SOCIETÀ LOCALI, MUSE
5.1 Varallo: la Società di Conservazione e la Pinacoteca
5.1.4 Lo sviluppo della Pinacoteca e l'ordinamento di Arienta
La cautela e lo studio a cui Arienta affidava gli interventi di conservazione e l'impegno costante con cui esercitava la difesa del patrimonio artistico locale gli valsero la fiducia di Alfredo d'Andrade, di cui fu valido e zelante emissario per la Valsesia55. L'impegno per la tutela era
praticato dal pittore valsesiano con una piena consapevolezza del proprio ruolo istituzionale; con analoga serietà Arienta si dedicava all'incremento e all'ordinamento delle raccolte museali di Varallo, anch'esse di spettanza della Società di Conservazione. Fin dal 1876 lo statuto della Società prevedeva infatti di «formare una Pinacoteca, un Museo di Scultura, una Gipsoteca, un Museo delle Ceramiche e dei Vetri e un Museo Lapidario, con opere d'arte sia antica come moderna, e con oggetti artistici acquistati dalla Società, o ad essa donati, oppure dati in custodia»56.
Già l'Incoraggiamento aveva favorito la formazione di un primo nucleo di opere, e l'ipotesi museale era viva fin dalla fine degli anni sessanta, ma la nascita della Pinacoteca ebbe un deciso e definitivo impulso in occasione dei festeggiamenti per il IV Centenario della (presunta) nascita di
53 Figlio dell'omonimo pittore, l'Antonini studiò prima a Varallo, poi, sotto la protezione dello zio Leone, all'Accademia di Brera. Nel 1871 fu nominato direttore del Laboratorio Barolo di scultura, carica che ricoprì fino alla morte e che gli fece guadagnare la stima dei contemporanei per l'impegno profuso nel potenziamento e nel miglioramento della scuola. Autore del primo monumento a Vittorio Emanuele II in Italia (a Varallo nel 1862), si dedicò anche alla scultura di genere, funeraria e religiosa: G. Guaita, Giuseppe Antonini. Commemorazione, Varallo 1891.
54Comunicazione per la delegazione civica, in ASV, SV, FSM, busta 65, fasc. 1883 "Istanza del prof. Giuseppe Antonini per la pulitura delle cappelle del Sacro Monte".
55 Un episodio della loro collaborazione fu il restauro della vetrata della parrocchiale di Roccapietra: S. Abram, Interventi di
restauro sul territorio piemontese..., op. cit., 2005.
172 Gaudenzio del 1885. La celebrazione del caposcuola rinascimentale valsesiano rappresentò nuovamente la ragione aggregante e propulsiva per avviare iniziative di ricognizione e conservazione, così come era avvenuto già tra gli anni '60 e '70 con la creazione del "Comitato per l'erezione di un monumento a Gaudenzio Ferrari"57.
Per il centenario la Società di Conservazione e quella d'Incoraggiamento organizzarono l'Esposizione artistica Valsesiana58, che in dodici sale ricavate negli edifici scolastici esponeva
opere e materiali messi a disposizione da enti, parrocchie e privati cittadini: l'obiettivo era quello di mostrare lo sviluppo dell'arte valsesiana, ricondotta al suo più illustre artefice Gaudenzio. Le opere riunite ricomponevano alcuni episodi salienti e rafforzavano l'opportunità del museo: l'opinione pubblica cominciò a caldeggiarlo, riconoscendovi un valore celebrativo e promozionale per l'identità locale ma anche il luogo della tutela e della cura dei monumenti (come l'ancona gaudenziana di Gattinara, destinata dopo la mostra a essere nuovamente smembrata). Ancora una volta fu l'Incoraggiamento a guidare l'iniziativa, ospitando le prime sale del Museo all'interno del Palazzo Sociale, già allora percepito come il "tempio sacro" dell'arte valsesiana. Qui confluirono le opere d'arte dismesse dal Sacro Monte, i dipinti murali strappati da edifici del territorio e i doni puntualmente offerti da soci e cittadini. I locali messi a disposizione erano quello della Scuola di Disegno, a rimarcare un legame tra museo e istruzione che già era il segno distintivo del Civico diretto da Pietro Calderini: nato con un carattere prevalentemente scientifico, negli anni continuava a raccogliere le testimonianze più diverse, dalle curiosità ai reperti archeologici. La complementarietà dei due musei varallesi ne facilitava la convivenza, configurandosi già all'epoca come una sorta di sistema del patrimonio culturale valsesiano.
Ad Arienta fu affidato l'ordinamento delle sale della Pinacoteca (compiuto nel 1892 per due ambienti) e la compilazione del catalogo, edito postumo solo nel 1902. Gli studi compiuti dal pittore per identificare e documentare le opere presenti in Pinacoteca sono in parte testimoniati dai suoi contributi pubblicati sul periodico dell'amico Carocci nel corso degli anni '90.
