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Il nulla della morte come punto di partenza della filosofia

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 42-45)

Tanto in Ebner, quanto in Rosenzweig, la riflessione sulla morte diventa prioritaria, pur nell'estrema diversità di impianto delle loro opere principali.

Rosenzweig, in particolare, ci offre una sorta di ricostruzione della storia del pensiero in funzione del timore della morte. L'impulso iniziale al conoscere non viene, per lui, dalla meraviglia, ma dal timore: “Dalla morte, dal timore della morte prende inizio e si eleva ogni

conoscenza circa il Tutto”. La paura della morte è qualcosa di universale. “Tutto quanto é mortale vive in questa paura” e finanche una nuova nascita non fa che aggiungere “nuovo motivo di paura perché accresce il numero di ciò che deve morire”261.

Ora, proprio perché si origina dal timore della morte, la filosofia tenta di occultarne la paura. “Rigettare la paura che attanaglia ciò ch'é terrestre, strappare alla morte il suo

aculeo velenoso, togliere all'Ade il suo miasma pestilente” è il suo fine. Di conseguenza, non

“consente che la morte valga come un qualcosa e la riduce ad un nulla”. Edifica, quindi, un

sapere assoluto, eterno, totale, che costituisca il più forte antidoto alla paura262. Distoglie lo

sguardo dal nulla della morte per volgersi “alla totalità, apparentemente infinita, di ciò

258 Il nulla non può significare “il disvelamento dell’essenza del puro essere, come fu per il grande erede di due millenni di storia della filosofia” F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 20. Il riferimento è, in particolare, alla Scienza della Logica. Vedi trad. it, a cura di A. Moni, Laterza, Roma-Bari 2001, pag. 70. 259 Vedi F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 370.

260 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 5.

261 Ivi, pag. 3. H.-J. Görtz [Tod und Erfahrung Rosenzweigs «erfaherende Philosophie» und Hegels «Wissenschaft der Erfahrung des Bewuβtseins» (Themen und Thesen der Theologie), Patmos Verlag, Düsseldorf 1984, pag. 34], ha notato che l’inizio della Stella richiama la Prefazione della Fenomenologia, in cui Hegel scrive: “...la morte, se cosí vogliamo chiamare quella irrealtá, é la cosa piú terribile, e per tenere fermo ció che é morto é necessaria la massima forza. Se infatti la bellezza impotente odia l'intelletto, ció av-viene perché si vede richiamata da questo a compiti che essa non é in grado di assolvere. La vita dello Spirito, invece, non é quella che si riempie d'orrore dinanzi alla morte e si preserva integra dal disfaci-mento e dalla devastazione, ma é quella vita che sopporta la morte e si mantiene in essa. Lo Spirito conquista la propria veritá solo a condizione di ritrovare se stesso nella disgregazione assoluta. Lo Spirito é questa potenza, ma non nel senso del positivo che distoglie lo sguardo dal negativo, come quando ci sbarazziamo in fretta di qualcosa dicendo che non é o che é falso, per passare subito a qualcos'altro, lo Spirito é invece questa potenza solo quando guarda in faccia il negativo e soggiorna presso di esso. Tale soggiorno é il potere magico che converte il negativo nel l'essere” G. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, trad. it. A cura di V. Cicero, Rusconi, Milano 1995, pag. 87.

che é possibile conoscere”263. Dal momento, poi, che “soltanto ciò ch'è singolo può morire, e tutto ciò ch'è mortale é solo”, avanza, da ultimo, l'idea di un Tutto immortale, che “non morrebbe” e nel quale “nulla morirebbe”264.

La filosofia rimuove la morte come quel qualcosa che disturba l'autosufficienza del suo progetto. Volendo essere conoscenza che non lascia spazio all'inspiegato, presenta se stessa come del tutto “priva di presupposti”. La rimozione della morte coincide, quindi, con la negazione della “caducità dell’essere proprio dell’uomo” della “sua costitutiva solitudine” e

del “suo ostinato volere”265. Ma, alla fine, il tentativo della filosofia risulta vano, perché la

morte, nonostante “la nebbia di cui la filosofia la circonda, risuona in tutta la sua forza il

suo aspro appello”. “La filosofia voleva inghiottirla e farla scomparire nella notte del nulla”, ma essa resiste nella sua durezza incomprimibile266.

L'insopprimibilità della paura della morte segna, quindi, per Rosenzweig, il fallimento delle pretese onnicomprensive dell'idealismo, “il punctum dolens del processo hegeliano”,

momento irrisolto della sua teleologia dialettica 267. Con la morte resiste la solitudine del

singolo che non trova conforto nel sapere, perché il sapere non serve all'esistenza. La solitudine si accompagna, infatti, alla mortalità. Invece, il sistema punta ad una validità eterna, che non conosce il patire. Di conseguenza, “il destino di dolore del singolo e il

destino della filosofia si divaricano, due diversi ordini si delineano: il Tutto universale immune dalla morte, l’individuale e l’infinito ripetersi del suo inascoltato soffrire”268.

