6.1 «Istruendo si educa»: Euclide Milano e i musei cunees
6.1.1 L'educazione popolare
Nei precedenti capitoli dedicati alla nascita in Piemonte dei musei civici si registra la quasi totale assenza del capoluogo cuneese, che colse l'opportunità di fondare un istituto municipale solo negli anni '30 del novecento. Nelle città di provincia la situazione era diversa solo nei centri caratterizzati da importanti ritrovamenti archeologici, corrispondenti quindi alle città di derivazione romana o che sotto l'impero avevano vissuto una particolare fioritura, come Benevagienna (Augusta Bagiennorum), Bra e Cherasco (limitrofe all'antica Pollentia) e Alba (Alba Pompeia). Qui, come abbiamo visto, gli scavi e la destinazione dei reperti avevano avuto la fortuna di ricevere le attenzioni di studiosi locali che si prodigarono per la raccolta dei materiali e per assicurarne la pubblica fruizione (Assandria, Vacchetta, Eusebio, Adriani). A Savigliano invece, per esempio, il municipio ricevette donazioni solo a partire dai primi del novecento: dopo l'inaugurazione del 1913, furono in realtà gli anni '70 a vedere l'elaborazione di un progetto museale organico, con la riapertura al pubblico curata da Antonino Olmo nei locali dell'ex cenobio francescano nel 1970, la presentazione al pubblico nel 1973 della gipsoteca, frutto della donazione di Davide Calandra, e il prezioso incremento sul fronte dell'arte antica costituito dalla donazione Pensa e Frutteri7.
La città di Bra, pur non avendo ancora provveduto alla creazione di un museo di antichità, poteva affidarsi temporaneamente al ben assestato Museo Craveri di scienze naturali, ma era chiara la necessità di garantire anche alle testimonianze storiche e artistiche un'adeguata politica
6 G. Romano, Per un grande museo locale: occasioni e progetti, in C. Spantigati, G. Romano, Il museo e la pinacoteca di
Alessandria, Alessandria 1986, p.11.
7 A. Olmo, Guida al Museo Civico e ai monumenti della città, Savigliano 1981; A. A. Mola (a cura di), La Gipsoteca Davide
Calandra, Savigliano 1975 (con un testo introduttivo di Nello Ponente); A. Olmo, Mecenatismo illuminato. La donazione Pensa di Marsaglia e Frutteri di Costigliole, Savigliano 1974.
188 di acquisizione e conservazione. Lo stimolo giungeva anche dagli studi che sul finire dell'ottocento avevano impostato una prima ricomposizione della storia cittadina, come la Storia dei monumenti sacri e delle famiglie di Bra pubblicata dall'erudito locale Antonio Mathis8. Mathis era un erudito
locale che insegnava presso il ginnasio braidese, dove ricopriva una cattedra anche lo storico Ferdinando Gabotto9. Furono questi i primi insegnanti di Euclide Milano, che pur provenendo da
una famiglia di umili origini poté proseguire gli studi storici presso l'università di Torino. Il padre di Euclide era infatti calzolaio, attività che insieme ai conciatori rappresentava la categoria di lavoratori più numerosa ma anche più agguerrita in città, quella che nel 1885 aveva dato vita alla Federazione Democratica braidese, di chiara impronta socialista. Si trattava di un ambiente in cui l'educazione e l'istruzione del lavoratore erano viste come strumenti di riscatto morale per le classi operaie, idea che il giovane Euclide sposò con fiducia e che guidò anche negli anni a venire le sue iniziative legate all'educazione popolare10. Tra queste, la costituzione nel 1895 della Società
braidese di cultura, che si proponeva di divulgare il pensiero di Garibaldi e Mazzini e di formare una piccola biblioteca per promuovere la lettura tra le classi lavoratrici. Analogo valore pedagogico era attribuito anche allo sport e all'attività fisica, diffusa da Milano mediante l'Unione Sportiva Braidese, e soprattutto agli istituti culturali, primo fra tutti il museo.
Il tema dell'educazione popolare godette nei primi anni del nuovo secolo di un ampio dibattito, che portò del 1908 alla costituzione dell'Unione Italiana per l'Educazione Popolare e del suo periodico «La Cultura Popolare». L'Unione (da cui discese la Federazione Italiana delle Biblioteche Popolari) si proponeva di diffondere un tipo di cultura alternativo a quello dotto e accademico, mirando all'informazione e all'istruzione delle classi lavoratrici e più in generale della popolazione meno attrezzata. Sul tema vediamo impegnati diversi esponenti della cultura piemontese dell'epoca, tra i quali l'architetto alessandrino Lorenzo Mina (1871-1941)11, su cui
avremo modo di tornare perché per un breve periodo (tra il 1911 e il 1912) fu anche direttore della Pinacoteca e Museo cittadini. Presso l'Università Popolare di Alessandria l'architetto Mina, che nel frattempo pubblicava articoli, saggi e volumi dedicati all'arte e all'architettura, aveva tenuto alcune lezioni che volle dare alle stampe. Tra queste Dell'insegnamento dell'Arte al Popolo e Arte!?
