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L'impegno vano di un collezionista virtuoso: Asti e la raccolta Maggiora Vergano Il Museo Provinciale aveva incontrato non pochi ostacoli nell'affermare la propria

2.2 «Un tutto classificato razionalmente e per ordine cronologico»: il Museo Lapidario Bruzza e l'archeologia vercellese

3.4 Resistenze e opportunità: collezioni e musei sul territorio

3.4.1 L'impegno vano di un collezionista virtuoso: Asti e la raccolta Maggiora Vergano Il Museo Provinciale aveva incontrato non pochi ostacoli nell'affermare la propria

giurisdizione sull'intero territorio della provincia; le medesime ambizioni e difficoltà furono ereditate dal Museo Civico di Alessandria. Le scelte astigiane per esempio, che per gli anni '70 e '80 dell'ottocento rivelano dinamiche significative nei rapporti tra collezionismo privato e conservazione pubblica, denotano una certa resistenza. La devoluzione dei ritrovamenti ad Alessandria, provincia sotto cui Asti da poco e malvolentieri era ricaduta, poteva essere ovviata grazie alla rete di rapporti che univa gli attori locali dello scavo e della ricerca alla città di Torino. Giuseppe Fantaguzzi ed Ernesto Maggiora Vergano, tra i protagonisti delle vicende di questo periodo, vantavano infatti stretti legami con la capitale sabauda. Entrambi furono soci tempestivi della Società di Archeologia e Belle Arti, realtà che ben oltre i confini torinesi stava diventando il referente scientifico più autorevole per gli studi di antichità.

La seduzione torinese era quindi viva e, unita a una aperta insofferenza per le mire alessandrine, in occasione di scavi portava a riconoscere nel Museo di Antichità del Fabretti il destinatario prediletto. Di segno diverso la collocazione della propria raccolta privata, che Maggiora Vergano tentò di lasciare nella sua integrità al municipio.

Il contesto di origine delle collezioni astigiane nel quadro nazionale di iniziative di tutela archeologica è già stato oggetto di un'approfondita lettura96, che vale comunque la pena

ripercorrere per aggiungere ulteriori elementi a questo itinerario sulle premesse alla costituzione dei musei civici piemontesi.

In occasione della nomina dei membri della Commissione conservatrice, il nome più frequentemente sottoposto all'attenzione del ministero per il circondario di Asti era quello del notaio Giuseppe Ernesto Maggiora Vergano (Refrancore, Asti 1822-1879). Cultore di storia e antichità, noto per l'impegno civile, l'attività letteraria e soprattutto per gli studi legati all'intensa attività collezionistica97, nel 1876 aveva incrementato la propria già celebre raccolta con gli oggetti

appartenuti al conte Blesi. Luca Probo Blesi (1803-1870)98, membro di una famiglia aristocratica

storicamente radicata ad Acqui, aveva intrapreso fin dagli anni '40 dell'ottocento una serie di scavi nei terreni di sua proprietà, dove fin dal settecento si registrava il rinvenimento di urne e vasi, a indicare la presenza di necropoli romane. Nelle intenzioni del conte i numerosi reperti rinvenuti erano destinati a costituire una raccolta pubblica, un "Gabinetto di patrie Antichità" che però il

96 G. Kannès, Accentramento e iniziative locali..., op. cit., 1994, pp. 15-44.

97 Sulla figura di Maggiora Vergano si rinvia a: A. Crosetto, "Di alcuni oggetti antichi...": il notaio Maggiora Vergano e i vetri

della sua collezione, in Museo Archeologico di Asti..., op. cit., pp. 45-61; G. Kannès, Accentramento e iniziative locali..., op. cit., 1994, p. 25 e passim; M. Marchegiani, Ernesto Maggiora Vergano, in M. Venturino Gambari, D. Gandolfi (a cura di),

Colligite fragmenta..., op. cit., 2009, pp. 379-380.

98 G. B. Garbarino, Luca Probo Blesi, in M. Venturino Gambari, D. Gandolfi (a cura di), Colligite fragmenta..., op. cit., 2009, pp. 357-360.

86 comune di Acqui non aveva voluto accogliere.

