Felice e Carlo Alberto, in particolare con il trasferimento nel 1832 nel Palazzo dell'Accademia delle Scienze36. Qui, unite alla raccolta egizia della collezione Drovetti, furono parte

insieme alle collezioni scientifiche della prima organizzazione del sistema museale pubblico di derivazione regia.

Intanto cresceva l'interesse per la ricerca archeologica locale, estesa a tutto il territorio piemontese: gli studi di primo '800 sugli antichi insediamenti romani di Pollenzo, Industria, Aosta e Torino facevano eco al potenziamento delle ricerche sulla storia antica della regione in seguito al ritorno dalla Francia dei reperti requisiti dalle armate napoleoniche. La conoscenza pubblica del patrimonio archeologico fu oggetto di un censimento promosso da Carlo Felice nel 1825 e affidato a una commissione composta dei membri dell'Accademia delle Scienze, di quella di Belle Arti e dal direttore del Museo di Antichità; su questa scia si collocò la promozione carloalbertina della Giunta di Antichità e Belle Arti che, creata nel 1832, doveva tutelare anche scavi e reperti.

Queste iniziative rappresentano gli strumenti con cui casa Savoia avviava la costruzione di specifici organismi istituzionali destinati a esercitare la tutela sul patrimonio di antichità e belle arti presente nei territori del regno. L'opera di controllo si precisò con la creazione dell'Ispettorato dei Monumenti di antichità del 1837: diretto da Carlo Promis, fu attivo fino al 1853, per poi confluire nella Consulta di Belle Arti per il territorio nazionale voluta da Vittorio Emanuele II nel 1860. La figura di Promis, che sotto Carlo Alberto intraprese la redazione del Corpo delle antichità subalpine, rende evidente lo stretto legame tra tutela dei monumenti e promozione della storiografia locale che nei decenni preunitari caratterizzarono la politica culturale sabauda. Su medesimi intenti di indagine filologica, l'esigenza di studi sistematici sulla storia piemontese fu alle origini della Regia Deputazione sopra gli studi di storia patria, nata nel 1832 alle dipendenze del Segretario per gli interni.

34 Una traccia sintetica degli orientamenti della ricerca archeologica in Piemonte da Vittorio Emanuele I a Vittorio Emanuele II si trova in: Le Istituzioni culturali dei secoli XVIII e XIX, Torino 1980, pp. 55-56, con i necessari approfondimenti da condursi in E. Castelnuovo, M. Rosci, Cultura figurativa..., op. cit., 1980, in part. vol. I. Sulle collezioni universitarie di antichità: L. Levi Momigliano, All'origine dei Musei universitari, in A. Quazza e G. Romano (a cura di), Il palazzo dell'Università di Torino e le sue collezioni, Torino 2004, pp. 91-110. Sui principali sviluppi dell'archeologia torinese nel corso dell'800 si rinvia a: L. Mercando, Il recupero del passato, in Eadem (a cura di), Archeologia a Torino. Dall'età preromana all'Alto Medioevo, in part. pp. 55-79. Il contributo più recente sul collezionismo dinastico in rapporto con il Museo di Antichità è quello di E. Micheletto, Collezionismo dinastico a Torino nell'Ottocento. Le raccolte sabaude di archeologia e il Regio Museo di Antichità, in M. Venturino Gambari, D. Gandolfi (a cura di), Colligite fragmenta..., op. cit., 2009, pp. 83-104. 35 L. Mercando, Brevi note sul Museo di Antichità di Torino fino alla direzione di Ariodante Fabretti, in C. Morigi Govi, G. Sassatelli, Dalla Stanza delle Antichità..., op. cit., 1984, pp. 539-546: i materiali, che riunivano le collezioni sabaude ai reperti venuti in luce presso la Consolata, erano collocati nel cortile porticato (raccolta lapidaria) e negli ambienti del piano terreno.

70 3.2.2 La Società di Archeologia e Belle Arti e il Museo Civico

Lo stampo sabaudo improntò i meccanismi della ricerca e della tutela archeologica ancora nei decenni immediatamente successivi l'unificazione. Un ruolo cruciale fu rivestito da Ariodante Fabretti, personalità di rilievo del Risorgimento italiano e professore di archeologia all'Università di Torino: secondo assistente del Museo dal 1858, primo assistente dal 1861, fu nominato direttore del Museo di antichità ed egizio nel 187237. Fabretti fu il principale catalizzatore delle iniziative di

scavo, di studio e di musealizzazione delle antichità piemontesi: la sua autorevolezza era confortata da incarichi e riconoscimenti al di fuori dei confini regionali38, la sua capacità di azione

rafforzata dai legami con gli studiosi locali, in particolare con la Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino nata nel 187439.