8 A. Mathis, Storia dei monumenti sacri e delle famiglie di Bra, Alba 1888.
9 Ferdinando Gabotto (1866-1918) fu il fondatore della Società Storica Subalpina. Laureatosi a Torino con Carlo Cipolla nel 1888, ebbe con il maestro ma più in generale con gli intellettuali torinesi un rapporto difficile, attribuito in particolare alle sue prese di posizione sabaudiste, ai suoi attacchi alla cultura ufficiale e alle asprezze del carattere, elementi questi che ne segnarono una sostanziale emarginazione: A. Lizier, Ferdinando Gabotto, il "Muratori piemontese", in BSPN, a. XCIV, fasc. 1 (2003), pp. 146-151. La collaborazione con Gabotto fu motivo per Milano di profonda amarezza e delusione: Gianfranco Maggi, L'edizione del Rigestum Comunis Albe. Il complesso rapporto con Ferdinando Gabotto, in R. Comba, E. Forzinetti (a cura di), Euclide Milano..., op. cit., 2004, pp. 29-41
10 L. Berardo, Dal culto di Garibaldi al Circolo XX Settembre: il mito nazionalpoplare fra anticlericalismo, sport e
interventismo, in R. Comba, E. Forzinetti (a cura di), Euclide Milano..., op. cit., 2004, pp. 13-27, dove si trova anche riportato uno stralcio significativo dello statuto della Federazione: «Lavorerai sei giorni alla settimana e nel settimo santificherai la festa coll'istruirti la mente, coll'educarti il cuore, perché il popolo istruito è sempre potente e rispettato, l'uomo educato è sempre onesto e morale».
11Dono della Cartolinoteca Mina alla Società di Storia, in BSAA, a. XL, 1931, fasc. 3, pp. 613-614; P. C. Astori, Mina prof.
arch. ing. Lorenzo, in RSAA, A. L, 1941, fasc. 1-2, pp. 251-255; Mina Lorenzo Domenico Francesco, in P. Zoccola (a cura di), Enciclopedia alessandrina. I Personaggi, Alessandria 1990, pp. 171-172.
189 Architettura Popolare!?, presentate entrambe nel 1912 e successivamente pubblicate in opuscolo12. Le sue animate e vivaci prolusioni lamentavano la confusione e il discredito cui era
giunto ormai il termine «popolare» e manifestavano l'insofferenza verso alcuni prodotti della divulgazione culturale: certa letteratura e musica d'evasione, illustrazioni e riproduzioni commerciali, ma soprattutto l'edilizia speculativa, di fronte alla quale si rivolgeva al senso di responsabilità del governo, delle amministrazioni locali e di tutte le professioni coinvolte a favore di «una sola architettura […], fonte di tutte le armonie, le utilità, le bellezze e letizie; sotto l'alto patronato del bene, del veramente bello e dell'amore di tutti gli uomini indistintamente»13. Si
profilava all'orizzonte un discorso ambiguamente selettivo, cui non era esente la riflessione sui musei e sulla loro funzione:
I musei sono messi su, prima per gli studiosi, poi anche per gli intenditori ed amatori dell'Arte, ed in fine per l'istruzione sia pure del popolo. Non certo per le lune di miele degli innamorati sposi in viaggio, per far passare la noia ai touristes sfaccendati od ai vanitosi ricchi di posa e di denari. Guidati da ciceroni, organetti viventi, ovvero ammaestrati dal freddo e frettoloso Baedeker che, assieme al nome di Michelangelo pone quello del Danieli. Per leggere lo spirito occulto che vige nei ruderi antichi e nelle opere d'arte raccolte attraverso i secoli, bisogna essere addestrati alla comunione universale delle anime superiori […]. Quei cimelii, quelle moli, quei quadri sono testimonii fedeli del passato, essi noverano tutte le vittorie e gli errori dei padri nostri e, collegando le varie generazioni comunicano a chi li comprende l'alito vivificatore del bello, e partecipano il coraggio a far progredire quell'Arte ch'è sempre stata la fiamma guidatrice di tutto il mondo! Soggiungerò che i musei dovrebbero risultare una dotta ed ordinata raccolta di vere opere d'Arte; non il complesso di ruderi, tele, scolture raziati per ogni dove e costretti in sale purchessia come sovente accade. Prima di vedere dispersa una qualche opera è bene ritirarla; ma è dovere, potendolo, conservarla invece sul posto ove venne destinata dall'artista o da un popolo intero che in quel momento mirarono ad eternare un alto pensiero l'indispensabile per le opere d'arte.14
