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Qualche episodio di segno positivo: Bene Vagienna, Cherasco, Alba, Ivrea

2.2 «Un tutto classificato razionalmente e per ordine cronologico»: il Museo Lapidario Bruzza e l'archeologia vercellese

3.4 Resistenze e opportunità: collezioni e musei sul territorio

3.4.3 Qualche episodio di segno positivo: Bene Vagienna, Cherasco, Alba, Ivrea

La possibilità di mantenere in loco le collezioni risultanti dalle attività di scavo nel corso degli anni '90 dell'ottocento registrò in alcuni casi concrete iniziative di salvaguardia.

Uno dei casi più significativi fu quello di Bene Vagienna, dove l'autorevolezza dei protagonisti e la loro presenza nelle sedi più significative della ricerca e della pratica archeologica torinesi fu elemento di garanzia per la nascita di un museo civico locale.

Nell'area dell'antica località romana di Augusta Bagiennorum il primo intervento sistematico di scavo fu intrapreso da Assandria e Vacchetta nel 1892, inaugurando una serie di campagne che si protrassero fino al 1908132. Giuseppe Assandria (1840-1926) era uno dei cittadini benesi più in

vista: protagonista per più di quarant'anni della vita amministrativa municipale, pur essendo laureato in chimica coltivava principalmente studi di carattere storico; artefice di una importante biblioteca e di una collezione numismatica poi andata dispersa, fu socio della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, membro tanto della Deputazione di Storia Patria quanto della Società Storica Subalpina e dal 1898 fece parte della Commissione Conservatrice della Provincia di

130 F. Miotti, Il contesto socio-culturale che diede vita al Museo Civico di Tortona, in A Crosetto, M. Venturino Gambari,

Onde nulla si perda..., op. cit., 2007, p. 105.

131 A. Arzano, La tutela artistica, in «Arte e Storia», A. XV (Nuova Serie), n. 13, 15 luglio 1896, pp. 97-99 (cfr. Appendice 3a).

132 I primi risultati furono pubblicati nel 1894 sulle Notizie degli Scavi di Antichità; i passi successivi furono documentati con periodiche comunicazioni sugli Atti della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti. Cfr. M. C. Preacco, L'attività di Giuseppe Assandria e di Giovanni Vacchetta e la nascita del Museo Archeologico di Augusta Bagiennorum, inM. Venturino Gambari, D. Gandolfi (a cura di), Colligite fragmenta..., op. cit., 2009, pp. 273-280.

94 Cuneo133. Le sue ricerche benesi erano condotte a fianco di Giovanni Vacchetta, dal 1899

professore ordinario di Disegno Ornamentale al Museo Industriale, artista, studioso degli stili a e dal 1913 direttore della sezione di arte antica presso il Museo Civico di Torino.

Grazie ad Assandria, le varie lapidi che si trovavano sparse in città, di norma presso le case di famiglie locali, dove nel 1871 il Momsen aveva potuto eseguire la copia di alcune epigrafi, nel 1885 furono riunite nel Palazzo Comunale, accanto ad alcuni calchi tratti da reperti conservati presso il Museo d'Antichità torinese. Nei primi anni del '900, divenuto di proprietà pubblica il Palazzo Lucerna di Rorà, Assandria e Vacchetta vi sistemarono il Museo Civico, composto di una sala romana e di una sala per i reperti del medioevo e delle età successive, che insieme a stemmi, pergamene e ai volumi raccolti da Assandria ricostruiva le diverse fasi dello sviluppo cittadino134.

Lo sviluppo dell'istituto era specchio del lavoro di scavo e ricomposizione condotto dai due studiosi, che interpretarono il museo come presidio della ricerca e della tutela: in linea con la pratica più aggiornata della documentazione di scavo, vi depositarono infatti anche i disegni particolareggiati dei diversi ritrovamenti, come base da cui partire per chi avrebbe proseguito gli scavi.