Nel 1876 il sotto prefetto informava il Ministero dell'avvenuto acquisto della collezione da parte di Maggiora Vergano99, che a distanza di pochi giorni si premurava di fornire personalmente

indicazioni sulla sua origine e consistenza100. L'acquirente cercava di ricomporre i dati relativi al

ritrovamento dei reperti rifacendosi alla relazione che Blesi aveva presentato nel 1845 al consiglio comunale di Acqui: rispetto ad allora, il numero dei pezzi sembrava essere consistentemente diminuito, tanto da spingere il notaio all'acquisto degli oggetti «per scongiurare il pericolo che andassero dispersi prima di essere descritti e pubblicati, al quale scopo sto lavorando. Per me quindi hanno un'importanza relativa perché con essi io posseggo oggetti scavati in ciascuno dei circondari della nostra provincia»101. Sebbene Maggiora Vergano fosse localmente noto soprattutto

per la propria collezione numismatica102, le sue raccolte spaziavano su tipologie di materiali e

ambiti culturali e cronologici ben più ampi. Non solo, come denunciavano le sue stesse parole, mirava a restituire un'immagine completa della storia antica del territorio, ma non disdegnava acquisti nemmeno sul fronte delle arti applicate, delle ceramiche in particolare103. Divenuto il più

autorevole referente in occasione di scavi e ritrovamenti sul territorio, alla sua morte nel 1879 la collezione possedeva tutta la statura necessaria per costituire la base di un museo locale:

[...] lasciò una pregevole collezione di oggetti d'antichità, fra cui sono notevoli i prodotti di scavo costituiti da vetri, bronzi, ceramiche, pietre ed osso lavorati, provenienti tutti, meno qualche rarissima eccezione, dalla provincia d'Alessandria e più specialmente dai circondarii di Acqui, Casale, Tortona ed Asti104.

I pregi della raccolta erano noti, non solo per gli insigni interlocutori con cui il notaio aveva condiviso iniziative di scavo e studi (Fabretti, Pigorini, Fiorelli, Momsen) ma anche perché lo stesso Maggiora Vergano aveva intrapreso, sulle pagine degli «Atti» della Società di Archeologia e Belle Arti torinese, la pubblicazione di un catalogo ragionato della propria collezione105. L'Ispettore locale

Fantaguzzi in diverse occasioni invitò quindi il Ministero a prendere provvedimenti, nel timore che «cotesti preziosissimi cimeli posti in commercio abbiano a sparpagliarsi e ad essere asportati

99 Sotto Prefetto di Acqui a Ministero, Acqui 19 novembre 1876, in ACS, AA. BB. AA., I vers., b. 3, fasc. "Asti 1876 Collezione del Conte Blesi".

100E. Maggiora Vergano a Ministero, 9 dicembre 1876, ibidem. 101Ibidem.

102 «Nella vicina città d'Asti, il distinto Archeologo Ernesto Maggiora Vergano possedeva anni sono una bella raccolta di monete medioevali italiane, da lui radunate con molto studio e perseverante intelligenza. Vi si trovavano preziosissimi cimelii, mancanti perfino nelle primarie collezioni europee»: Luigi di Groppello a Giovanni Oddone, 25 settembre 1877, copia, in ACS, AA. BB. AA., I vers., b. 178, fasc. 11 "Alessandria Museo archeologico provinciale". Luigi Figarolo di Gropello, membro della Commissione conservatrice, ricordava inoltre la propria collezione di monete medievali, a cui si era dedicato negli anni giovanili e che contava circa 4000 pezzi.

103 G. Kannès, Accentramento e iniziative locali..., op. cit., 1994, p. 24, n. 33.

104Giuseppe Fantaguzzi a Direttore Musei e Scavi di antichità, Asti 15 ottobre 1879, in ACS, AA. BB. AA., I vers., b. 3, fasc. "Asti Collezione del fu Comm. Ernesto Maggiora Vergano".

105 L'impresa poté compiersi solo per la collezione dei vetri: E. Maggiora Vergano, Di alcuni oggetti antichi, in «Atti della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti», vol. II (1878-1879), pp. 183-192.