Di profilo diverso, sia nei contenuti che nel temperamento, risultava invece il contributo che Euclide Milano si apprestava a fornire alla causa dell'educazione popolare, perseguita in primo luogo attraverso l'impulso per la nascita dei musei di Bra e di Cuneo. Laureatosi nel 1901 con una tesi sulla storia di Pollenzo, dal 1902 aveva intrapreso la professione di insegnante. I suoi studi affrontavano le materie umanistiche secondo un'interpretazione estesa ai più recenti sviluppi disciplinari: accanto alle ricerche di storia romana, medievale e sabauda e di storia dell'arte, Milano si dedicava infatti alla linguistica e all'etnografia, intraprendendo ricerche sul folclore, sui costumi e sulle tradizioni15. Avviò così una lunga stagione di studi dedicati alla storia locale, confluiti già nei
12 L. Mina, Dell'insegnamento dell'Arte al Popolo, Alessandria 1916; Idem, Arte!? Architettura popolare!?, Alessandria 1917. 13Ibidem, p. 28.
14 L. Mina, L'arte ed in specie l'Architettura dell'oggi, Alessandria 1904, pp. 11-12.
15 A. Vissio Scarzello, Euclide Milano. La storia e l'etnografia piemontesi viste con gli occhi di un filologo, in «Studi piemontesi», vol. XXXVII, fasc. 2, dicembre 2008, pp. 471-482.
190 primi anni del secolo in alcune pubblicazioni dedicate a Bra e a Pollenzo16, e soprattutto si affacciò
agli studi folcloristici ed etnografici con l'intento di affinare ulteriori strumenti di indagine utili alla ricerca storica17.
Nel 1906 la rivista fiorentina «Arte e Storia» pubblicava un lungo contributo che Euclide Milano dedicava agli affreschi con il ciclo della Passione tuttora conservati nella cappella della Confraternita di San Francesco a Santa Vittoria d'Alba. L'articolo consente alcune osservazioni sull'approccio al tema storico artistico da parte di Milano. Gli argomenti d'apertura gravitano intorno alla consuete considerazioni sull'arretratezza culturale del Piemonte, «terra di agricoltori e di guerrieri piuttosto che di poeti e d'artisti», e sul vertice qualitativo della produzione artistica di epoca rinascimentale:
[...] la region subalpina rimase quasi sempre dietro alle altre nel movimento scientifico ed artistico del nostro paese; e solo da quando prese a compiere effettivamente la missione guerriera d'unificare la patria italiana è entrata nell'agone con una pleiade di letterati e artisti, che la compensano del suo passato meno glorioso. Vi sono tuttavia anche in Piemonte, qua e là sparsi, dei monumenti artistici insigni, i quali dimostrano che in ogni periodo della storia dell'arte, nonostante le forze avverse or ora menzionate, fiorirono sempre dei buoni architetti, pittori e scultori [...]. Così nel periodo del Rinascimento [...] anche il Piemonte sentì in parte l'influsso di quell'estetismo che allor pervadeva la vita, ed ebbe artisti come Gerolamo Giovenone, Pietro Grannorseo [sic], Macrino d'Alba, Ambrogio da Fossano, Gaudenzio Ferrari [...]. Ma oltre a questi, che sono i maggiori, non pochi altri furono allora gli amorosi cultori dell'arte, che onorarono le nostre terre di pregevoli opere. E poiché il ricercare ed illustrare quelle fra esse che più rimangono oscure, e spesso del tutto ignorate, è giudicata un'impresa onorevole e proficua agli studi, così io m'accingo a far qui parola di alcuni dipinti lasciati finora in un deplorevole abbandono18.
