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L'amore che vince la morte

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 166-169)

L'amore che vince la morte 11 La creazione continua

11.1 L'amore che vince la morte

Nel citare il versetto “Forte come la morte é amore”1094, Rosenzweig osserva che “in tali

parole la creazione si protende visibilmente verso la rivelazione e visibilmente viene da questa portata ancor più in alto. La morte é il momento estremo, conclusivo e perfettivo della creazione, e l'amore é altrettanto forte”1095.

Il contrassegno della creaturalità è la morte. La morte è la “chiave di volta della

creazione”, perché “imprime, lei sola, a tutto il creato il marchio incancellabile della 1087 Vedi Ivi, pag. 221-22

1088 Ivi, pag. 221-22.

1089 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 244.

1090 Il Salmo 115 è considerato rappresentativo dell’evento della redenzione, così come il Cantico dei Cantici lo era per la rivelazione, per il suo ricorrere alle categorie grammaticali del noi e dell’esortativo. Ivi, pag. 260.

1091 Vedi G. Bensussan, Franz Rosenzweig existence et philosophie, Press Universitaire de France, Paris 2000, pag.

93.

1092 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 248.

1093 Scrive Rosenzweig terminando la sua fatica: “Noi negammo la filosofia che si basava su questa fede

nell'immediatezza della conoscenza rispetto al Tutto e nell'immediatezza del Tutto rispetto alla conoscenza. Dopo che noi per il nostro cammino siamo pervenuti, da un immediato all'altro, fino alla visione immediata della figura, troviamo ora, alla meta, come ultima quella verità che aveva voluto imporcisi con la forza come la prima. Nella visione noi cogliamo la verità eterna. Ma noi non la contempliamo, come pensa la filosofia, come fondamento, che tale é e rimane per noi il nulla, bensì come meta ultima” . (…) “Noi ci ritroviamo di nuovo, ritroviamo noi stessi in mezzo all'ardente fulgore della lontanissima stella della verità eterna; noi non ritroviamo la verità in noi (sia respinta qui per l'ultima volta la bestemmia filosofica) no, bensì noi stessi nella verità” Ivi, pag. 402-03. Quindi, Rosenzweig descrive la verità come il Tutto, ma questo non allude ad una nuova sistemazione inglobante, ma ad un movimento di relazione. Ciò che Dio, il vero Dio, sia stato prima della creazione si sottrae quindi ad ogni pensiero. Non così ciò che Egli sarà dopo la redenzione. Certo anche il nostro vivo sapere non ci rivela dell'essenza di Dio null'altro che il redentore. Che Egli sia il redentore è l'ultimo sapere che noi apprendiamo nel nostro stesso corpo; noi sappiamo che Egli vive e che i nostri occhi lo vedranno. “Egli sarà Uno ed il suo nome sarà: Uno” Ivi, pag. 394.

1094 Cantico dei Cantici 8, 6.

creaturalità”1096. Tutto quanto é creato è mortale e vive nella paura della morte. Il morire si

insinua nel vivere stesso, cosicché ogni nuova nascita, ogni nuovo inizio avviene sotto il suo

marchio e “accresce il numero di ciò che deve morire”1097. E “non c’è solitudine maggiore

che negli occhi di un morente e non c’è singolarizzazione più caparbia, più superba di quella si dipinge sul volto irrigidito di un morto” - scrive il Nostro. Il volto irrigidito del morto porta impressa la singolarità esclusiva dell'uomo, ma anche la sua estrema

solitarietà. L'uomo muore prima alla specie, quando si afferma come singolo, e poi muore realmente. Nell'intervallo fra queste due morti “si trova tutto quanto si rende a noi

visibile del sé dell'uomo”. Resta una domanda radicale: “che ne era prima? Che ne sarà dopo?”. Di fronte a tutto questo, la vita del sé pare somigliare, più che ad un ciclo, ad “una retta che partendo dall'ignoto conduce all'ignoto: il sé non sa né da dove viene né

dove va”1098.