L'esito fortunato di questo sodalizio, che univa una preparazione di carattere tecnico e architettonico a una salda attrezzatura di carattere storico e artistico, era frutto anche della capacità di dialogo con i protagonisti della ricerca e della tutela archeologica a livello accademico e istituzionale. Fin dal 1893 furono tempestivamente coinvolti sia Ermanno Ferrero, segretario della Spaba e dell'Accademia delle Scienze di Torino, sia l'Ufficio Regionale di Alfredo d'Andrade, che in quegli stessi anni impostava metodologicamente, con le indagini sulle città romane di Augusta Taurinorum e Augusta Praetoria, la ricerca archeologica su scala monumentale e urbana135.

Esperienze assimilabili a quella di Bene Vagienna si verificarono anche in altre località di provincia, come per esempio a Cherasco, dove nel 1898 Adriani faceva dono al Municipio delle proprie collezioni archeologiche. Il padre somasco Giovanni Battista Adriani (1826-1905) fu socio delle più importanti accademie scientifiche e letterarie d'Europa ed era stato insignito delle più prestigiose onorificenze; su incarico ministeriale aveva perlustrato gli archivi della Francia meridionale per raccogliere documenti di storia subalpina (nel 1853 pubblicati negli Historiae Patriae Monumenta), nel 1876 aveva dedicato al sovrano la sua opera monumentale sugli statuti del Comune di Vercelli, ricevendone in cambio la nomina a Commendatore della Corona d'Italia; negli anni si era dedicato anche a studi di carattere archeologico e nel 1877 fu nominato Regio

133 Il profilo culturale di Giuseppe Assandria, i suoi studi e la sua attività sono stati oggetto di un convegno di studi: M. Fessia (a cura di), La memoria della cultura. Giuseppe Assandria a 150 anni dalla nascita, atti del convegno (Bene Vagienna 1990), Cuneo 1994 (in particolare si rinvia a: M. Fessia, Ricordo di un concittadino illustre, pp. 11-21; L. Mercando, Il contributo di Giuseppe Assandria alla conoscenza delle epigrafi romane nel Piemonte meridionale, pp. 43-49; F. Filippi, Giuseppe Assandria archeologo e le sue ricerche su Augusta Bagiennorum, pp. 51-71).

134 Gli oggetti romani erano sistemati in vetrine disegnate dallo stesso Assandria, prendendo a modello quelle torinesi e quelle del Museo Egizio del Cairo. Sul recente riallestimento del museo, che ha comunque cercato di preservare i caratteri del museo delle origini, giunti quasi intatti: M. C. Preacco, Museo Archeologico di Bene Vagienna Palazzo Lucerna di Rorà, Torino 2006.

135 L. Mercando, D'Andrade e l'archeologia classica, in M. Cerri, D. Biancolini Fea, R. Pittarello (a cura di ), Alfredo

95 Ispettore per gli Scavi e Monumenti. La raccolta da lui radunata e affidata alla città natale comprendeva libri, pergamene, documenti, monete, dipinti, mobili e vari oggetti di antichità136.

Il museo civico come sede della ricerca e della tutela archeologica poté svilupparsi anche ad Alba grazie all'iniziativa di un altro socio della Spaba, il professor Federico Eusebio (1852- 1913)137. Docente di letteratura latina e di archeologia presso l'Università di Genova (dove tra il