La Società si rifaceva alla precedente esperienza della Giunta, nell'intento di operare «per la conservazione, lo studio e la ricerca dei monumenti e di quegli oggetti che per l'antichità o per l'artistico pregio sono riconosciuti importanti e da essere conservati». Pur riprendendone parzialmente il nome, aveva significativamente sostituito il termine di "Antichità" con quello di "Archeologia", a indicare un'acquisizione disciplinare che ne doveva indirizzare il metodo di lavoro e di ricerca.

Il gruppo dei soci fondatori annoverava senatori ed esponenti del governo locale, membri della Deputazione provinciale e della Regia Accademia delle Scienze, docenti dell'Università e dell'Accademia Albertina: ne fecero parte i primi due direttori del museo civico di Torino (Pio Agodino e Bartolomeo Gastaldi), il direttore della Regia Pinacoteca Francesco Gamba e quello dell'Albertina Felice Biscarra, insomma «una accademia di ottimati a numero chiuso»40. Nei suoi

primi anni di attività la Società, che riceveva stanziamenti dalla Deputazione provinciale, dal Comune e dalla Direzione Generale dei Musei e degli Scavi di Antichità, era una sorta di braccio operativo per la Commissione conservatrice, assumendo a tutti gli effetti un ruolo di tipo istituzionale che subirà una battuta d'arresto solo in seguito alla creazione dell'Ufficio regionale. L'alto profilo scientifico dei soci si rifletteva nella qualità dei contributi che periodicamente erano pubblicati sugli "Atti", i cui indici segnano il passo della ricerca storica, artistica e archeologica condotta a Torino tra ultimi decenni dell'ottocento e primi del novecento.

L'attività della Società, di cui lo stesso Fabretti era il segretario, presto si estese a tutta la

37 A. Fabretti, Il Museo di Antichità della R. Università di Torino, Torino 1872, volume che si conclude con una curiosa serie di "Risposte alle dimande o quesiti concernenti il Museo di antichità"(una sorta di "faq" ante litteram) e con il regolamento del museo. Sulle vicende ottocentesche del Museo di Antichità di Torino e sul riordino delle collezioni operato da Fabretti: E. Micheletto, Documenti per servire alla storia del Museo di Antichità di Torino (1829-1880), in «Quaderni della Soprintendenza archeologica del Piemonte», 21, Torino 2006, pp. 29-71.

38 Nel 1870 Fabretti ricevette l'incarico di progettare la sistemazione museale della collezione Palagi e degli Scavi della Certosa nelle cinque sale di Palazzo Galvani per il Museo Civico di Bologna; nello stesso anno aveva fatto parte della commissione per l'ordinamento del Museo di Firenze, dove aveva mediato tra i due opposti criteri museografici, quello tradizionale tipologico sostenuto da Gamurrini e quello innovatore, topografico del Gennarelli: C. Morigi Govi, Il Museo Civico del 1871, in C. Morigi Govi, G. Sassatelli, Dalla Stanza delle Antichità..., op. cit., 1984, pp. 259-267.

39 O. Mattirolo, Il primo cinquantenario..., op. cit., 1926.

71 regione, promuovendo scavi e ricerche, cooptando studiosi e collezionisti, e orientando la destinazione dei reperti verso il Museo di Antichità. L'infiltrazione nella sfuggente miriade delle iniziative locali conferiva a questo sodalizio tra associazionismo privato e istituzione pubblica una forte capacità di controllo e di coordinamento sul territorio, garantito anche dall'adesione alla società di molti dei componenti delle Commissioni conservatrici provinciali41. Per il Museo di

Antichità si configurava un ruolo di tutela sulle testimonianze archeologiche che richiamava quanto si era sperimentato a Firenze con la Deputazione per la conservazione e l'ordinamento dei Musei e delle Antichità Etrusche, istituita da Correnti nel 1871 in seno al Museo Etrusco e di cui lo stesso Fabretti faceva parte42. Una funzione che sarà confermata definitivamente nel 1891, quando

l'istituto assunse la delega ministeriale per le competenze sugli scavi della regione, accanto alla Delegazione (poi Ufficio) regionale per la conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria diretta da Alfredo d'Andrade43.