In questa storia di rimozione della paura Nietzsche, con il suo tentativo di raccordarsi alla vita, si pone in polemica non solo con l'idealismo, ma con tutto di pensiero dell'Occidente. Egli sembra, pertanto, invertire la rotta rispetto alla tradizione di occultamento della morte. Per lui, “un'unica ed universale notte del nulla” avvolge ogni cosa. Ma, per Rosenzweig, il

nulla nietzscheano, apparentemente contrario all'Uno-Tutto della tradizione, ne è solo

un'immagine speculare, si potrebbe dire, il riflesso negativo. Anche il nulla riflette, infatti, quella identificazione di essere e pensiero che rappresenta il presupposto stesso del filosofare269.

La filosofia nietzscheana è caratterizzata dalla negazione indiscriminata del particolare, dalla devastazione del carattere di fattualità di ogni cosa. Il nulla identifica ogni cosa. Il mondo, Dio e il sé sono gettati nel vortice universale dell'annichilimento, in un modo che è assimilabile a quello proprio dell'idealismo che assorbiva ogni cosa nel movimento dialettico

dell'idea270. Solo che, stavolta, l'annullamento del particolare ha il segno meno del nulla e non

quello positivo della risoluzione del particolare in un Assoluto ideale. Perciò, il nulla nietzscheano non è qualcosa di particolare e di reale, ma un unico ed universale ignoramus,

263 Vedi B. Casper, Il pensiero dialogico, cit., pag. 98. 264 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 4.

265 E. D’Antuono, Ebraismo e filosofia, cit., pag. 20.

266 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 5.

267 P. Ricci Sindoni, Prigioniero di Dio. Franz Kosenzweig (1886-1929), Edizioni Studium, Roma 1989, p. 290. Per R. Bodei la morte “frantuma il "Tutto" degli idealisti in un universo pieno di ombre e di vuoti, in continuo divenire, in ebollizione e in moto verso un suo possibile compimento” (Introduzione all'edizione italiana di F. Rosenzweig, Hegel e lo Stato, tr. it. di A. L. Künkler Giavotto e R. Curino Cerrato, Il Mulino, Bologna 1976, p. XXIX).

268 E. D’Antuono, Ebraismo e filosofia, cit, pag. 22.

269 “Che l'essere vuoto, l'essere prima del pensiero, nell'attimo breve, quasi inafferrabile, prima di divenire essere per il pensiero, sia identico al nulla, fa parte delle conoscenze che accompagnano l'intera storia della filosofia dai suoi esordi nella Ionia fino al suo esito in Hegel. Questo nulla rimase infruttuoso tanto quanto il puro essere ”. F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 20.

che, in quanto tale, risulta, alla fine, del tutto indeterminato271. E' concetto, più che realtà,

una sorta di ipostasi negativa che governa il mondo. E' un assoluto negativo.

Tutte le aporie del nichilismo si anniderebbero in questa implicazione272, rivelandosi,

alla fine, le stesse contro cui ogni pensiero gnostico finisce per impattare273.

Il nulla cui fa riferimento Rosenzweig, ma ciò vale anche per Ebner, sfugge invece ad ogni riduzione e logica. Esso, propriamente, non è nulla, ma “un inesorabile, ineliminabile

qualcosa”274, esperibile nell'enigma del dover morire, nella temporalità e “finitudine di tutto ciò che é terreno”275. E' un nulla particolare, reale, che non si identifica con il

pensato, con il teorizzabile, con il distanziabile concettualmente. E un pensiero che non volesse far finta di nulla sarebbe chiamato responsabilmente e coscientemente “a partire di

qui, dal fatto che il nulla della morte é un qualcosa, e ogni nuovo nulla della morte é un 271 “É della massima importanza che il nostro pensiero, dopo che un tempo gli é stato posto di fronte il Tutto come il suo oggetto unico ed universale, non si veda poi respinto con violenza ad un unico ed universale ignoramus. Il nulla del nostro sapere non é unico ma é triplice. Con questo esso contiene in sé la premessa della determinabilità. E perciò a noi come a Faust é concesso sperare di ritrovare in questo nulla, in questo triplice nulla del sapere, il Tutto che avevamo dovuto fare a pezzi. «Immergiti allora!», o potrei anche dire: «Sali!»” Ivi, pag. 22. Il nulla totale (il de omnibus dubitandum di Descartes) poteva essere “valido partendo dal presupposto di un Tutto unico e universale. Di fronte a questo Tutto stava un pensiero unico ed universale e, strumento di questo pensiero, il dubbio de omnibus parimenti unico ed universale” (Ivi, pag. 42). A queste riflessioni di Rosenzweig si può accostare un passo di Ebner, in cui si denuncia il rischio del relativismo insito nella presunzione della scienza di fare a meno di Dio: “Una scienza che non venga sostenuta spiritualmente nell'uomo da questa profonda presa di coscienza di Descartes - non più soltanto scientifica o filosofica - circa Dio quale premessa di ogni conoscenza della verità, non ha presente altro che la vincolazione terrena dell'esistenza umana, ovviamente fraintendendola in maniera radicale, rinfaccia all'uomo il suo «guardare al cielo» e finisce necessariamente in un relativismo per il quale non esiste più alcuna verità e in certo senso nel «pragmatismo». Di per sé la scienza é ovviamente «senza Dio», per essere precisi anche quando si occupa di teologia. Essa non sa nulla di Dio e non può essere né contro né a favore di lui, né potrebbe essere altrimenti”. Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 278.

