• Non ci sono risultati.

La critica alle morali estetizzant

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 37-39)

Sotto un profilo strettamente etico, il rifiuto dell'autonomismo morale kantiano, in primis, e delle etiche filosofiche, in seconda battuta, si inserisce nel più generale rigetto delle visioni universali.

226 Ivi, pag. 262.

227Ivi, pag. 241.

228 “Pondus meum amor meus, eo feror quocumque feror” (Il mio peso è il mio amore; da esso sono portato

dovunque vada). Sant'Agostino, Le Confessioni, testo latino di M. Skutella, riveduto da M. Pellegrino, Città Nuova editrice, Roma 1965, pag. 459 (XIII, 9,10).

229L’identità dell’Io sta o cade “nell'inclinazione etica che la suscita e la motiva, la dissolve e la conferma, la

aliena e la salva”. F. P. Ciglia, Hors Sujet: appunti di lettura, in E. Lévinas, Fuori soggetto, cit., pag. XIV.

230“...è l'io nella sua ipseità (Icheinsamkeit). Ebner collega quest'io al moi di Pascal: un io oggettivabile e

sostanzializzabile, che cioè è possibile cogliere mediante l'idea. In tal modo ci si impegna su ciò che non è reale, perché l'io non si fonda sul riferimento a se stesso”. E. Ducci, La parola nell'uomo, cit., pag. 109.

231F. Ebner Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 141. 232 Ivi, pag. 262.

233 Ivi, pag. 235. 234 Ivi, pag. 263.

Tutte le visioni universali, al di là della differenza fra soggettivismo ed oggettivismo, soggiacciono indistintamente, secondo Ebner, ad una tendenza estetizzante. Essa è rinvenibile nella tendenza ad interporre fra il soggetto e la vita, nella sua problematicità, una distanza. Tale

distanza è la materializzazione di un modo di interpretare il vivere che è illusorio ed

irresponsabile. “Fintantoché l'uomo vive spiritualmente nell'esilio dell'idea estetica - osserva Ebner con evidente riferimento a Kierkegaard- ha di fronte a sé la problematicità della vita in

senso «oggettivo» - poiché l'ha spinta alla distanza estetica – e ne cerca invano la soluzione entro l'oggettività dell'avere una visione del mondo…”236. Nell'esilio dell'idea estetica si astrae

dall'esistenza e dal confronto e si pensa l’attività morale possibile senza incontro, senza io e

senza tu reali, confinata in una presunta autosufficienza etica del soggetto (la sua libertà).

Ma, come evidenzia Buber, “chi si limita solo a "vivere interiormente" il proprio

atteggiamento, chi lo attua solo nell'anima, per quanto possa essere pieno di pensieri é senza mondo; e tutti i suoi giochi, i suoi artifici, tutte le sue ebbrezze, gli entusiasmi e i misteri che accadono in lui, non sfiorano neanche la superficie del mondo ”237. La libertà

estetica cancella, insomma, ogni forma di responsabilità, intendendo questa nel suo significato originario di risposta che si deve agli altri e al mondo. L'autonomia implica, infatti, un soggetto distaccato e non coinvolto, dispensato dal dovere di rispondere di sé e di intendere il bene come derivante da implicazioni morali che oltrepassano la sfera del sé.

Forte appare in queste riflessioni ebneriane la suggestione di Kierkegaard. Di nuovo c'è, rispetto al filosofo danese, l'assimilazione dell'estetico con l'oggettivo, termine nel quale Ebner ricomprende ogni forma di sapere teorico che proceda per generalizzazioni. Il paravento dell'oggettività della visione del mondo manifesta, secondo lui, il tentativo di eludere

“l'incontro con la vita”238, di dilazionare la soluzione del problema. “Se ci si chiede che cosa

caratterizzi principalmente, nella prospettiva di Ebner, il pensiero metafisico, - ha scritto B.

Casper - si può indicare come caratteristica comune la mancanza di impegno. Nella

metafisica, come in ogni «produzione spirituale», l'uomo non giunge «ad essere consapevole di se stesso e della sua autentica vita spirituale» ”239. Il teorico è sapere oggettivante avulso dall'esistenza e dai suoi drammi, inconsapevole ed inautentico,

indistintamente caratterizzato dal disimpegno rispetto alle scelte che la vita pone.