In sintonia con la rivista e con il suo fondatore Guido Carocci, Euclide Milano s'impegnava quindi nel prestare attenzione alle innumerevoli testimonianze e documenti figurativi sparsi sul territorio della regione, con un occhio di riguardo al tema della conservazione e della salvaguardia dei monumenti. L'articolo proseguiva infatti affrontando una per una le scene dei vari riquadri affrescati descrivendoli non solo attraverso i soggetti rappresentati ma indicando anche per ciascuno lo stato di conservazione. Nella scena di Gesù che lava i piedi agli apostoli, per esempio, osservava come il dipinto «fu guastato in massima parte da qualche irriverente imbianchino, che sperperò i suoi colori sulle faccie e più ancora sui panneggiamenti rifacendoli in modo veramente grottesco»19, e riconosceva la stessa mano infausta in numerose altre scene; nel Bacio di Giuda
16 F. Panero, Da Pollenzo a Bra: Euclide Milano e gli studi sulla più antica storia del braidese, in R. Comba, E. Forzinetti (a cura di), Euclide Milano..., op. cit., 2004, pp. 43-48. Nel 1902 Milano pubblicava la Breve storia di Pollenzo, dedicata a Giovanni Battista Adriani e Ferdinando Gabotto, e nel 1907 la Guida di Bra.
17 G. Gullino, Dalla leggenda alla storia del luogo di Auçabech, in R. Comba, E. Forzinetti (a cura di), Euclide Milano..., op. cit., 2004, pp. 51-73.
18 E. Milano, Opere d'arte del Rinascimento in una chiesa rurale del Piemonte, in «Arte e Storia», serie III, a. XXV, nn. 23- 24, dicembre 1906, p. 179.
191 osservava come «fu ritoccato lo sfondo, e specialmente il cielo, che, essendo notturno, doveva essere fosco di nubi e adatto a quella commovente scena di anime»20; della Deposizione
constatava invece come dell'opera originale non rimanesse che una parte sulla destra con il Cristo dipinto di profilo, mentre il resto del riquadro con le donne piangenti non meritava il minimo cenno dal momento che «furono sovrapposte ad una parte dell'affresco originale, spietatamente mutilato, a quel che sembra, per collocare nella parete il pulpito che ancor vi si vede»21. Dal punto di vista
stilistico Milano evidenziava l'abilità compositiva del frescante, capace di «concepire in ogni quadro una disposizione ingegnosa e ricca di naturalezza», e si soffermava volentieri sui dati espressivi, rilevando «una certa potenza di rappresentazione drammatica che impressiona favorevolmente». Preferendo dell'autore l'abilità nel disegno piuttosto che nel colorire, e pur denotando in lui «poca ed incerta la scienza anatomica», riconosceva «una grande finitezza e perfezione di contorno, uno studio minutissimo di ogni particolare, tinte rosee naturali, e soprattutto l'espressione viva e vera dei sentimenti»22. Sulla base della foggia degli abiti indossati dai personaggi si pronunciava su una
generica datazione quattrocentesca, ricordando con rammarico l'esito vano delle investigazioni condotte in diversi archivi. La parte finale del testo si soffermava sulla tavola della Madonna con Bambino, che l'autore attribuiva con fermezza alla scuola di Macrino d'Alba, riservandosi di tornare sull'argomento con una maggiore documentazione di sostegno23. Macrino suscitava in quegli anni
un considerevole interesse critico e avrà inoltre «la fortuna di essere il primo pittore piemontese a trovar posto nel repertorio degli Italian Painters di Bernhard Berenson»24, pubblicati a New York nel
1907.
Sul fronte della storia delle tradizioni e delle ricerche di folclore gli studiosi che si sono dedicati alla figura di Euclide Milano hanno già ricucito il tessuto piemontese cui il braidese faceva riferimento, citando le ricerche sulle sacre rappresentazioni condotte da Costantino Nigra, dallo stesso Gabotto e da Vincenzo Promis25. Negli anni '90 dell'ottocento il piemontese Angelo De
Gubernatis aveva fondato la «Rivista delle tradizioni popolari italiane» e venivano date alle stampe le prime raccolte organiche su scala regionale e locale, che si infittirono del decennio a seguire soprattutto in corrispondenza della Mostra di Etnografia Italiana che si tenne a Roma nel 1911. Tra i personaggi che abbiamo visto impegnati nella creazione e nella promozione dei musei civici, vale la pena almeno ricordare Antonio Massara, che nel 1913 pubblicava Tipi e costumi della campagna novarese, e il biellese Alessandro Roccavilla, impegnato nella raccolta di oggetti e saperi della tradizione piemontese per la realizzazione del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni
20Ibidem.
21Ibidem, p. 182. 22Ibidem, pp. 182, 183.
23 Euclide Milano tornerà su questi temi in E. Milano, Macrino d'Alba, in «Arte e Storia», terza serie, a. XVIII, nn. 11-12, pp. 86-90.
24 G. Romano, Per Macrino d'Alba, in Idem (a cura di), Macrino d'Alba protagonista del Rinascimento piemontese, catalogo della mostra, Alba 2001, p. XIII.
25 P. Grimaldi, Le opere e i giorni delle tradizioni popolari piemontesi: il contesto culturale regionale delle ricerche
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