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Restauro come rinnovamento vs restauro come conoscenza

SOCIETÀ LOCALI, MUSE

5.1 Varallo: la Società di Conservazione e la Pinacoteca

5.1.3 Restauro come rinnovamento vs restauro come conoscenza

Le modalità di intervento sui dipinti murali (oggetto già tra il 1877 e il 1879 di apposite circolari ministeriali)40 era destinato a scatenare a Varallo uno polemica infuocata, generata dallo

stato di degrado in cui versavano alcune pitture su cui nel 1871 era intervenuto l'abate Luigi Malvezzi41.

A Varallo l'abate fu al centro di una vivace e prolungata polemica che vide contrapposti da un lato don Pietro Calderini e lo scultore Giuseppe Antonini, membri della locale Commissione pei Restauri; dall'altro Giulio Arienta, che poteva contare sull'appoggio di Guido Carocci e Alfredo Melani42.

Nel 1871 Malvezzi aveva effettuato la pulitura degli affreschi di Gaudenzio Ferrari nella cappella dei Re Magi al Sacro Monte, impegnandosi con il suo speciale ritrovato a «levare il nitro al magnifico affresco di Gaudenzio Ferrari [...] di assicurarne i colori e di farli rivivere»43. L'intervento

era stato l'occasione per stringere amicizia con alcuni personaggi dell'ambiente artistico e culturale locale. Tra questi don Pietro Calderini, con cui l'abate milanese intraprese una fitta corrispondenza che durò fino alla sua morte nel 1886. Malvezzi gli riferiva del suo ritrovato e delle sue applicazioni, raccontava di ritrovamenti, recuperi, acquisti e vendite di opere d'arte, ma soprattutto cercava in Calderini il tramite per promuovere la propria attività sul territorio valsesiano. Si premurava così di inviare a Varallo la copia delle perizie dell'Accademia di Brera (sottoscritte da Hayez, Molteni e Bertini), in cui si elogiavano i risultati ottenuti sugli affreschi della chiesa di San Marco a Milano, e

40 La circolare ministeriale 3 gennaio 1879 è riportata in: C. Conti, Del restauro in generale e dei restauratori (Il Manoscritto

280 della Biblioteca degli Uffizi), a cura di A. P. Torresi, Ferrara 1996, p. 50, n. 16.

41 Mercante d'arte, restauratore e divulgatore, Luigi Malvezzi (Milano 1806-1886) fu personaggio controverso e in generale molto discusso; i suoi principali restauri operati da Malvezzi sono riportati in: A. P. Torresi, Appunti per una storia del restauro dei dipinti a Ferrara nel corso dell'ottocento, in L. Scardino, A. P. Torresi (a cura di), Neo-estense. Pittura e restauro a Ferrara nel XIX secolo, Ferrara 1995, p. 59, n. 59. In Piemonte, oltre a quanto riportato per Vercelli e Varallo, Malvezzi intervenne anche nel 1877 sugli affreschi della chiesa di Naula a Serravalle Sesia e a Valduggia (nella chiesa di San Giorgio e nella cappella del cimitero).

42 I punti salienti di questa polemica si possono ricostruire principalmente grazie all'abbondante carteggio Calderini-Malvezzi (ASV, SV, EPC, b. 30 "Carteggio dell'Abate Don Luigi Malvezzi") e mediante lo spoglio della stampa locale e nazionale (cfr. S. Abram, Interventi di restauro sul territorio piemontese a fine Ottocento: Valsesia e Sacro Monte di Varallo, in C. Piva e I. Sgarbozza (a cura di), Il corpo dello stile. Cultura e lettura del restauro nelle esperienze contemporanee. Studi in ricordo di Michele Cordaro, Roma 2005, pp. 251-256). Inoltre presso l'Archivio di Stato di Varallo è conservato un fascicolo sul tentativo di affidare all'abate la pulitura degli affreschi della Salita al Calvario al Sacro Monte (ASV, SV, FSM, b. 65, fasc. "1882-83 Restauri ai dipinti nella cappella di Gesù che sale al Calvario con il ritrovato dell'abate Malvezzi"). Cfr. anche: ASV, SV, FSM, b. 65, fascc. "1799-1937 e s.d. Conti, mandati di pagamento, perizie e preventivi per lavori di restauro e manutenzione delle cappelle" e "1862-86 Restauro dei dipinti al Sacro Monte con il "Metodo Malvezzi"".