272 Vedi F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 12. Rosenzweig fa qui riferimento a Freud, Nietzsche e alla destrutturazione del Cogito. Individua, quindi, in Schopenhauer e nella tarda filosofia di Schelling gli antesignani della destrutturazione. Il ruolo di Schopenhauer, in particolare, starebbe nell'aver contestato l'identificazione di logos ed essere, che “dalla Ionia fino a Jena” era stata sempre presupposta. Da allora la volontà, la libertà, l'inconscio poterono – scrive testualmente Rosenzweig - “realizzare ciò che la ragione non era riuscita ad attuare: dominare su un mondo caratterizzato dal caso”.

273 “Il limite che nello schema cosmologico antico era garante dell’ordine armonico, nell’esperienza gnostica diventa la barriera esteriore che bisogna superare. Il concetto di Aldilà, dunque, nel linguaggio gnostico possiede un significato evidente. L’Aldilà è il luogo del Dio oltremondano, che è concepito come un contro-principio rispetto al mondo. I predicati gnostici di Dio – inconoscibile, innominabile, indicibile, illimitato, non esistente ecc. – sono predicati negativi. Devono essere intesi come negazione del mondo e determinano polemicamente l’opposizione del Dio oltremondano nei confronti del mondo”. Vedi J. Taubes, “Messianismo e cultura Saggi di politica teologia e storia”, Garzanti, Milano 2001, pag. 227.

274 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pag. 4-5. Sul tema si vedano: M. D. Oppenheim, Death and Man's Fear of Death in Franz Rosenzweig's The Star of Redemption, in «Judaism. A Quarterly Journal of Jewish Life and Thought», XXVII (1978), n. 4; W. Marx. Die Bestimmung des Todes im «Stern der Erlösung», in Aa. Vv. Der Philosoph Franz Rosenzweig, cit., Vol. II.; G. Zarone, Morte e verità dell’uomo meta-etico. Le figure di Nietzsche e Rosenzweig, in «Filosofia e Teologia», IV (1990), n. 2.; E. Robberechts, Savoir et mort chez F. Rosenzweig, in «Revue philosophique de Louvain», XC (1992), n. 2: H. Dagan, Philosophizing in the Face of Death – Schopenhauer and Rosenzweig, in «Jewish Studies Quarterly», VIII (2001) n. 1; F. Albertini, Die Dialektik Eros/Thanatos als phänomenologische Aufgeschlossenheit zum Anderen in Franz Rosenzweigs Stern der Erlösung, in «Judaica. Beiträge zum Verstehen des Judentums», LVIII (2002). Heft 1; I. Rühle, Leben im Angesicht des Todes. Zum Verständnis des Todes im Stern der Erlösung. in Aa. Vv., Rosenzweig als Leser. Kontextuelle Kommentare zum «Stern der Erlösung», (Conditio Judaica. Studien und Quellen zur deutsch-jüdischen Literatur- und Kulturgeschichte, hrsg. Von H. O. Horch in Verbindung mit A. Bodenheimer, M. H. Gelber und J. Hessing, Vol. 44), hrsg. Von M. Brasser, Max Niemeyer, Tübingen 2004.

nuovo qualcosa, sempre nuovamente tremendo, che non si può esorcizzare né con le parole né con il silenzio”276. Sarebbe chiamato ad attraversare il patire, per raccogliere le speranze e

le invocazioni che si levano dall'esistenza.

Chi vuole capire, scrive Rosenzweig, “deve essersi sentito almeno una volta in tutta la

propria terribile povertá, solitudine e lacerante separazione dal mondo intero ed essere rimasto un'intera notte faccia a faccia con il nulla”277. La filosofia non deve rigettare la

paura della morte. Piuttosto, deve assumerla, tenerla sempre ferma davanti a sé: “Se la morte

è qualcosa, allora nessuna filosofia d’ora in poi dovrà distogliere da ciò il nostro sguardo…”278. Non una resa, quindi, è ciò che Rosenzweig prospetta, “ma una resistenza nel faccia a faccia col nulla, capace di aprire un nuovo cammino ”279.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 42-45)

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