1903 e il 1904 fu preside della Facoltà di Lettere e dal 1909 al 1912 direttore della Scuola di Magistero), nel 1897 promosse l'istituzione di un museo civico archeologico. Il suo contributo allo sviluppo degli studi sulla storia locale proseguì nel 1907 con la fondazione della Società di studi storici ed artistici per Alba e territori connessi, cui fece seguito l'anno successivo il primo numero della rivista Alba Pompeia. Grazie all'iniziativa di Eusebio, la cui attività fu ripresa negli anni '30 dal canonico Luigi Giordano e da Pietro Barocelli, la città poté assicurare al proprio museo diversi reperti risalenti a ritrovamenti più antichi. Vi confluirono infatti il cippo funerario romano recuperato nel 1779 da Giuseppe Vernazza, acquistato nel 1820 da Carlo Alberto per farne dono al Comune; la collezione di Filippo Sotteri (1766-1848), sacerdote di Guarene, professore e poi direttore del Collegio militare di Asti, autore fin dai primi anni del secolo di un museo privato con sede in Alba; infine gli ultimi ritrovamenti frutto delle ricerche preistoriche di Giovan Battista Traverso (1843- 1914).

Le esplorazioni dell'ingegnere minerario albese Traverso, che come allievo di Bartolomeo Gastaldi fu tra i pionieri degli studi di paletnologia in Piemonte, avevano avuto inizio fin dal 1878 e avevano condotto alla scoperta della stazione preistorica di Alba. La scarsa attenzione ricevuta in patria, dove ancora non esisteva alcuna sede museale pubblica, spinse Traverso a far dono degli oggetti rinvenuti al Museo Preistorico di Roma, all'epoca diretto da Luigi Pigorini138; diverso sarà

invece l'esito dei reperti a partire dal 1908, quando cominciarono a confluire all'interno del locale museo civico. La biblioteca di Traverso fu poi ereditata da Pinot Gallizio, il noto artista albese che, oltre a essere stato il protagonista con Asger Jorn di alcune delle esperienze artistiche più sperimentali degli anni '50, poi sviluppate nella sua tipica "pittura industriale", di professione era in realtà farmacista, con una forte passione per la ricerca archeologica che lo portò negli anni '40 a proseguire le ricerche preistoriche, ampliando notevolmente il perimetro della stazione albese139.

A Ivrea, invece, fu la necessità di preservare le testimonianze storiche a consentire il recupero delle antichità e l'istituzione del museo civico. Una lettera pubblicata da Piero Giacosa sul

136 Sulla figura di Giovanni Battista Adriani, sulle sue collezioni e la creazione del museo a lui intitolato: B. Taricco, Il Museo

Civico "Giovan Battista Adriani" di Cherasco, Cherasco 1992.

137 L. Maccario, Lo storico delle antichità albesi, in «Alba Pompeia», A. IV, n. 2, 1983, pp. 9-15.

138 Le collezioni approdate a Roma furono descritte nella Stazione neolitica di Alba, pubblicazione edita in tre successive sezioni nel 1898, 1901 e 1909.

139 M. Venturino Gambari, Giuseppe Gallizio e l'archeologia. La passione delle cose belle, un servizio alla scienza, in Pinot

Gallizio. L'uomo, l'artista e la città 1902-1964, catalogo della mostra di Alba, Milano 2000, pp. 11-14. Negli anni '70 le collezioni del Museo Civico di Alba, integrate con l'apporto degli scavi più recenti e con le scienze naturali, sono state trasferite nell'ala ottocentesca dell'ex convento della Maddalena: Civico Museo Archeologico e di Scienze Naturali "Federico Eusebio" di Alba. Guida alla visita, collana "Guida ai Musei del Piemonte" della Regione Piemonte, sl, 1992.

96 giornale «Il Canavesano» nell'agosto del 1885 denunciava la trascuratezza verso i documenti della storia locale e auspicava la creazione a Ivrea di un museo dove raccogliere «tutti gli oggetti mobili che possono disperdersi o deperire facilmente e che hanno rapporto con un'epoca determinata della storia del paese, e [...] altri monumenti che possono impunemente rimanere nei luoghi ove furono posti, e che servono ad illustrare i vari Comuni della Regione, si metterebbero i disegni, i calchi, ed in genere una riproduzione tale che ne permetta la ricostruzione e l'utilizzazione come documento storico in caso che essi si perdessero»140. Seguiva un elenco degli oggetti eporediesi

che potevano entrare a far parte del museo; gli edifici monumentali (come le chiese) sarebbero stati presentati mediante una «classificazione secondo le epoche» e i disegni: «Insomma si cercherebbe di presentare all'occhio dell'osservatore, radunata razionalmente, la serie dei nostri monumenti o tali quali o riprodotti facendone il catalogo e offrendo mezzo di accertare il loro stato di conservazione raffrontandolo cogli accertamenti fatti ad epoche determinate».

