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2.2 «Un tutto classificato razionalmente e per ordine cronologico»: il Museo Lapidario Bruzza e l'archeologia vercellese

3.1 Trasformazioni urbane e raccolte archeologiche

3.1.1 Scavi e demolizion

A Torino, che già a cavallo del 1800 era stata oggetto di importanti interventi di progettazione architettonica e urbanistica6, le trasformazioni della seconda metà del secolo furono

il segno di una svolta7. La città, che sul finire degli anni '50 era proiettata in una dimensione di

capitale entro una sempre più vicina prospettiva nazionale, guardava alle principali città italiane ed europee. Gli obiettivi da realizzare furono espressi in un'ampia relazione dell'assessore Gustavo Ponza di San Martino a nome della Commissione d'arte e della Giunta municipale, presentata in Consiglio comunale nella seduta del 13 marzo 1860:

L'opinione pubblica sollecita l'intrapresa di quelle opere pubbliche che possono essere necessarie per accrescere i comodi della città nostra e per dotarla di tutti i grandi stabilimenti che sono propri delle capitali di Stati vasti e potenti.

[...] La Commissione [...] partì [...] dal principio che lo scopo delle nostre sollecitudini debba in questo momento rivolgersi interamente a rendere più gradito il soggiorno di Torino con opere che dotino la città nostra di cose nuove, e che ne modifichino la monotonia8.

Sotto il governo del sindaco Augusto Nomis di Cossilla (1860-1862) si procedeva così a dare corso a studi di fattibilità per le numerose opere pubbliche che, dal Palazzo del Parlamento al selciato delle strade, dal riordino dei mercati alle condotte dell'acqua, passava per apertura di nuove strade, soprelevazione di edifici, sgomberi di zone poco decorose, rinnovamento decorativo delle piazze e dei luoghi di rappresentanza. Tra le opere approvate dalla Giunta, la costruzione di

5 A. Emiliani, Il museo, laboratorio della storia, op. cit., 1980, pp. 39-40.

6Torino: architettura e urbanistica, 1773-1831, in E. Castelnuovo, M. Rosci, Cultura figurativa e architettonica negli Stati del

Re di Sardegna 1773-1861, catalogo della mostra (Torino, maggio-luglio 1980), 3 voll., Torino 1980, vol. III, pp. 1015-1188. 7 Sulla storia urbanistica di Torino: V. Comoli, Torino, Roma-Bari 1983. I progetti e le trasformazioni che hanno segnato a città nei difficili anni di passaggio dal ruolo di capitale politica alla ricerca di una nuova identità sono esaminati sotto la lente del governo della città in: G. Bracco (a cura di), 1859-1864. I progetti di una capitale in trasformazione, Torino 2000; G. Bracco (a cura di), 1864-1870. Una trasformazione faticosa e sofferta, Torino 2002.

8Atti del Municipio di Torino, Annata 1860, Torino 1860, parte I, pp. 81-82; i brani sono riportati da G. Bracco (a cura di),

63 un palazzo a uso della Pinacoteca reale e per le esposizioni di belle arti9 e la costruzione di un

decoroso scalo per le ferrovie dello Stato. Lo slancio progettuale e imprenditivo ricevette una brusca frenata quando, nel 1861, cominciò a farsi strada l'idea di Roma come capitale dell'Italia unita. L'intraprendenza concreta del sindaco Emanuele Luserna Rorengo di Rorà (1862-1866) consentì alla città di non rinunciare al piano di opere pubbliche, da considerarsi indispensabili alle condizioni di sviluppo. In una celebre relazione letta al Consiglio comunale nell'aprile del 1862 si compiva un radicale cambiamento di rotta: Torino si sarebbe trasformata da capitale politica a capitale industriale della nazione10.

I lavori in corso portavano alla luce resti e reperti che, nel rinnovato anelare a un primato della città, contribuivano a rafforzarne l'identità. Le condizioni di vendita dei terreni di proprietà comunale includevano così un riferimento diretto al ritrovamento di antichità:

Sono esclusi dalla vendita gli alberi e qualunque altra cosa trovisi aggiunta esternamente al terreno per opera dell'uomo. Sono pure escluse le monete, le medaglie, gli oggetti d'arte o d'antichità, le cose preziose, i marmi, le pietre con iscrizioni, fregi e simili, che si trovassero negli scavi o nelle demolizioni. Rinvenendosi oggetti di questa natura, se ne dovrà avvertire la civica Amministrazione la quale si riserva di retribuire all'inventore quel premio che riterrà conveniente11.