La presenza a Torino del Museo di Antichità contribuì anche all'orientamento collezionistico del Museo Civico, che nei suoi primi decenni di attività, diretti alla definizione della propria missione e delle prospettive di acquisizione, si collocò quale istituto complementare alle già consolidate presenze cittadine. Una concertazione che trovava garanzie anche nel sodalizio che univa i protagonisti delle diverse istituzioni, che avevano in comune non solo l'attiva partecipazione alla Società di Archeologia e Belle Arti, ma anche la presenza nei reciproci organi direttivi: per esempio il comitato direttivo del Museo Civico annoverava tra i propri membri le figure impegnate nella conduzione della Reale Galleria (come Carlo Arpesani, Luigi Gandolfi, Francesco Gamba) e del Museo di Antichità (Ariodante Fabretti, Ermanno Ferrero), oltre a prestigiosi esponenti delle istituzioni culturali sabaude, come Domenico e Vincenzo Promis44.

[...] Da tempo fu stabilito che il Museo [Civico] comprendesse: 1° La raccolta preistorica;

2° La raccolta di storia del lavoro, e più specialmente del lavoro artistico applicato all'industria, a partire dall'epoca bizantina sino a quella dell'Impero inclusivamente;

3° Una galleria d'opere d'arte moderna italiana.

Principio eccezionale fu quello altresì che le raccolte di oggetti costituenti il Museo, non facessero, in niun caso, duplicato con altre pubbliche raccolte già esistenti nella città. [..] La collezione preistorica, la raccolta di storia del lavoro medioevale e dei secoli più a noi vicini, la galleria di opere d'arte moderna compiono la serie dei ricchi e splendidi musei che

41 Ariodante Fabretti fu membro della Commissione conservatrice dei monumenti e oggetti d'arte e d'antichità per la provincia di Torino dal 1878 al 1890. Tra i membri che entrarono a far parte della società occorre ricordare almeno il conte Alessandro Baudi di Vesme, direttore della Regia Pinacoteca e autore della più importante ricognizione sulle fonti per la storia dell'arte piemontese (le Schede Vesme, pubblicate postume dalla stesa Spaba nel 1963), e Vittorio Avondo, direttore del museo civico di Torino dal 1890 al 1910, pittore e conoscitore, punto di riferimento per il collezionismo e la museografia a lui coevi.

42 M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e Istituzioni. Parte I. La nascita..., pp. 220-221.

43 Le competenze sugli scavi nel 1909 confluirono nella Soprintendenza agli scavi e ai musei archeologici diretta da Ernesto Schiapparelli, successore di Fabretti alla direzione del Museo di Antichità.

44 Per la composizione dei comitati direttivi del Museo Civico di Torino: C. Ceresa, V. Mosca, D. Siccardi, Archivio dei Musei

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già possiede la città nostra. Esse porgono allo studioso preziosi dati per la storia della umanità, per quella dell'arte; esse offrono ai lavori di imitazione, al perfezionamento delle nostre industrie, una ricca serie di modelli, e concorrono potentemente a ravvivare il buon gusto [...]45.

Nella prima sistemazione del museo nella sede di via Gaudenzio Ferrari, in una parte del complesso destinato a mercato del vino, nel 1863 erano state trasportate le collezioni comunali, tra cui alcuni oggetti di antichità che però vi risiederanno per pochi anni: già nel 1871, in un primo tentativo di riordino delle collezioni operato dal direttore Pio Agodino, i reperti di età romana furono ceduti al Museo di Antichità in cambio di alcuni oggetti medievali46. Una commissione presieduta

dal sindaco, e a cui prendevano parte insieme a membri del comitato direttivo e dell'amministrazione civica anche il conte Sclopis presidente della Reale Accademia delle Scienze, il cavalier Codazza vice direttore del Museo Industriale e il rettore dell'Università Coppino, aveva infatti ribadito la necessità di epurare le collezioni civiche nell'ottica di sfruttare al meglio i pochi spazi a disposizione e soprattutto di fare del museo un "anello di congiunzione" tra il Museo di Antichità e quello Industriale, formando dal medioevo ai tempi recenti una raccolta di oggetti utili all'insegnamento e allo sviluppo delle arti applicate.