43 P. Calderini, Il ritrovato chimico del Prof. Malvezzi applicato alla ristaurazione dei dipinti a fresco, in ASV, SV, FSM, b. 65, fasc. "1862-86 Restauro dei dipinti al Sacro Monte con il "Metodo Malvezzi"".

168 di compilare brevi articoli elogiativi del suo "ritrovato" da pubblicare sui giornali locali.

Quando tra il 1883 ed il 1884 si rese urgente l'intervento sui dipinti del Morazzone nella cappella della "Salita al Calvario", di fronte alla proposta avanzata dalla Commissione pei Restauri di affidare l'incarico a Malvezzi alcuni membri del Consiglio Comunale sollevarono serie perplessità sul suo metodo, richiedendo ulteriori garanzie e l'opinione di esperti. Il professor Antonini e il pittore Burlazzi sollevavano invece l'abate da qualsiasi responsabilità, insistendo sull'efficacia del ritrovato e testimoniando di aver esaminato i risultati ottenuti da Malvezzi a Milano, a Valduggia e di aver ricevuto «favorevole giudizio» sia dal Cavenaghi che dal Conte Mella. Il ricorso all'abate trovava sostegno anche tra i membri della Società d'Incoraggiamento, che suggerivano al Sindaco di affidargli i restauri alle cappelle di "Adamo ed Eva" e del "Monte Tabor", garantendo sostegno economico da parte propria e della Società di Conservazione. L'abate intanto rassicurava Calderini sulla possibilità di eliminare le macchie con facilità e sulla scia dell'entusiasmo per un previsto nuovo intervento a Varallo prometteva al Sindaco di ripulirle gratuitamente.

Nel frattempo il Sacro Monte fu dichiarato Monumento Nazionale e nel giugno del 1884 la Sotto Commissione Governativa (composta da Camillo Boito, Giuseppe Bertini e Odoardo Tabacchi) si recava a Varallo anche per sbloccare la situazione dei restauri alla cappella del Calvario, che le continue polemiche avevano paralizzato. Presa visione nella cappella dei Magi delle «molte macchie del liquido Malvezzi», la Commissione suggeriva una semplice lavatura dei dipinti, interpretando come «vernice» l'effetto lucido che il ritrovato dell'abate aveva provocato su tutta la superficie trattata. I commissari non si espressero comunque in termini estremamente gravi di fronte alle macchie scure, pur escludendo il ricorso al medesimo restauratore e suggerendo in alternativa di spalmare gli affreschi con la cera. Le possibilità di operare ulteriormente sul Sacro Monte si esaurirono definitivamente quando Luigi Cavenaghi, indicato dalla Commissione ministeriale per sovrintendere ai restauri, affidò l'intervento sugli affreschi della Salita al Calvario a Giuseppe Steffanoni.

L'intervento di Giuseppe Stefanoni fu visto da parte dei valsesiani come una soluzione quasi miracolosa a un problema che da anni affliggeva amministratori e conservatori del Santuario, ossia le efflorescenze nitrose che progressivamente deterioravano i dipinti murali del Sacro Monte44. Il restauratore bergamasco rappresentò una garanzia di professionalità e competenza

tecnica; il suo sistema di trasporto, sostenuto da Cavenaghi, fu generosamente elogiato dalla stampa locale e da chi cercava i mezzi utili a contrastare le sorti di degrado o demolizione delle testimonianze artistiche locali: nel 1887 su proposta dello stesso Arienta la Società per la Conservazione stanziava infatti un fondo speciale per far eseguire dall'operatore altri distacchi e trasporti su tela45.

In occasione della morte di Malvezzi, il «Gaudenzio Ferrari» gli dedicava un articolo

44 La documentazione sugli interventi di Steffanoni a Varallo si trova in: ASV, SV, FSM, b. 72, fasc. "1856-1936 Corrispondenza"; ibidem, b. 65, fasc. "1886-1893 Restauri alla cappella della Salita al Calvario (n.36)"; ibidem, b. 65, fasc. "1882-1883 Costituzione di una commissione per i restauri al Sacro Monte"; ACS, AA.BB.AA., II vers., II serie, b. 230, fasc. 2547.