L’intelligibilità etica, che, per Ebner, come per Rosenzweig e Buber, è “ situata fuori dal

soggetto oggettivante”240, permette invece il salto verso la consapevolezza e l'autenticità. Essa

attiene propriamente a quella sfera, in cui si configura l'impossibilità di parlare in senso

oggettivo del soggetto. La vita non può essere oggettivata, perché il problema che essa pone è

“sempre di per sé soggettivo”241. In ambito etico si richiede, pertanto, “una soluzione dal soggetto e per il soggetto...”242, soluzione che necessariamente ne implicherà l'impegno e la

responsabilità. La conoscenza etica rifiuta la traslazione dell'esperienziale, del vissuto, sul piano dell’ideale, dell'impersonale, dell'astratto e “ha una direzione diametralmente opposta

rispetto alla tendenza alla sostanzializzazione. Quest’ultima dovrebbe produrre come sua meta ultima (…) il superamento fino all'annullamento della coscienza; la conoscenza etica, invece, è

236F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 381. In filigrana si possono anche riscontrare suggestioni che

derivano dall'etica stoica ed epicurea.

237 M. Buber, Io e Tu, cit., pag. 126-27.

238 A. Bertoldi, Il pensatore della parola. Ferdinand Ebner filosofo dell'incontro, Città Nuova, Roma 2003, pag. 134.

Ebner e Buber scorgono nell'autoposizione solitaria dell'io una deprivazione per il soggetto.

239 B. Casper, Il pensiero dialogico, cit., pag. 241. 240 E. Lévinas, Fuori dal soggetto, cit., pag. 5.

241 F. Ebner, Frammenti Pneumatologici, cit., pag. 229. 242 Ivi, pag. 381.

il compimento della coscienza specificamente umana (…) l’adempimento consapevole dell’esistenza” 243.

La coscienza del singolo nel suo rendersi consapevole della “realtà del suo Esserci”244 è,

quindi, per Ebner, intrascendibile. Il cuore ha pascalianamente delle ragioni che la ragione oggettivante non conosce, ragioni che non sono neanche circoscrivibili nel cerchio incantato del sé. In quel nucleo intimo e profondo della persona risiede la possibilità di proiettarsi oltre l'orizzonte del teorico, ovverosia dell'estetico.

3 L'attraversamento della crisi: la realtà del nulla

I dialogici intraprendono la loro ricerca di senso, avendo sullo sfondo la situazione della cultura europea dopo Nietzsche. Si pongono, quindi, all'indomani della crisi della ragione e della radicale destituzione di ogni certezza. Tuttavia, mentre per Nietzsche il nulla è qualcosa di universale, per i dialogici ha caratteri particolari ed intrascendibilmente personali della sofferenza, della morte, della solitudine morale e spirituale.

Essi ne hanno fatto esperienza diretta negli anni della prima guerra mondiale, che segna il percorso critico e teorico, nonché la maturazione umana, di Ebner e Rosenzweig. Le loro opere principali, rispettivamente i Frammenti Pneumatologici e La stella della redenzione, sono, non a caso, pensate e scritte durante e subito dopo la guerra.

In questo luogo storico essenziale essi individuano il momento in cui al posto di “quell'unico ed universale nulla che nasconde il capo sotto la sabbia all'udire il grido

della paura della morte” subentrano le mille morti reali245. Il nulla unico ed universale si

riconnette all'idea di “una conoscenza unica ed universale”, alle astrazioni del concetto, le mille morti reali richiamano piuttosto la sofferenza della vita. Ed è “la vita mescolata

all’enorme sofferenza della guerra” che li spinge a cercare le parole autentiche e originarie

nonché le relazioni significative246.

A partire da questo nodo problematico i dialogici si muovono, quindi, in direzione di una filosofia capace di offrire un orientamento, piuttosto che una rappresentazione del mondo.

Nel documento Oltre la solitudine dell'Io (pagine 37-39)

Outline

Documenti correlati