Per tutte queste ragioni, l’uomo ritiene inaccettabile la morte e ne rifiuta il pensiero . “L'io – scrive Rosenzweig - non può pensarsi morto; la sua paura di fronte alla morte é la

paura di divenire ciò che egli soltanto con gli occhi può vedere degli altri morti: un ille morto, un morto illud”. Pensare che la morte possa annullare il miracolo del sé vivente,

spegnerne la voce, cancellarne il nome, è intollerabile. Si può tollerare, infatti, la previsione della propria morte, ma non quella del proprio stato cadaverico: “L'uomo teme solo il proprio

cadavere. Il brivido da cui egli, vivente, era pervaso ogni volta che vedeva un morto, l'assale non appena egli si rappresenta se stesso, il vivente, come un morto …”1099. Sta qui il

problema del nulla, che devasta ogni punto di riferimento, che disorienta ed annulla ogni senso. Sta qui l'orrore del vuoto, dell'ipseità cieca e sorda che condannerebbe l'uomo alla rigidità immota.

La morte si nasconde dietro ogni riflessione e dietro ogni pensiero. Ne rappresenta l’inconfessato ed incoffessabile presupposto. La filosofia, che dal “timore della morte” prende avvio, si pone, quindi, come pretesa di “rigettare” quella paura. Ma è appunto una

pretesa, perché finché l'uomo vive sulla terra è destinato a “rimanere in questa paura”1100. La

morte è l'“oscuro presupposto di ogni vita” e a nulla vale la sua negazione. “Il nulla della

morte é un qualcosa”, di consistente “e ogni nuovo nulla della morte é un nuovo qualcosa, sempre nuovamente tremendo, che non si può esorcizzare né con le parole né con il silenzio”1101. Il grido del morente, refrattario ad ogni spiegazione e conforto, “frantuma l’unitotalità atemporale del filosofare”1102. Né l’immortalità, prospettata dal paganesimo con

le figure degli eroi e degli idei atemporali né la storicità, spacciata hegelianamente come eternità, bastano a placare il desiderio metafisico, che incoercibilmente ed irriducibilmente

vuole “una cosa totalmente altra”1103.

Ora, alla luce della fede, si delinea una diversa prospettiva: mentre per ogni altra creatura la morte è “una giusta adempitrice della sua cosalità”, per l’uomo è “il presagio della

rivelazione della vita trans-creaturale”1104. Ciò vuol dire che la morte non ha l’ultima parola

1096 Ivi, pag. 161.

1097 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 3. Anche in questo caso propongo a confronto un verso

ungarettiano: “la morte si sconta vivendo” G. Ungaretti, Il porto sepolto, cit., pag. 144.

1098 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 72-73.

1099 Ivi, pag. 281.

1100 Ivi, pag. 3-4. 1101 Ivi, pag. 5.

1102 E. D’Antuono, Ebraismo e filosofia, cit., pag. 144.

1103 E. Lévinas, Totalità e infinito, Jaca Book, Milano 1994, pag. 31. 1104 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 160.

né è l’ultima realtà1105. L’uomo – afferma Rosenzweig – “vuole rimanere, vuole vivere”1106. La

vita resiste alla morte1107, manifestando in sé una volontà di perdurare, “ma combatte una

battaglia dall’esito incerto”1108.

Il mondo, che vive nel perenne travaglio della caducità “esige che alla sua propria

crescita interna, alla crescita della vita, precaria perché mai certa della propria durata, si aggiunga un intervento dall’esterno”. Questo intervento, che “attraversa e pervade tutta la sua vitalità nell’atto della redenzione”1109, è l’amore, che viene sempre da un altrove, al di là

di ogni solitudine, oltrepassando il grigio presente.

La morte e l’amore sono pari. La morte è “chiave di volta dell'oscura voluta della

creazione”, l'amore è “la pietra di fondamento della luminosa dimora della rivelazione”1110.