87 anche all'estero»106. Per ottenere informazioni più approfondite rinviava ad Ariodante Fabretti, più

volte visitatore della collezione, che però, direttamente interpellato, avrebbe riferito esser degna di conservazione in museo solo una piccola parte di questa folta raccolta. Un giudizio inaspettatamente severo, che lascia il sospetto di voler ostacolare la nascita di un polo museale alternativo. Se per l'istituto torinese la collezione di Ernesto Maggiora Vergano non rappresentava nel suo complesso un'acquisizione di prim'ordine, ben maggiori risultavano le sue potenzialità nella prospettiva locale.

Sul fronte degli interlocutori astigiani non si potevano però nutrire grandi aspettative: già nel 1878 lo stesso Maggiora Vergano aveva offerto al Municipio la cessione della propria collezione, all'epoca formata da più di 3500 oggetti:

[...] per tale modo il Municipio acquisterebbe senza spesa una collezione non ispregevole ed approfitterebbe di una proposta che difficilmente potrebbe venirgli da altri ripetuta, ed io avrei la più grande soddisfazione che possa sperare un raccoglitore di veder assicurata la conservazione delle cose messe insieme con tante spese e tante fatiche107.

L'impossibilità da parte del Comune di sostenere il costo di allestimento e di custodia per un eventuale museo civico fu alla base della progressiva dispersione dei beni; la delibera per l'istituzione di un museo civico archeologico risale a pochi anni dopo, ma per vedervi rientrare i reperti della collezione Maggiora Vergano occorre attendere il 1920, quando i figli Tomaso e Arnaldo donarono 175 oggetti. Il municipio aveva così perso la sua più importante occasione per l'avvio di un museo, e aveva favorito la dispersione di materiali fondamentali per la ricostruzione dell'antica storia del territorio. Il rischio che le amministrazioni non fossero sufficientemente pronte o sensibili alla salvaguardia delle raccolte messe insieme da privati cittadini fu elemento che fece riflettere molti collezionisti, che pur volendo destinare alla città le proprie raccolte, cercarono strade diverse rispetto alla donazione diretta, passando per esempio attraverso la cessione a enti e istituti che, insieme agli oggetti, ricevevano anche dotazioni economiche finalizzate al loro mantenimento. È il caso per esempio nel notaio vercellese Camillo Leone, che come vedremo sceglierà di lasciare le sue collezioni e buona parte dei suoi averi all'Istituto di Belle Arti di Vercelli: come dimostrano le pagine del suo diario, la distrazione e l'inerzia dimostrate dal municipio di Asti erano state motivo di sarcastiche constatazioni:

Si potrebbe applicare al proposito di codesta commissione istituitasi oggi nella città di Asti quel vecchio proverbio, cioè ora che sono fuggiti i buoi, corrono a chiudere la stalla. Diffatti non sono molti anni che nell'antica Città di Asti viveva un certo signor Vergano-Maggiora, notaio come me, ed anche Esso appassionatissimo raccoglitore di oggetti antichi e di patrie

106Giuseppe Fantaguzzi a Direttore Musei e Scavi di antichità, Asti 15 ottobre 1879, cit. In lettera successiva Fantaguzzi riferiva al Ministero che gli eredi Maggiora Vergano erano sono in trattativa con un «signore francese per vendere il museo già appartenente al defunto», specificando trattarsi di un lionese disposto a pagare 15 mila, a fronte delle 16 mila richieste dagli eredi: Giuseppe Fantaguzzi a Direttore Musei e Scavi di antichità, Asti 31 ottobre 1879, ibidem.

107 Il brano è riportato da V. Villani, Il Museo Archeologico di Asti: cenni di inquadramento storico generale, in Il Museo

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memorie. [...] Cosicché tanto le figuline, vetri e oggetti medioevali andarono dispersi qua e colà alla spicciolata. Ed ora quei signori di Asti si sono svegliati dal lungo letargo e vogliono instituire un Museo Cittadino! È un po' tardi108.

