2.2 «Un tutto classificato razionalmente e per ordine cronologico»: il Museo Lapidario Bruzza e l'archeologia vercellese
4.4 Donare per perfezionare: le rotte del Museo Civico di Torino
4.4.1 Le prime raccolte della "metropoli del nuovo regno"
Il ruolo dei donatori non è meno significativo nel caso in cui contribuirono, se non a far nascere, a plasmare le sorti delle istituzioni civiche. Nel caso della Pinacoteca di Alessandria è stato osservato come il museo, nato per impulso di un donatore quale strumento didattico per la promozione delle arti e la consacrazione delle glorie patrie, abbia intrapreso un cammino, seppur lento, di tutela e di ricomposizione della storia culturale del territorio anche grazie ai sentieri favoriti dalle successive devoluzioni da parte di privati cittadini. La storia del Museo Civico di Torino si presenta sotto questo aspetto particolarmente indicativa, grazie soprattutto alla frequente sovrapposizione tra direzione del museo, èlites culturali, composizione della classe dirigente cittadina e il fronte del collezionismo più aggiornato. L'intreccio tra questi fattori è all'origine sia di una chiara ricerca di posizionamento e di missione da parte dell'istituzione, sia di una capacità di orientare le rotte del civico mediante incrementi corposi e fortemente identitari, capaci di contraddistinguere sensibilmente la fisionomia delle raccolte.
Com'è noto alle spalle della creazione del Civico erano presenti iniziative di marca diversa che avevano portato il Municipio a disporre di alcuni materiali. Nel 1837 la città aveva ereditato la raccolta degli acquerelli di Giovanni Battista De Gubernatis (1774-1837): di formazione giuridica, grazie a una salda esperienza e a spiccate abilità seppe passare senza traumi dai ranghi dei funzionari napoleonici a un'ottima carriera amministrativa in età di restaurazione. La sua vita pubblica fu caratterizzata da fortune alterne, in particolare sotto Carlo Alberto, quando l'avvicendarsi di incarichi di prestigio a periodi di ritiro forzato gli permisero di dedicarsi al'incisione e alla pittura, con una predilezione per le scene di paesaggio, cui si accostò con una libertà
154Regolamento per la Pinacoteca Viecha, Alessandria 20 giugno 1855, in ASAL, ASCAL, Serie IV, b. 1772. La pinacoteca era aperta il lunedì e il giovedì, più tutti i giorni festivi.
139 stilistica e una ricchezza di linguaggi che rendono il corpus delle sue opere il curioso frutto di un «dilettante di genio»155. Con il testamento del 1835 De Gubernatis aveva stabilito di lasciare le sue
ottocento e più opere di pittura alla moglie, destinandole alla sua scomparsa alla Città di Torino, perché le esponesse nelle scuole di disegno con il vincolo del divieto di alienazione. Entrato in possesso delle opere già nel 1840, il Comune le espose l'anno stesso in due occasioni pubbliche: gli acquerelli costituivano un campionario di vedute del Piemonte e di luoghi visitati dall'autore, con una significativa prevalenza di scene di paesaggio e brani architettonici di gusto neomedievale156.
Il secondo blocco di materiali di cui la città disponeva era dovuto alla versatile attività di una delle personalità torinesi più note del mondo scientifico italiano ed europeo. Nel 1859 Bartolomeo Gastaldi donava al Comune la raccolta di reperti di età romana e altomedievale che aveva recuperato, ordinato e catalogato durante gli scavi condotti a Torino per l'abbattimento della Cittadella e l'impianto dello scalo ferroviario di Porta Susa. Grazie a una metodologia di scavo e di studio sistematica (da ricordare la sua amicizia con Ariodante Fabretti, con cui avrebbe fondato la Società di Archeologia e Belle Arti), Gastaldi restituiva un nucleo di oggetti estremamente rappresentativi sia sotto il profilo archeologico sia come testimonianze della stratificazione storica urbana157. La collezione fu trasferita nei locali del Collegio Monviso, la scuola tecnica dove Gastaldi
insegnava e che in quegli anni era diventata la sede di deposito per le raccolte di proprietà civica. Qui era stata destinata anche la collezione di Gian Giacomo Arnaudon (1829-1893): chimico autodidatta e studioso di materie prime (cui diede il nome di "merceologia", trasformandola anche in materia di insegnamento), rappresentante della città presso l'Esposizioni londinese del 1851 (dove guidò una delegazione di tecnici e operai piemontesi), nel 1860 offriva al Municipio la propria collezione, con l'idea di «costituire un'abbastanza completo museo industriale e di storia naturale applicata», a condizione di mantenere la classificazione da lui operata e di garantirne la fruibilità pubblica158. Il Collegio Monviso divenne quindi la prima sede delle raccolte municipali, ordinate in
questa prima fase dal teologo Pietro Baricco, che ricopriva al contempo la carica di vicesindaco. Le collezioni si andavano riunendo sotto la spinta di un sentimento fortemente patriottico, che nella «metropoli del nuovo Regno» riconosceva nei musei pubblici «un continuo invito ai cittadini a farsi benemeriti della patria, mentre sviluppano nel pubblico i più nobili sensi e rialzano lo spirito al di sopra della materia»159.