L'anno era il 1862, lo stesso in cui la Giunta municipale, nella seduta del 9 gennaio, aveva accolto la proposta della commissione d'istruzione pubblica di riunire in uno stesso locale tutti i musei di proprietà del Municipio. Una delle prime raccolte del Museo Civico fu proprio quella dei reperti archeologici venuti alla luce con gli scavi di via Cernaia e la stazione di Porta Susa12.

L'ottocento fu secolo di trasformazioni importanti anche per gli altri capoluoghi piemontesi, che subirono interventi consistenti proprio nei luoghi simbolici della città. L'esempio di Alessandria conduce alle trasformazioni di impronta napoleonica, che ridefinirono spazi e funzioni delle aree urbane ma che soprattutto portarono alla demolizione nel 1803 della cattedrale gotica, ricostruita nel 1810 e dotata dell'importante facciata disegnata da Edoardo Arborio Mella tra il 1874 e il 1879. Un intervento che, come è stato sottolineato, non sollecitò l'attenzione dei cittadini, evidenziando invece una certa debolezza metodologica e ideologica13.

Anche a Novara la costruzione del nuovo duomo, affidato al progetto di Alessandro Antonelli e realizzato tra il 1863 e il 1869, avvenne sui resti del'antica collegiata di Santa Maria,

9 La Pinacoteca regia, provata dalla convivenza con il Parlamento subalpino insediato a Palazzo Madama dal 1848, sarà trasferita nel 1865 nel palazzo dell'Accademia delle Scienze.

10 La relazione è riportata in G. Bracco (a cura di), 1859-1864. I progetti..., op. cit., 2000, pp. 113-119. 11 La disposizione è citata in G. Bracco (a cura di), 1859-1864. I progetti..., op. cit., 2000, p. 108.

12 C. Spantigati, Le origini del Museo e il dibattito sulla tutela, in S. Pettenati e G. Romano (a cura di), Il tesoro della città.

Opere d'arte e oggetti preziosi da Palazzo Madama, catalogo della mostra (Torino, marzo-settembre 1996), Torino 1996, pp. 33-34; P. Astrua, Pio Agodino e il dibattito sui musei a Torino nel decennio postunitario, ibidem, pp. 47-51.

13 G. Romano, Per un grande museo locale: occasioni e progetti, op. cit., 1986; anche a Casale Monferrato le trasformazioni ottocentesche provocarono una consistente perdita di patrimonio: C. Spantigati, Casale nel primo Ottocento: considerazioni sulle scelte culturali della città, in G. Mazza, C. Spantigati, Le collezioni del Museo Civico di Casale. Catalogo delle opere esposte, Casale Monferrato 1995, pp. 13-29.

64 demolita a partire dal 1857. Sono anni in cui i decisori novaresi ancora non erano pronti per la riconsiderazione delle testimonianze medievali, considerate come documenti della decadenza: lo stesso Portico del Paradiso, per il sindaco, era «antidiluviano» e a nulla erano servite le rimostranze e i ricorsi dei cittadini colti. La dispersione di molta parte del patrimonio medievale è stata ricondotta a una fragilità della storiografia locale, che non riusciva a proporre un impianto conoscitivo paragonabile a quanto fatto circa un secolo prima del Frasconi, nonché al generale ritardo con cui in Piemonte affrontava gli sviluppi dell'archeologia medievale14. I primi segni di

attenzione alla conservazione delle testimonianze medievali datano ai primi anni '70 dell'ottocento, con i materiali raccolti presso il museo della Canonica e il reimpiego di frammenti scultorei e musivi nella sistemazione di edifici locali, ma numerose furono le testimonianze confluite in collezioni private15.