Di ostacolo all'affermarsi di un museo locale non furono soltanto le incertezze municipali; tra fine anni settanta e primi anni ottanta in diverse circostanze si manifestò da parte dell'Ispettore Giuseppe Fantaguzzi una tendenza di segno opposto, mirata cioè a trasferire a Torino i materiali di scavo. Il caso più eclatante fu quello legato al rinvenimento della necropoli della Torretta, straordinaria scoperta avvenuta nel 1879 da cui derivò il più prezioso nucleo di vetri recuperati in tutto il territorio.

Nell'accurata relazione inviata da Fantaguzzi al Ministero, dove erano descritte le operazioni e l'esito dei ritrovamenti109, si annunciava l'intenzione di inviare i reperti, dopo averli

studiati, al Museo di Antichità, o in altro istituto indicato dal Ministero. Al prefetto Veglio, che non si era lasciato sfuggire l'occasione di seguire da vicino le ricerche, venne quindi riferito dal Fantaguzzi che il Ministero aveva acconsentito alla consegna dei materiali al Museo di Torino, per esporli in occasione della mostra di arte retrospettiva del 1880. La presentazione degli scavi più recenti operati sul territorio delle province era infatti tra gli obiettivi dell'esposizione, il cui Regolamento dichiarava l'intento di presentare un saggio dello svolgimento dell'arte nelle province del Piemonte e della Liguria dall'antichità al XVII secolo110. La reazione del prefetto fu immediata: dopo aver

inviato un telegramma al Ministero («qui già iniziato museo provinciale prego quindi applicazione disposizioni vigenti non distogliere oggetti da questo museo»111), e aver quindi ottenuto la

sospensione dell'invio dei reperti112, convocò immediatamente la Commissione conservatrice, che

nella seduta del 10 aprile 1880 accolse l'ipotesi di esporre gli oggetti nella mostra torinese, purché accompagnati dalla scritta: «Oggetti rinvenuti nel 1879 e 1880 negli scavi d'Asti e destinati al museo archeologico della provincia di Alessandria»113. Del Fantaguzzi si contestavano l'eccessiva

autonomia rispetto alla Commissione medesima e rispetto all'Ispettore provinciale Oddone: «il Signor Fantaguzzi si servì della sua veste legale di Regio Ispettore per far praticare gli scavi, e che di questa veste non poteva in alcun modo spogliarsi per crearsi la posizione autonoma di un privato [...] ovunque egli abbia tentato saggi e fatto praticare scavi ciò fece quale Ispettore, e quindi il suo operato dev'essere indubbiamente subordinato alle discipline legislative vigenti in materia». Il verbale si concludeva con l'augurio di un ripensamento da parte del Ministero a favore del Museo Provinciale, «cui alacremente deve dedicarsi la Commissione per ingrandirlo ed arricchirlo non

108 Il brano, del 15 ottobre 1888, è riportato da A. Rosso, Il Museo del notaio..., op. cit., 2007, p. 82. 109 G. Kannès, Accentramento e iniziative locali..., op. cit., 1994, p. 30.

110 M. M. Lamberti, L'esposizione nazionale del 1880 a Torino, in «Ricerche di Storia dell'Arte», n. 18, 1982, pp. 37-51. 111Prefetto Veglio a Ministro della pubblica istruzione, telegramma, Alessandria 2 aprile 1880, in ACS, AA. BB. AA., II vers., I parte, b. 1, fasc. "Asti scoperte di antichità".

112Giuseppe Fantaguzzi a Prefetto di Alessandria, Asti 4 aprile 1880, in ACS, AA. BB. AA., II vers., II serie, b. 1, fasc. "Alessandria verbali delle sedute della Commissione conservatrice". Fantaguzzi ricordava inoltre che gli scavi erano stati condotti a proprie spese e che il dono al museo di Torino era già stato annunciato al direttore Fabretti.

113Verbale della Commissione conservatrice di Alessandria, 10 aprile 1880, in ACS, AA. BB. AA., II vers., II serie, b. 1, fasc. "Alessandria verbali delle sedute della Commissione conservatrice".

89 tanto per esporlo in mostra alla pubblica curiosità, quanto per favorire gli studiosi di cose antiche, i quali aumenteranno ognora più di numero a misura che troveranno più larga la messe su cui diffondere i loro studi».