169 biografico, non firmato ma presumibilmente scritto dall'amico Calderini46; dopo pochi mesi,

ricordando i danni provocati dall'intervento dell'abate sugli affreschi della cappella dei "Re Magi", Arienta innescava la fase più acuta e risentita della polemica varallese. Rifacendosi all'autorità del manuale di Ulisse Forni47 e al rapporto di amichevole confronto instaurato con Cavenaghi, Arienta

lamentava l'impossibilità ormai di procedere all'eventuale strappo per i dipinti trattati col metodo Malvezzi (che oltre alla cappella dei Magi era intervenuto su quelle della Crocefissione e della Strage degli Innocenti). Lo scontro con Calderini e con la Commissione pei Restauri era però destinato a entrare nello specifico delle scelte di restauro adottate dallo stesso Arienta, che nella stessa cappella della Salita al Calvario era stato incaricato di dirigere insieme a Giuseppe Antonini gli interventi sulla statuaria in terracotta policroma. Interventi che erano stati resi possibili grazie al contributo della Società di Conservazione e di una benefattrice varallese (Erminia Monaco Crolla), poiché la Commissione ministeriale aveva giudicato i manufatti non sufficientemente importanti né per le ragioni dell'arte, né per quelle della storia.

Sulle più di sessanta statue, realizzate da Jan de Wespin tra il 1599 e il 1602, operarono così lo scultore valsesiano Pietro Della Vedova per la parte scultorea e Giulio Arienta per quella pittorica48. Dopo aver compiuto un rilievo accurato delle statue, registrandone la precisa

collocazione e annotandone tutti i particolari esecutivi e lo stato di conservazione, compresi i precedenti interventi, Arienta aveva proceduto alle integrazioni rifacendosi unicamente alle poche tracce del colore originale: l'intento dichiarato di evitare integrazioni falsificanti e "migliorative" non incontrava il consenso dei varallesi, abituati a restauri più compiacenti nell'accordare antico e moderno.

La conoscenza del documento figurativo rappresentava per Arienta una premessa indispensabile, nella convinzione che qualsiasi intervento di restauro dovesse rispettare nelle opere «il carattere loro monumentale, sontuoso e cronologo, vale a dire indicante l'epoca esatta della formazione propria»49. In qualità di artista, oltre che studioso e conoscitore, era consapevole

anche dell'importanza di rispettare le testimonianze storico artistiche dal punto di vista della tecnica e della compatibilità dei materiali, facendosi così propugnatore in sede locale di una serie di proposte di intervento poco invasive e soprattutto fomentando una decisa opposizione a restauri considerati incoerenti o dannosi. Le sue convinzioni lo portavano a prendere una netta distanza dai restauri normalmente condotti al Sacro Monte e a suggerire piuttosto che il denaro a disposizione fosse utilizzato per riparazioni strutturali e per avviare una sorta di manutenzione continua sui dipinti e sulle statue che affollavano il complesso monumentale, «ritoccandone di mano in mano e non tutte in una volta, le tinte, mantenendo la stessa intonazione scrupolosamente, senza mai rimettere tinte nuove né brillanti che stuonano col vecchio»50. Proponeva inoltre di disporre nei

46Il prof. Cav. abate don Luigi Malvezzi, in «Gaudenzio Ferrari», 6 e 27 febbraio 1886.

47 U. Forni, Manuale del pittore restauratore, Firenze 1866 (nuova edizione a cura di G. Bonsanti, M. Ciatti,Firenze 2004). 48 Cfr. E. De Filippis, La scultura del Sacro Monte nel XIX secolo: nuovi interventi, rinnovamenti e restauri, in Pietro Della

Vedova e la scultura valsesiana dell'Ottocento, «Atti della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti», n. s., vol. V, Torino 2000, pp.99-120; S. Abram, Interventi di restauro sul territorio piemontese..., op. cit., 2005.

49 G. Arienta, Sopra il Sacro Monte, in «Gaudenzio Ferrari Gazzetta Valsesiana», op. cit., 1886. 50Ibidem.

170 locali sopra le Cappelle un museo che conservasse oggetti artistici appartenenti al Santuario che non potevano più essere utilizzati per la decorazione della Chiesa e delle Cappelle:

E per cominciare, senza venir meno agli impegni che fossero assunti rispetto all'uso di quei locali, si dovrà destinare a ciò la antica sacrestia della vecchia Chiesa che presentemente serve per gli esercizi, e fare restituire dalla Società d'Incoraggiamento tutti gli oggetti stati inconsultamente trasportati nel suo palazzo colla promessa che li avrebbe riposti in locali adatti, mentre con grandissima noncuranza e danno vergognoso li ha riposti con altri capolavori ammucchiati in stanze, abbandonati ai sorci ed alle ragnatele, vandalismo questo che succede ai giorni nostri e da gente ascritta alla Società della Conservazione delle opere d'arte in Valsesia!51