“La vita e la morte sono unite dallo stesso soffio, portate dallo stesso ardore. La morte è uno

scandalo. Ma lo è anche l'amore. E' il momento in cui la totalità si spezza e in cui ciascuno è rinviato a se stesso. Io sono solo a morire. E sono solo ad amare. Come la morte alla quale non si può sfuggire, alla quale occorre cedere, così è l'amore. Come la morte è unica, racchiudendo tuttavia in sé tutte le morti passate e future, così è l'amore”1111. Ma l’amore, che

irrompe con una forza tale da sconvolgere ogni ordine intracosmico, alla morte “dichiara

battaglia”1112 e, alla fine, vince. “La morte, la vincitrice di ogni cosa, e l’Orco, che gelosamente trattiene tra le mani quanto è trapassato, sprofondano davanti alla sua forza e all’intensità del suo ardore. Il gelo di morte del passato, rigido come un oggetto, viene riscaldato dal suo fuoco, dalle sue fiamme divine”1113.

Nella vivezza della sua forza suscitatrice l'amore si rivela più forte della morte, perchè questa deve arrenderglisi. L’amore “é l'eterna vittoria sulla morte” e “la creazione, che la

morte corona e conclude”, non può tenergli testa e “deve arrendersi ad esso ogni istante e perciò, alla fine, anche nella pienezza di tutti gli istanti, nell'eternità”1114. Nell'amore è

anticipato, quindi, il compimento. Sono forzati i confini dell'al di là nell'aldiqua1115. L'eterno

entra nel tempo e penetra nel mondo1116. “Così l’amore fa sì che il mondo venga riempito

d’anima…”1117, venga ricreato, destato ad una vita nuova, vivificato1118: “Nell'eterno si celebra il trionfo sulla morte, che in esso é inghiottita. Nel corteo trionfale vengono portate e mostrate le armi infrante della morte. La morte aveva voluto falciare ogni vita affinché la vita non vivesse fino all'eterna fine. (…) Qui al falciatore si spezza la falce. La morte era venuta cavalcando per tutte le strade e si era gloriata che ogni percorrere strade era soltanto un perire. Ma la via eterna viene percorsa senza perire, poiché ogni passo avviene

1105 Ivi, pag. 435. 1106 Ivi, pag. 4. 1107 Ivi, pag. 230. 1108 Ivi, pag. 233. 1109 Ivi, pag. 233

1110 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 161. 1111 Ivi, pag. 117.

1112 Vedi M. Hamburger, Der Tod hat nicht das lette Wort, in Aa. Vv., Der Philosoph Franz Rosenzweig, cit., Bd. I,

cit., pagg. 509-11. “Il combattere contro la morte” da parte dell'amore “corrisponde ultimamente al combattere contro l'insuperabile transitorietà della condizione umana” N. Petrovich, La voce dell’amore, cit., pag. 235.

1113 Ivi, pag. 209. 1114 Ivi, pag. 169.

1115 F. Rosenzweig, Einleiting zum jüdischen Denken, in Der Mensch und sein Werk. Gesammelte Schriften, Band. III,

Zweistromland. Kleinere Schriften zu Glauben und Denken, cit., pag. 617.

1116 . Il regno, che è la vivificazione dell’esserci “viene fin dall’inizio, è sempre nell’atto di venire” ed

“eternamente viene”. “Eternità è un futuro che, senza cessare di essere futuro, è tuttavia presente. Eternità è un oggi che è però consapevole di essere più che un oggi” Ivi, pag. 232-33.

1117 Ivi, pag. 248.

sempre di nuovo muovendo dall'inizio. Qui al cavaliere si spezzano i garretti del ronzino. La morte aveva rinfacciato a ogni veritá che essa era comunque legata ad un misero frammento di realtá e che giá con questo negava la veritá; e che quindi tutto doveva cadere davanti a lei. E ora qui di fronte a lei sventola il vessillo di una veritá che viene conosciuta come eterna e confessata per l'eternitá, mentre viene inverata come propria, recepita, assegnata; (…). Qui sul volto dello scheletro si raggela il ghigno certo della vittoria ed esso si inchina al decreto eterno”1119.

La Stella della redenzione che si era aperta con le parole: “dalla morte” e “dal timore della morte”1120 si chiude significativamente con le parole: “Verso la vita”1121.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 166-169)

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