Non risulta che i reperti siano stati presentati all'Esposizione torinese del 1880, ma è stato riconosciuto come l'episodio rappresenti comunque un momento significativo nel segnare il declino dell'iniziativa museale prefettizia. Negli anni a seguire procedette comunque infaticabile l'impegno di Fantaguzzi a favore della tutela locale, con continue segnalazioni al Ministero; la preferenza nei confronti delle istituzioni museali torinesi sembra attenuarsi sul finire degli anni '80, quando Fantaguzzi non solo invitava a considerare come possibile sede per le antichità del territorio il Museo Archeologico da poco istituito in Asti, ma se ne dichiarava uno dei principali sostenitori:

Credo inoltre doveroso partecipare come, in sul finire del 1887, il Municipio di Asti, accogliendo la proposta reiteratamente da me fatta per l'inizio di un Museo Archeologico, ristretto però alle cose di interesse locale, destinò apposita e conveniente aula a tale scopo, nella quale già figura qualche oggetto. Nominò pure apposita commissione presieduta dall'illustre Senatore Carlo Alfieri di Sostegno e della quale io ho il piacere di far parte114.

Su invito del Ministero della Pubblica Istruzione Fantaguzzi aveva inoltre compilato una nota sugli edifici medievali del circondario di Asti, accompagnata da un dossier fotografico eseguito dall'astigiano Ecclesia. Il documento si rivela interessante perché rivela lo sguardo attento di Fantaguzzi anche sui monumenti dell'età di mezzo, di cui si riportava la descrizione dell'architettura, delle decorazioni e dello stato di conservazione115.

Il sostegno di Fantaguzzi all'iniziativa di un museo locale, cui volle devolvere anche alcuni oggetti della propria personale raccolta, non fu ricordato dalle fonti a lui più prossime116; la nascita

del Museo Civico di Asti sembra piuttosto conseguente al riordino delle fonti storiche che in quegli anni era condotto da Carlo Vassallo presso l'Archivio cittadino117. Anche in questa circostanza i

contatti con Torino risultano aver giocato un ruolo di primo piano, in particolare per la partecipazione alle ricerche di Gabotto e della Deputazione Subalpina di Storia Patria, in procinto di preparare la sezione astigiana per la Bibliografia storica degli stati della monarchia di Savoia, pubblicata da Antonio Manno nel 1891.

114Giuseppe Fantaguzzi a Ministero della pubblica istruzione, 4 maggio 1891, in ACS, AA. BB. AA., II vers., I parte, b. 1, fasc. "Mazzanotto scoperta di antichità".

115 G. Fantaguzzi, Nota relativa a monumenti medievali del Circondario di Asti fotografati per ordine del Ministero d. P.ca

Istruzione, Asti 29 agosto 1879, in ACS, AA. BB. AA., II vers., II serie, b. 1, fasc. "Alessandria fotografie dei monumenti della provincia ".

116 N. Gabiani, Il patrimonio storico e archeologico della città di Asti, Asti 1892.

117 G. Kannès, Accentramento e iniziative locali..., op. cit., 1994, p. 35-36; Niccola Gabiani, Catalogo del Museo

Archeologico di Asti, Battistero di San Pietro, Asti 1933. Le collezioni archeologiche, prima collocate in un salone presso la soppressa chiesa della SS. Annunziata inizio '900 furono trasferite con le altre raccolte municipali presso Palazzo Alfieri; nel 1930 la Cassa di Risparmio di Asti acquistò e recuperò il complesso monumentale di Pietro Consavia, per poi donarlo al Comune che nel 1932 vi stabilì la sede del Museo Archeologico. Nel 1981 fu istituito il Museo lapidario nei locali seminterrati attigui alla Cripta di Sant'Anastasio, oggetto di un ampliamento e di un nuovo ordinamento nel corso degli anni '90: D. Gnetti, G. P. Silicani (a cura di), Sant'Anastasio dalla cripta al museo, atti del convegno di studi (Asti 1999), Asti 2004.

90 3.4.2 Aristide Arzano e la Società Tortonese

Nello stesso 1891 a Tortona la Giunta municipale deliberava di istituire «una sala pubblica per riunirvi le lapidi, sculture, monete, sigilli o tutto quanto possa interessare lo storico o l'artista», nominando una speciale commissione con l'incarico di provvedere alla raccolta degli oggetti, soprattutto mediante donazioni o depositi da parte dei cittadini118.