Un altro celebre caso riguardò l'abbattimento dell'abside della chiesa gotica di San Marco a Vercelli, destinata a mercato pubblico e oggetto delle infuocate rimostranze di alcuni esponenti locali. Le polemiche trovarono eco nazionale grazie alla rivista fiorentina «Arte e Storia» di Guido Carocci, giunto in città su sollecitazione dell'amico Camillo Leone. Carocci dedicò numerosi contributi al «vandalismo» vercellese16: il pronunciamento a favore della demolizione da parte della

Commissione provinciale diede adito anche alla messa in discussione sui criteri di costituzione delle stesse commissioni, poco attente alle competenze specifiche, per cui si invocava l'intervento di «altre autorità»17. Il Ministero, che non accolse il voto di distruzione emesso, deliberò di

sottoporre ogni decisione alla Giunta di Antichità e Belle Arti, pronunciatasi all'unanimità a favore della conservazione18. Ciò non impedì consistenti manomissioni, dietro le cui pieghe si legge la

difficoltà in sede locale, anche per figure particolarmente sensibili come quella di Federico Arborio Mella, di contrastare con le istanze della tutela le spinte alla modernizzazione e i pressanti interessi speculativi19.

Il recupero e la destinazione di reperti provenienti da demolizioni e lavori urbanistici affiancava le dinamiche proprie della ricerca archeologica che, com'è noto, attraversò nella seconda metà dell'Ottocento una fase di forte incremento negli studi e di sostanziale progresso

14 Una lettura storica e critica della dispersione delle testimonianze medievali novaresi è presente in M. L. Tomea Gavazzoli,

Il medioevo, in M. L. Tomea Gavazzoli (a cura di), Museo Novarese..., op. cit., 1987, pp. 187 e segg. Sulla figura dell'erudito novarese Carlo Francesco Frasconi e sulla sua opera sistematica d'impronta muratoriana si rinvia a P. G. Longo, A. L. Stoppa (a cura di), Carlo Francesco Frasconi erudito paleografo storico, op. cit., 1991.

15 Tra queste la collezione di Giuseppe Morbio, comprendente armi e arte antica: M. L, Tomea Gavazzoli, La collezione

Morbio, in Eadem (a cura di), Museo Novarese..., op. cit., 1987, pp. 467-468.

16A Vercelli un vandalismo, in «Arte e Storia», a. III, n. 28, 13/7/1884, pp. 219-220; La questione del San Marco di Vercelli,

ibidem, a. III, n. 30, 27/7/1884, p. 235; Vercelli - San Marco, ibidem, a. III, n. 31, 3/8/1884, p. 240; Ultime notizie - Il San Marco di Vercelli, ibidem, a. III, n. 32, 10/8/1884, p. 256.

17Ancora a proposito dell'abside di S. Marco a Vercelli, ibidem, a. III, n. 33, 17/8/1884, p. 262.

18Vercelli - L'abside di San Marco, ibidem, A. III, n. 35, 31/8/1884, p. 280; Vercelli, ibidem, A. III, n. 39, 28/9/1884, p. 312;

Vercelli - L'abside di San Marco, ibidem, A. III, n. 44, 2/11/1884, p. 352; A. d'Andrade, Relazione dell'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria. Parte I 1883-1891, Torino 1899, p. 74.

19 Gli estremi della vicenda, con alcune fonti documentarie, sono riportati da G. Sommo, Vercelli e la memoria..., op. cit., 1982, pp. 83, 88-99; La ex chiesa di San Marco in Vercelli oggi, ieri, 700 anni fa. Studio storico, architettonico e topografico, Vercelli 1994; AA.VV., La chiesa di San Marco in Vercelli, Vercelli.

65 metodologico. Sul tema delle antichità e degli scavi si concentrarono inoltre i primi anni dell'impegno legislativo nazionale in materia di tutela. Mentre il settore dei monumenti medievali e moderni, così come quello degli oggetti d'arte, rimase per più tempo ancorato a norme e consuetudini risalenti agli stati preunitari, al settore archeologico furono tempestivamente riservati provvedimenti specifici e un'autonomia maggiore nell'organizzazione degli organi centrali e periferici di tutela. Esemplare in tal senso la circolare del 1865 con le Istruzioni sugli scavi di antichità, dove oltre a fornire le prime disposizioni generali sulla conduzione delle indagini archeologiche, si sperimentava il ruolo dei prefetti quali tramite dell'iniziativa statale per proteggere oggetti e monumenti dai rischi di esportazione ma anche da iniziative avventate20. Non a caso una

delle fasi cruciali nella costruzione del servizio nazionale di tutela fu affidata all'archeologo Giuseppe Fiorelli, messo a capo della Direzione Generale degli Scavi e Musei del Regno istituita dall'amico ministro Ruggero Bonghi nel 187421.

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