Le raccolte con cui il Museo Civico si presentava all'inaugurazione del 1863, presso i locali del Mercato del Vino, non precludevano alcuno sviluppo per l'istituzione, fatta salva la vocazione alla pittura antica che veniva opportunamente e ripetutamente omessa per rispettare la desiderata
155 G. Ratti e R. Maggio Serra, De Gubernatis Giovanni Battista, in DBI, Roma 1988, vol. 36, ad vocem; R. Maggio Serra,
Giovanni Battista De Gubernatis (Torino 1774-1837), in E. Castelnuovo e M. Rosci (a cura di), Cultura figurativa..., op. cit., 1980, vol. III, pp. 1429-1431, con bibliografia.
156 A. Passoni, La collezione G. B. De Gubernatis, con prefazione di Luigi Mallè, Torino 1969.
157 C. Spantigati, Le origini del Museo e il dibattito sulla tutela, op. cit., 1996; A. A. Piatti, Bartolomeo Gastaldi, op. cit., in c.d.s.
158 G. Bracco (a cura di), 1859-1864. I progetti di una capitale in trasformazione. Dalla città dei servizi alla città dell'industria, Torino 2000, p. 51.
140 complementarietà con la Reale Galleria160. Sul fronte delle antiche testimonianze della storia
cittadina, oltre ad alcuni reperti archeologici, che come abbiamo visto sarebbero stati oggetto di permuta con il Museo di Antichità161, il Civico divenne la naturale sede di memorie, cimeli e di una
documentazione tanto varia che avrebbe alimentato la nascita del Museo del Risorgimento162 e
che a più riprese avrebbe suggerito l'istituzione di un apposito museo di storia della città163.
Nell'indicare gli indirizzi, del resto, il primo regolamento del museo rimaneva ancora piuttosto indefinito, facendo riferimento a «dipinti e scolture dell'epoca moderna; opere d'arte di ogni genere de' tempi scorsi; oggetti varii relativi alle scienze e alle industrie»164, e quindi lasciava le porte
aperte alle affluenze più disparate, dai modelli di monumenti alle edizioni tipografiche di Bodoni fino alla raccolta di fossili e insetti del Piemonte acquistata dal museo di Alba. Un filone particolare di attenzione alla cultura alpina s'inseriva poi tra le collezioni del Civico fin dai primi anni, in virtù di un interesse culturale e scientifico per la montagna e le vallate piemontesi che accomunava i protagonisti del museo e coloro che, nello stesso 1863, avevano fondato la sezione torinese del CAI: un esempio è dato dall'ingresso nel 1867 del paliotto proveniente da Carema donato da Giacomo Rey, che con Agodino divideva l'impegno all'interno del CAI e la passione per montagna165.
Le descrizioni del museo riportate dalla pubblicistica coeva riflettono la variegata fisionomia di questi primi anni di avvio del museo, osservato attentamente anche nelle sue modalità di gestione. Le pagine che vi dedica Pietro Baricco nella sua Torino descritta, introdotte da un excursus sugli organi di governo dell'istituto, citano i dipinti a olio di pittura moderna, la sala per la custodia degli oggetti antichi rinvenuti negli scavi dell'agro piemontese, insieme alla raccolta preistorica di Gastaldi; si procede poi con la sala «destinata ai quadri dei buoni secoli dell'arte» (il trittico del XV secolo e dipinti di Jan Victoor, Bartolomeo Vivarini, Carlo Caliari, Sassoferrato) e la sala degli oggetti medievali (tra cui il libro detto della catena, con gli Statuti del Comune del '200, i codici miniati, gli oggetti in metallo, una vetrata, il cofano del 1470, una pianta antica di Torino disegnata a penna nel 1620). Si citano poi le collezioni di medaglie, gli autografi di casa Savoia e di insigni piemontesi; la raccolta delle edizioni bodoniane, i 600 e più acquerelli di De Gubernatis, la collezione di porcellane di Vinovo e «alcuni bei lavori di xilotarsia e di scultura in legno ed avorio dei reputati maestri piemontesi Stefano M, Clemente, P. Piffetti, Ignazio Revello, G. Tanadei e G.