Nella seconda metà del secolo la città era stata oggetto di numerosi scavi e sbancamenti, secondo un piano di rinnovamento urbanistico esistente fin dagli anni '30. Trattandosi di aree notoriamente ricche di materiali archeologici (Tortona era stata infatti un'importante colonia romana), fin dal 1852 le clausole dei contratti di escavazione prevedevano la consegna al Municipio di tutti gli oggetti di antichità rinvenuti. La mancanza di una sede locale per la conservazione dei reperti e la difficoltà a procedere a controlli realmente efficaci davano però adito a vendite e dispersioni. I rinvenimenti finivano infatti nelle mani di una fitta e curiosa selva di commercianti locali, tra cui «sono ricordati l'avvocato Perelli e il parrucchiere Rosselli, i signori Alberto Priora e Matteo Remotti, tutti tortonesi e tutti coinvolti nel piccolo traffico di oggetti antichi, operato da una rete di fornitori, che dai nomi – il Battista, il Calabria e lo Stefano, lo Steva e il Minghino, che perderà la vita proprio durante gli scavi, travolto da una frana di terra – sembrano i piccoli subappaltatori delle opere di scavo»119. Il controllo di questa rete di mercanti improvvisati

era indispensabile per i cultori di antichità presenti sul territorio, che cercavano di dirottare le vendite verso un circolo virtuoso di persone fidate, in grado di provvedere alla salvaguardia e allo studio dei reperti.

Tra il 1862 e il 1866 si trovava a Tortona l'archeologo e archivista di origine tedesca Alexander Wolf (Pforzheim 1826 - Udine 1904)120, che aveva accompagnato in ritrovamenti e

contrattazioni il collezionista locale Cesare Di Negro-Carpani (Alessandria 1829 - 1889), una delle figure più attente alla conservazione dei ritrovamenti e alla documentazione dell'antica storia cittadina121. Gli studi ne hanno messo in luce la particolare meticolosità, pur riconoscendo un

approccio ancora dilettantesco e lontano da criteri di scientificità; la sua raccolta non cresceva sulla base di un piano organico e le sue interpretazioni peccavano di una certa approssimazione, che unita a un carattere personale non semplice era stata all'origine di alcuni dissapori con colleghi eruditi, studiosi e archeologi. Anche la restituzione dei dati e dei contesti di scavo fu praticata solo episodicamente: l'unica relazione rinvenuta sulle esplorazioni tortonesi risale al 1867, indirizzata alla Società Ligure di Storia Patria e corredata di tavole con disegni al tratto che Di Negro-Carpani

118 F. Miotti, Il contesto socio-culturale che diede vita al Museo Civico di Tortona, in A. Crosetto, M. Venturino Gambari,

Onde nulla si perda..., op. cit., 2007, pp. 101-110.

119 A. Crosetto e M. Venturino Gambari, Cesare di Negro Carpani e la sua collezione archeologica, in IIdem, Onde nulla si

perda..., op. cit., 2007, p. 15.

120 A. Crosetto, M. Lucchino, M. Venturino Gambari, Alexander Wolf, in M. Venturino Gambari, D. Gandolfi (a cura di),

Colligite fragmenta..., op. cit., 2009, pp. 335-340 con bibliografia.

121 Le sue raccolte confluirono nel Museo Civico di Alessandria, nel Museo Civico di Tortona e nel Museo di Archeologia Ligure di Genova Pegli: A Crosetto, M. Venturino Gambari, Onde nulla si perda..., op. cit., 2007; A. Crosetto, M. Venturino Gambari, Cesare Di Negro-Carpani, in M. Venturino Gambari, D. Gandolfi (a cura di), Colligite fragmenta..., op. cit., 2009, pp. 341-346 con bibliografia.

91 realizzava personalmente sulla scorta delle lezioni ricevute a Torino presso la scuola di Andrea Gastaldi122.

Fin dalla fine del settecento il recupero dell'antichità classica e più in generale della storia

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