Piero Giacosa (1853-1928) era esponente di quella classe colta di fine ottocento impegnata nel mondo della scienza e della cultura: medico di professione, aveva compiuto studi e scritti anche su temi di argomento storico, archeologico, artistico e letterario141. Era fratello del noto

scrittore e drammaturgo Giuseppe, assiduo frequentatore di d'Andrade e Avondo, e più in generale partecipe del clima di recupero filologico del medioevo piemontese, tanto da firmare nel 1884 l'introduzione al catalogo ufficiale della sezione di storia dell'arte dell'Esposizione torinese.

La città di Ivrea, all'incirca dieci anni prima dell'appello di Giacosa, aveva ricevuto in dono una preziosa collezione di oggetti orientali (bronzi, lacche, porcellane, dipinti su seta e carta, vasi, armi, costumi, incisioni sia giapponesi che cinesi) riunita dal concittadino Pier Alessandro Garda,142

che vi aveva aggiunto la collezione di oggetti cinesi di Palazzo Giusiana. L'edificio era stato invece acquistato dal Comune, per praticarvi i necessari lavori di allestimento e giungere, nel dicembre del 1876, all'inaugurazione del museo alla presenza del ministro Lanza. Alla morte del Garda, avvenuta nel 1880, era evidente la necessità di ridefinire la missione e gli intenti dell'istituto: in questo contesto Giacosa presentava la sua ipotesi di istituire il Museo Canavesano, destinato a raccogliere le testimonianze della storia cittadina a rischio di dispersione. L'attenzione era rivolta in particolare ai reperti archeologici, sottoposti a episodi di incuria e speculazione; non a caso dopo pochi giorni giungeva la solidarietà dell'ispettore circondariale Giovanni De Jordanis, che auspicava la collaborazione tra municipio e soggetti privati a favore del museo. Dovettero trascorrere alcuni anni, ma finalmente nel 1894 l'amministrazione civica decise di radunare in un locale tutti gli oggetti che potessero interessare la storia del territorio e riunì i maggiori intellettuali eporediesi a far parte di un'apposita Commissione incaricata di procedere al riordino. Tra le prime operazioni si procedette all'acquisizione della raccolta lapidaria di Francesco Baldassarre Perrone, che più di un

140 La lettera è riportata in G. Fragiacomo, Pier Alessandro Garda ed il Museo di Ivrea, in Museo Civico Pier Alessandro

Garda Ivrea. Sezione Orientale. Catalogo Provvisorio, Ivrea 1984, pp. 3-14.

141 A. Zussini Piero Giacosa, scienziato umanista (1853-1928), in «Studi Piemontesi», vol. XXXVIII, Giugno 2009, fasc. 1. 142 Pier Alessandro Garda (1791-1880) proveniva da una famiglia al servizio dell'esercito napoleonico aveva acquisito consistenti fortune; allevato a Parigi, si laureò in legge a Torino, da cui dovette fuggire per la condanna in seguito ai moti del '21. Rientrato in Piemonte nel 1848, in seguito alle numerose peripezie che lo condussero in diverse capitale d'Europa e oltreoceano, si ristabilì nella residenza di famiglia e fu eletto più volte deputato.

97 secolo prima aveva avviato la formazione di un privato museo di antichità143.