L'intervento di Arienta fu la miccia che innescò sulle pagine del «Gaudenzio Ferrari» la dura reazione da parte della Società di Conservazione, che non solo accusò il pittore di aver scritto un intervento scorretto e provocatorio, ma passò al contrattacco mettendo sotto accusa le sue capacità di restauratore. Tra il 1886 e il 1887 il periodico valsesiano ospitò così lunghi, talvolta estenuanti contributi dove in sostanza Calderini, Antonini e il presidente Pietro Galloni difendevano l'operato della Società e degli artisti valsesiani che avevano collaborato al recupero delle cappelle; e dove Arienta si difendeva dall'accusa di aver effettuato puliture eccessive (come nel caso della parete gaudenziana della Madonna delle Grazie) o di aver operato nei restauri integrazioni e ridipinture là dove dichiarava la sua venerazione per l'antico e l'assoluto rifiuto di ricorrere a ritocchi o nuove coloriture52. In verità era difficile per l'Arienta trovare validi alleati: sul valore di

documentazione storica e sulla sensibilità filologica nei confronti del manufatto aveva la meglio una valutazione gerarchica, che tendeva a trascurare e dunque a considerare sostituibili dipinti, sculture e arredi che non si inserissero nel filone principe della cultura figurativa valsesiana. La stessa Commissione ministeriale non solo aveva stabilito una rigida scala di priorità, ma si era rifiutata di riconoscere il valore artistico di numerosi manufatti. A farne le spese era soprattutto

51 Di queste opere Arienta forniva in nota l'elenco: «1° Una Tavola di S. Francesco, opera di G. Ferrari. 2° Un Angelo annunziatore su tavola. Scuola di Gaudenzio.

3° Ritratto da uomo dipinto su tavola, opera rara e preziosa del pittore Bernardo Conti Milanese 1500. 4° Due abbozzetti in chiaroscuro creduti del Morazzone, rappresentanti la Disputa e la Circoncisione. 5° Quadro dipinto su tela non finito, autore ignoto che rappresenta il Paralitico.

6° Un'Assunta del Montaldo, quadro su tela.

7° Coppe e bicchieri antichi in vetro, tolti dalla Cappella della Cena. 8° Un cassone da camera del 500, scolpito in legno di noce. 9° Varii voti dipinti su tavolette.

10° Una spada ed una alabarda del 500, che pochi anni or sono esistevano nella cappella di Gesù mostrato al Popolo, e che si vedono presentemente sostituite in legno.

11° Una Griglia ed una Lampada antica che si trovavano nella Cappella di Gesù elevato in croce. 12° Le otto statue antiche in legno, che rappresentano Gesù riposto nel lenzuolo.

13° Il Volume del Pellegrino Tibaldi che si trovava nel Collegio d'Adda.», ibidem.

52 Si rinvia ai seguenti numeri del periodico «Gaudenzio Ferrari»: 9,11, 18, 21 e 25 dicembre 1886; 1 e 29 gennaio, 5, 12 , e 19 febbraio 1887.

171 l'opera scultorea in terracotta: mentre la fortuna critica di Gaudenzio Ferrari aveva segnato precocemente la presa di coscienza del valore storico dei dipinti, la statuaria rimaneva ancora ancorata a una valenza soprattutto devozionale; lo stesso Arienta vi riservava un trattamento più "libero", come quando nel 1896-1900 procedette alla totale raschiatura del colore del gruppo della Trasfigurazione.

L'alternativa allo scrupolo di Arienta era rappresentata da figure come quella di Giuseppe Antonini53, che guidato da un costante pragmatismo non fu restio a sostituire opere ritenute

irrecuperabili. In qualità di direttore della Scuola Barolo, spesso gli erano assegnati incarichi di restauro e riparazione delle statue delle cappelle. La frequentazione con queste opere e con i loro problemi conservativi gli fece comunque maturare la convinzione che fosse necessario predisporre un sistema di manutenzione costante, da affidarsi a persone competenti, in linea con quanto sostenuto da Arienta, che in qualità di Ispettore aveva condotto la giunta municipale a incaricare lo scultore Carlo Giacobini della semplice pulitura delle Cappelle del Sacro Monte, «con proibizione assoluta di adoperare colori tanto nelle statue che sui muri e di toccare o modellare le barbe ed i capelli»54.

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