Dal volume risaliamo alla disposizione delle opere, operazione in cui Arienta era stato attento affinché «tenendo conto dell'indirizzo storico degli studi odierni, si descrivessero per ordine di tempo le raccolte opere di vari artisti»59. Il pensiero di istituire il museo si era del resto ispirato
alla volontà di veder riconosciuto il significato storico della cultura figurativa locale e di celebrare il tradizionale culto per l'arte, sottolineando «Il merito intrinseco di molte opere di pittura qui esistenti e degne di venir sottratte al pericolo di deperimento»60. Giova ricordare come Arienta in passato
avesse anche elaborato un Progetto di museo gaudenziano61, documentato da un disegno
acquerellato del 1878. La sede era quella dell'ex convento dei minori osservanti, che con l'annessa chiesa di Santa Maria delle Grazie era entrato in possesso del Municipio in seguito alle
57 S. Stefani Perrone (a cura di), La città nel museo..., op. cit., 1998, pp. 76-77.
58Catalogo delle opere antiche e moderne. Esposizione Artistica Valsesiana in occasione del Centenario di Gaudenzio
Ferrari, Varallo 1885. Sull'Esposizione e la nascita del museo: E. Ballarè, Raccontare un museo..., op. cit., 1996, pp. 23-26. 59 G. Arienta, Pinacoteca di Varallo. Memoria storica e artistica, Varallo 1902. Per l'ordinamento e l'allestimento compiuto da Arienta, cfr. E. Ballarè, Raccontare un museo..., op. cit., 1996, pp. 58-63.
60Ibidem, p. 3.
173 soppressioni del 1866.
Nell'ordinamento della Pinacoteca, sebbene risultasse ormai superato il criterio per dimensione dei dipinti, piuttosto che una disposizione per nuclei omogenei sembra piuttosto dominare le scelte una stretta successione cronologia62; né si registra il tentativo di restituire
ambienti o insiemi andati perduti, pur essendoci tra i pezzi della Pinacoteca numerose testimonianze e opere del Sacro Monte recuperate da abbattimenti e trasformazioni delle cappelle. L'attenzione all'opera era però meticolosa e filologica: il caso più significativo è quello degli affreschi di Lanino dalla Cappella della "Flagellazione", esposti accanto al già citato schizzo di Arienta che ne mostrava l'originaria orchestrazione63. Non mancavano infine in catalogo
informazioni esperte sullo stato di conservazione dei dipinti, di cui erano riportati anche i più recenti restauri, come quelli effettuati gratuitamente dall'Arpesani64 oppure praticati dallo stesso Arienta65.
In omaggio alla natura didattica di numerosi disegni e dipinti presenti nelle collezioni, erano esposte numerose copie tratte dai più illustri esponenti della storia dell'arte italiana: del valsesiano Carlo Frigiolini, per esempio, erano esposte copie di opere fiorentine, romane oppure conservate presso l'Accademia Albertina e la Reale Pinacoteca; di Giovanni Galletti erano presenti invece copie da Domenichino, Raffaello, Correggio, Tiziano, Guido Reni e Andrea Sacchi.
Le sale della Pinacoteca erano così lo specchio del lavoro che la Scuola di Disegno, la Società d'Incoraggiamento e quella per la Conservazione avevano condotto in più di un secolo di impegno per la promozione e la tutela dell'arte valsesiana.
62 Il catalogo di Arienta riporta la suddivisione in sala I (dal XV al XVIII secolo), sala II (XIX secolo), sala III (dedicata alla scultura e ai gessi degli scultori ottocenteschi valsesiani, insieme a riproduzioni fotografiche e al gonfalone di scuola gaudenziana), sala della Società d'Incoraggiamento e Salone(con busti, ritratti e medaglioni, prevalentemente di personaggi locali).
63Ibidem, p. 28.
64 Come l'ancona che il Bordiga aveva attribuito a Giovenone e che Arienta avvicinava al San Giovanni Battista di Gandolfino da Roreto in Pinacoteca Sabauda, restaurato «gratis» nel 1876 (p. 22), così come il Ritratto d'uomo di Bernardino de' Conti del 1504 (p. 23).
65 Restauri effettuati dall'Arienta sono indicati per la tela con la Visione di Papa Onorio III attribuita a Giuseppe o Stefano Danedi; l'artista fu artefice anche di doni alla Pinacoteca, come la scultura lignea quattrocentesca della Pace proveniente dalla frazione di Mantegna, il bozzetto per la scena di san Giovanni Battista davanti a Erode del Morazzone, due incisioni con ritratti del Morazzone e del Crespi (collocati sotto l'Ecce Homo di Daniele Crespi, «uno dei capi lavori della Pinacoteca»), l'olio su rame di Antonio Orgiazzi raffigurante l'Assunta, insieme a cartoni e disegni risalenti agli anni degli studi in Accademia. Nel 1903 giungerà in Pinacoteca la donazione degli eredi Arienta.
174