Un indirizzo destinato a confermarsi anche sotto la direzione del noto studioso di paletnologia e archeologia preistorica Bartolomeo Gastaldi47, a capo dell'istituto dal 1874 al 1878 e

autore di una raccolta di reperti di età preistorica che, dopo essere stata esposta in un primo tempo nei locali della Scuola di Applicazione per gli ingegneri, era stata donata nel 1867 al Museo Civico di Torino. In quello stesso anno infatti gli oggetti della collezione (più di mille tra armi, suppellettili e utensili in pietra e in bronzo) erano stati presentati nel Padiglione del Lavoro dell'Esposizione Universale di Parigi come "oggetti da lavoro", secondo una categoria che ne rendeva quindi opportuna l'acquisizione accanto agli oggetti di arte applicata48. Nel 1895la raccolta di Gastaldi, in

vista del riordino operato da Vittorio Avondo per la separazione delle sedi tra arte antica e applicata e arte moderna, fu consegnata in deposito al direttore del Museo di Antichità Ernesto Schiapparelli, in cambio del mosaico medievale proveniente dalla Cattedrale di Acqui49.

Gastaldi, che insieme ad Ariodante Fabretti fu tra i soci fondatori della Società di Archeologia e Belle Arti, aveva inoltre acquistato, raccolto e classificato numerosi reperti di epoca

45 B. Gastaldi, Relazione intorno all'andamento del Museo civico durante l'anno 1875, Torino 1875, pp. 5-7. 46 F. Ghisi, Pio Agodino, in I direttori del museo civico di Torino fino al 1930. Atti del seminario, in corso di stampa.

47 A. Piatti, Bartolomeo Gastaldi, in S. Abram (a cura di), I direttori del museo civico di Torino fino al 1930, op. cit., in c.d.s., con relativa bibliografia sul collezionismo di archeologia preistorica e sulle raccolte di Gastaldi.

48 L'ingresso della paletnologia tra gli ambiti di interesse dei primi musei civici accomuna il Civico di Torino con altri casi emiliani, come Reggio Emilia (con la collezione istituita da Chierici nel 1862) e Modena (per cui si rinvia ad A. Cardarelli, La formazione del Museo Civico e gli studi paletnologici a Modena, in C. Morigi Govi, G. Sassatelli, Dalla Stanza delle Antichità..., op. cit., 1984, pp. 499-509). Sul ruolo di Gastaldi nello sviluppo degli studi piemontesi si rinvia a: F. M. Gambari,

Nascita e crisi degli studi preistorici in Piemonte: relazioni e vicende dei primi paletnologi da B. Gastaldi al trasferimento di P. Barocelli (1933), in La nascita della Paletnologia in Italia, atti del convegno, Bordighera 2008, pp. 79-90.

49 A. S. Fava, Storia delle collezioni etnologiche del Museo Civico, in Africa, America, Oceania. Le collezioni etnologiche del

Museo Civico, Torino 1978, pp. 5-11; Eadem (a cura di), Museo Civico di Numismatica, Etnografia, Arti Orientali, Torino 1989; F. Ferro, Vittorio Avondo, in I direttori del museo civico..., op. cit., in c.d.s.

73 romana e altomedievale che aveva individuato e studiato seguendo dagli scavi per l'abbattimento della Cittadella di Torino e la costruzione dello scalo ferroviario di Porta Susa50. Gli oggetti, di cui

aveva fatto dono al Municipio già nel 1859, pur conservando un valore di testimonianza dell'antica storia cittadina, furono inclusi nello scambio del 1871 insieme ai bronzi di Industria e a materiali greci ed etruschi51. L'ingente raccolta numismatica del Museo, di ancor più difficile collocazione tra

gli indirizzi di ordinamento e razionalizzazione perseguiti, tra il 1875 e il 1876 fu oggetto di una nuova permuta con il Museo di Antichità, che in cambio consegnò i gruppi scultorei in legno e avorio di Simon Troger insieme a campioni di età medievale e rinascimentale52; per le stesse

ragioni anche negli anni successivi proposte di donazione di nuclei numismatici furono rifiutate53.

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