Il caso di Ivrea è uno dei tanti che porta a considerare come la documentazione della storia locale si sia tradotta più facilmente in raccolte di tipo archeologico: in generale in Italia la creazione di musei di carattere prettamente storico assunse le tinte più sfumate della variegata identità culturale dei musei civici. Occorre ovviamente lasciare da parte la considerazione di musei e raccolte risorgimentali, generati da mozioni di carattere politico e alimentati dalla necessità di corroborare il senso di appartenenza alla giovane nazione144. Per il resto la ricostruzione per via di

oggetti e documenti della storia cittadina si traduceva più volentieri in percorsi che avrebbero privilegiato la storia culturale.

143 M. P. Borriello, Il Museo P. A. Garda. Cronaca e dibattito di fine '800, estratto dal «Bollettino della Società Accademica di Storia ed Arte Canavesana», n.14, 1988.

144 Sul tema, oggetto di una specifica e autorevole letteratura, si rinvia a: M. Baioni, La "religione della patria". Musei e istituti

del culto risorgimentale, Quinto di Treviso 1994; M. Baioni, Risorgimento in camicia nera. Studi, istituzioni, musei nell'Italia fascista¸ Torino 2006.

98

APPENDICE

3a. La tutela artistica di Aristide Arzano.

documento: A. Arzano, La tutela artistica, in «Arte e Storia», A. XV (Nuova Serie), n. 13, 15 luglio 1896, pp. 97-99.

[...] Gli artisti sanno cosa sia in pittura la teoria dei valori: essi riconoscono che un qualsiasi effetto artistico à in se ben poco d'assoluto, ma è nella sua parte essenziale una questione di rapporti; ora io dico che questo criterio dei valori è vero altresì per quanto riguarda l'archeologia dell'arte.

V'ànno oggidì molte egregie persone le quali credono di tutelare coscienziosamente gli interessi dell'arte, promuovendo la raccolta in musei caotici di sculture, frammenti e fregi provenienti dagli scavi o dai rifacimenti edilizi di una determinata regione, od anche (e questo è il peggio) in modo affatto indipendente da alcun criterio di luogo. E se dette raccolte non rappresentassero agli occhi di cotesti signori null'altro che un mezzo di carattere transitorio per raggiungere un più ragionevole fine, io non avrei più nulla a ridire, ma siccome avviene quasi sempre che i veri interessi dell'arte vadan posposti a quelli del materiale incremento dei detti istituti, che le raccolte formi scopo a se stesse, e che i raccoglitori nella loro smania poco curino sapere, se le cose che immagazzinano, sian come le spoglie che l'albero alla terra rende o non piuttosto vive fronde strappate ai rami vivi, così io mi permetto di levare l'accusa [...].

Io dico adunque che qualsiasi produzione dell'arte à col cielo, col paesaggio, colla gente del suo luogo natale delle rispondenze così profonde, di carattere talmente vitale e così permanenti anche a distanze di secoli, che è vera pazzia lo sconvolgere. Le forme che una terra produsse, ànno in quella terra e nella razza aborigena le lor radici profonde e stanno ad affermare quel particolare orientamento estetico che si chiama il genio artistico di una gente, il quale non muta solo da nazione a nazione, ma per gradi infiniti, come il linguaggio, da campanile a campanile. [...] Questo nell'ordine estetico.

Nell'ordine storico è superfluo rilevare di quale e quanta importanza siano gli elementi, che nell'esportazione degli antichi avanzi monumentali van perduti per sempre. Questi, finché tu li osservi nella lor patria e nella lor funzione, son pagine parlanti con linguaggio denso e profondo; trasportati e rinchiusi diventan sbiaditi papiri ben presto e ben spesso muti.

Nell'ordine morale infine sarebbe stolto disconoscere quanto sia senza paragone maggiore il contributo che queste antiche memorie posson recare quando sian mantenute, dirò così, a fronte del popolo che le cresce, e della generazione che le ebbe dai propri padri in retaggio. Col trasportarle e col rinchiuderle non si fa che rinunciare a tutto questo, calpestando, per un'idea scientifica assai discutibile, il diritto più sacro di una gente.