160 M. di Macco, R. Maggio Serra, S. Pettenati, Lo sviluppo della galleria statale e la formazione del «sistema» municipale, in Musei d'arte a Torino. Le sedi, le collezioni, i processi istituzionali, ciclo di dibattiti, Galleria Sabauda, gennaio – aprile 1993; P. Astrua, Pio Agodino e il dibattito sui musei a Torino nel decennio postunitario, in S. Pettenati, G. Romano (a cura di), Il tesoro della città, op. cit., 1996, pp. 47-51.
161 Cfr. § 3.2.2.
162 Come la raccolta di oltre cento tempere su I fatti militari e politici d'Italia dal 1859 al 1866 di Carlo Bossoli, già appartenuta al principe Eugenio di Carignano: C. Vernizzi (a cura di), Carlo Bossoli. Cronache pittoriche del Risorgimento (1859-1861) nella Collezione di Eugenio di Savoia Principe di Carignano, Torino 1998.
163 Cfr. § 8.1.1.
164Regolamento provvisorio per il governo del Museo Civico, Torino 1863; F. Ghisi, Pio Agodino e la fondazione del Museo
Civico di Torino, in S. Abram, I direttori del Museo Civico..., op. cit., in c.d.s.
165 G. Carpignano, La cultura alpina e il Museo Civico di Torino, in A. Audisio, D. Jalla, G. Kannès, I musei delle Alpi..., op. cit., 1992, pp. 65-70.
141 Bonzanigo»166.
Sulla base dell'analoga distinzione tra «armi e utensili dell'epoca preistorica; monete e medaglie ed oggetti diversi dei mezzi tempi; e la galleria moderna dei migliori dipinti degli artisti d'ogni provincia del regno» si basavano anche i due contributi pubblicati nel 1869 e nel 1870 sulla rivista «L'Arte in Italia»167 dal direttore Pio Agodino. Ripercorse brevemente le tappe costitutive del
museo, ricordava la destinazione del primo piano dell'edificio di via Ferrari come sede provvisoria, «comecché non troppo adatta in punto di luce a dare risalto ai quadri». Dopo aver spiegato le funzioni del comitato direttivo, passava alle raccolte. La prima «per ragione di tempo e d'importanza» era quella preistorica, «la quale è presentemente materia di tanti studi e di sì pazienti ricerche». Agodino non tralasciava la collezione archeologica (resti dell'età romana provenienti da scavi presso Alba e nel torinese, oggetti dagli scavi per la ferrovia di Brindisi, reperti di Industria), anticipando però l'intenzione di non incrementare questo settore del museo, «perché il comitato considerò non essere né utile, né conveniente l'impiegare parte del fondo dell'Istituto a comporre una collezione che in ogni caso, benché più ricca, non potrebbe meritare la pubblica attenzione in confronto di quella che trovasi esposta nel Museo di antichità greche e romane». Si soffermava quindi sulle «poche cose dei tempi di mezzo» esposte, sulla raccolta di monete e sugli autografi dei Savoia e degli uomini del risorgimento. Tra le «cose afferenti alle arti ed industrie» ricordava porcellane, cristalli, sculture e intarsi, gli stalli del coro della cappella di Issogne, i lavori del Bonzanigo e le oreficerie, e tra le «memorie del paese» citava anche il piano della battaglia del 1706 e la spada utilizzata da Alessandro Lamarmora nella battaglia della Cernaia. Le opere «di antica scuola» erano inserite quasi accidentalmente, ricordando che il loro acquisto derivava esclusivamente da doni o da circostanze straordinarie. La galleria d'arte moderna era indicata invece quale scopo principale del museo, alimentato dalla munificenza della Casa Reale168 e dei
ministeri, che in occasione del trasferimento della capitale avevano fatto dono dei dipinti acquistati alle esposizioni nazionali e internazionali, insieme a sculture, lavori a penna e acquerello, la collezione delle edizioni di Bodoni e i modelli di monumenti.