Posta in tal modo la questione, mi par logico dedurne che per ottenere dalla nostra artistica eredità il massimo rendimento, converrà armonizzare nella sua conservazione le varie esigenze che abbiam sopra accennato, e perciò porre a base il principio che qualsiasi azione di tutela, ove non miri a mantenere o ad avvicinare un elemento artistico alla sua funzione nel triplice concetto estetico, storico e morale, fallisce lo scopo.

Domandate ad uno dei tanti regi ispettori dei monumenti, se quando promuove il trasporto, suppongasi, di un capitello romano da una piccola città antica al capoluogo della provincia, domandate, dico, se egli à bene esperimentato, se egli à esaurito ogni mezzo per ottenere innanzi tutto che quel capitello rimanga in fronte all'edificio presso il quale fu rinvenuto in condizioni adeguate di visibilità e di tutela. – No – Quasi sempre egli lo avrà considerato come una preda, come un buon acquisto per la tale o tale altra raccolta provinciale o nazionale. E questo è il danno: e così si va compiendo un vero svaligiamento, una legale rapina ammantellata di gelose sollecitudini, delle grandi città sulle minori, e quel che è peggio di città solo amministrativamente importanti sopra altre già illustri ed or decadute. Così Alessandria spoglia Tortona e Bosco, Caserta Capua, Lecce Otranto. Ciò che un giorno compiva la forza brutale delle armi, va ora compiendosi per gravitazione amministrativa. [...]

99 Io ò parlato di un capitello e qualcuno dirà: Un capitello... poco male; servirà meglio allo studio nell'angolo di un museo provinciale, che non sporgente sopra un mensolone nella piccola terra dove fu rinvenuto. Ed ecco ciò che io nego recisamente. Nossignore... il capitello deve esser conservato là, e tutelato nel luogo perché è là che esso avrà il suo pieno significato e la massima vigoria di accento, e là che esso darà il massimo rendimento sotto qualsiasi aspetto lo si voglia considerare. Ma sappiamo noi, trasportandolo, quali elementi veniamo a perdere, quali armonie a turbare, quali traccie a distruggere, e quali fatti a confondere, quali errori a ingenerare?

[...] Ma tant'è... una volta messa in onore una pratica convien pare ch'essa trovi i suoi seguaci ed ecco perciò proprietari, che strappan nel rifacimento e nel restauro di edifici, senza alcuna necessità tabernacoletti, fregi, colonne, capitelli, stemmi, bassorilievi, frammenti e tutti convogliano al museo archeologico, ed i Municipi a far loro mille lodi, invece di adoprarsi affinché quelle reliquie dell'antica arte del luogo rimangan quanto più possibile nella loro funzione, nelle originali condizioni di luce e di colore ed in comunicazione perenne col popolo di cui furon pensiero e vita.

Ed è così che Alessandria, città di fondazione medioevale, avida di avere nel suo museo provinciale una raccolta conveniente di antichità classiche, piomba su Tortona e le strappa il più ed il meglio delle sue memorie romane, e tanto ciecamente che si trovan poi titoli nel museo tortonese, il cui complemento si legge nell'alessandrino... E dopo ciò, ecco che vi vengon a fare ancora mille encomi al municipio di Alessandria, senza pensare che a una piccola città illustre venga tolto in tal modo quanto ne poteva formare l'orgoglio, quanto dell'antica grandezza le aveva conservato la sua terra fedele, la sua terra bagnata tante volte di sangue in venti secoli di storia... ah! se tutto ciò non è vandalismo, se tutto ciò non è barbarie, ditemi voi a quali cose io debba dare questo nome.

I musei e le raccolte archeologiche che avvicinano nello spazio ciò che fu vicino nel tempo, che facilitano i raffronti, che pongono in luce eccellente la tendenza estetica di determinate epoche,

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